Il poeta sardo Salvatore Angius, che ha pubblicato il libro Dialoghi col vento (Rupe Mutevole Edizioni – 10 euro) si aspetta delle domande per questo articolo.
Ma questa è una recensione. Quindi domande non gliene faro’. Non gli chiederò cosa gli è successo un anno fa. Ad esempio.
Gli sono successe due cose. Ha perso sua madre. E gli hanno detto che ha una malattia di quelle rognose. Bastarde. Ma sulla malattia lui vincerà. E´ un crapone sardo. Un guerriero di luce. Vincerà.
Sull’assenza di sua mamma non vincerà. Siamo condannati a ricordare. Quella volta che… Quel momento che… Quell’abbraccio che… Le assenze sono le presenze della nostra vita. Bisogna conviverci.
E Salvatore Angius ha deciso di coronare questa convivenza forzata scrivendo uno dei libri di poesia più belli che ho letto in questi ultimi anni.
Ligabue a Roma ha assistito ad una sua presentazione in un hotel e pare si sia invaghito dei suoi versi. Ah beh il suo modo di scrivere quasi ottocentesco, all’inizio, quasi mi irritava. Poi sono entrato nei suoi versi. E la cosa più bella, per me, è che mi fanno stare bene.
Ed è condanna del poeta vero, donare quasi una gioia, con la propria sofferenza interiore. Non conosco di questo poeta. Vedo tante sue foto dove si accompagna con bellissime ragazze. E dai miei anni che cominciano ad essere tanti, amabilmente, si prende dei vaffanculo. Di sana invidia. Della sua giovinezza. Una giovinezza che mi pare Angius viva freneticamente.
E scrive pure freneticamente. Di questa sua giovinezza stupenda, ma anche violata dagli eventi. Ed è in queste violazioni che poi nasce la poesia. Usata quasi come droga per pensare di non pensare. Che poi invece si pensa di più.
Leggete e comprate questo libro… No. Non ve lo dirò mai. Però posso dirvi che se non lo leggete… è come non vedere manco una stella cadente nella notte di San Lorenzo.