Negli ultimi mesi grazie a questo sito ho avuto l’opportunità finalmente di realizzare un mio piccolo sogno: quello di testare sul campo l’esperienza maturata in oltre dieci anni passati nel mondo della musica e mettermi al servizio di tanti giovani talenti (e non) in diverse manifestazioni musicali.
Per me sono stati dieci anni “senza etichette” perché io non sono figlio d’arte, non ho parenti che hanno a che fare con la musica e, per dirla tutta, mia madre ascolta Gigi D’Alessio…
Insomma nessun santo in Paradiso, solo tanto amore, dedizione e determinazione.
Io e la musica non ci siamo mai lasciati e negli anni ho voluto provare sulla mia pelle tutti i tipi di esperienze che potevano arricchirmi, insegnarmi qualcosa, placare la mia sete di conoscenza dei meccanismi di questo bellissimo, ma anche folle e durissimo, ambiente.
Sono stato un fan e mi sono occupato dei fan.
Sono stato un assistente personale e mi sono occupato degli artisti.
Sono stato un produttore, ed ho capito che non era il momento giusto ma ho compreso che nel mio prossimo futuro potrei esserlo.
Sono stato anche per brevissimo tempo un tour manager ed ho capito che quello è il lavoro più stressante del mondo e che no, non sarò più un tour manager.
Ho avuto modo di conoscere artisti molto diversi tra loro, anche molto famosi, ma la mia preferenza continua ad andare a quelli un po’ “interrotti” come li chiamo io. Quelli che hanno un gran talento ma che chissà per quale motivo faticano il doppio degli altri.
E credetemi, sono quelli che possono insegnarci di più. Gli artisti che parlano solo di se stessi e dei risultati raggiunti sono quanto di più noioso possa capitare.
In ogni caso l’ultimo tassello (almeno per ora) di questo percorso, mi ha portato a creare All Music Italia. Questo ha fatto sì che io fossi coinvolto in diversi concorsi musicali sia in qualità di giudice/giurato, sia in alcuni casi come selezionatore nelle fasi preliminari.
Dal Premio Valentina Giovagnini al Coca Cola Summer Festival, dal Festival Estivo fino al Festival di Ghedi e, in questo momento, al Premio Donida.
Ho avuto modo di ascoltare tanti ragazzi, di parlare con molti di loro e, nel mio piccolo, di dargli qualche consiglio.
Lo ripeto sempre, la mia presenza in una giuria spesso è quella più assurda per certi versi perché, nonostante io lavori ormai da tanto tempo al cospetto della musica, io continuo a ritenermi essenzialmente un ascoltatore e credo che sia questo che mi rende differente, la mia cifra stilistica.
Io posso individuare cosa dovete mettere a fuoco, qual è la caratteristica (se c’è) che vi rende diversi dagli altri, se la canzone che presentate potrebbe essere una hit o non ha quella marcia in più… e vi romperò un sacco le palle sui testi, perché credo che nella musica italiana il contenuto di una canzone e come viene espresso sia molto importante.
Quello che non vi sentirete dire mai da me è se una nota è calante o crescente, se avete usato bene il diaframma o no… non è il mio, per questo ci sono persone molto più preparate di me e che hanno studiato per farlo. Io sono un ascoltatore, con buone intuizioni, ma un ascoltatore.
Allora ho pensato, alla luce delle date di selezioni del Premio D0nida 2016 di Milano e Roma. dove ho ascoltato tantissimi ragazzi, di scrivere i miei personali consigli per chi si appresta a tentare l’avventura di un concorso musicale.
Si, perché in Italia non esistono solo talent show e Sanremo, nonostante io sia il primo a riconoscere l’importanza di entrambi. ma credo sempre che siano degli step successivi se mai ci saranno perché, sopratutto i talent show, non sono per tutti… ho conosciuto dei bellissimi talenti che, se ingabbiati nelle logiche di un meccanismo televisivo, rischierebbero di uscirne con le ossa rotte e la propria arte acciaccata.
Io durante le selezioni di un concorso ho sempre il sorriso in faccia e, spesso, proprio con questo sorriso sono capace di dire cose che possono sembrare cattivissime. Non lo sono, semplicemente cerco di risparmiare anni di illusioni a chi magari non ha possibilità. Ovviamente è solo il mio parere personale, conta tutto e conta nulla, ma nel dubbio io preferisco essere sincero. Nel migliore dei casi avrò temprato alle critiche e nel peggiore avrò risparmiato a qualcuno anni di perdita di tempo.
Spesso su questo punto mi sono “azzuffato” anche con i miei colleghi di giuria perché se inizio a sentire troppo spesso frasi come “Il livello è alto…” o troppi “Sei bravissimo/a….” mi sembra di vivere in un mondo che non corrisponde a quello che c’è là fuori. Ci sono due momenti nei concorsi, le selezioni e le fasi finali. Nelle prime si può dare dei consigli a chi potrebbe riservare delle sorprese, a chi qualcosa potrebbe averlo, nella seconda fase invece bisogna cercare il talento, senza ma e senza se…
In ogni caso ecco le mie personalissime considerazioni, fatene l’uso che che meglio credete, cestino compreso.
Punto 1. Autocritica
In giro c’è molto meno talento di quello che si ama credere. E soprattutto c’è poca autocritica. La musica è in continua evoluzione, ogni giorno escono nuovi artisti e tre quarti di loro scompariranno nel giro di pochissimo tempo purtroppo, quindi serve una direzione. Direzione che poi verrà centrata da qualcun altro nel migliore dei casi ma è sempre utile avere un minimo di auto coscienza.
Fare musica non è come fare la centralinista, non è un lavoro che s’impara. O meglio si, si impara a gestirlo, si imparano i trucchi del mestiere su come stare sul palco, come approcciarsi al pubblico, come scrivere testi più efficaci, a suonare uno strumento… si possono imparare tante cose, ma non ad essere un cantante/musicista/cantautore che accende la “lucina” in chi ci ascolta.
Non basta più avere una bella voce, i tempi di Nilla Pizzi sono lontanissimi, perduti ormai, e una bella voce ce l’ha la metà delle persone che conosco… di questa metà almeno un’altra metà ha anche un buon controllo del proprio mezzo. E quindi?
Per questo la prima cosa da chiedervi è: voglio cantare perché ho una bella voce e mi piace mettermi in mostra su un palco, o voglio che questo possa diventare il mio lavoro con tutti i sacrifici che comporterà, e saranno tanti. Questa per me è la prima, importantissima, domanda.
Punto 2. Chi sono io e perché dovresti comprare un mio disco?
Spesso ai ragazzi che ascolto chiedo “chi sei tu?“. Chi vuoi essere nella musica italiana, qual è la “casellina” che vuoi andare a riempire? Perché nella musica al momento ci sono le “caselline” e vi assicuro che sono contate, contatissime. Quindi è necessario darsi delle risposte perché raramente troveremo il super produttore che ce le darà al posto nostro e, anche capitasse, meglio farsi trovare comunque preparati.
Un’altra domanda che faccio spesso è “Perché dovrei comprare un tuo disco?“. Sembra assurdo ma a questa domanda quasi nessuno sa rispondere.
Eppure è la base. Fare musica è comunque, arte o non arte, creare un prodotto. Un prodotto che andrà venduto e, prima che qualche esperto del marketing venga a spiegarvelo, mi sembra il minimo che sappiate a chi potrete vendere quel prodotto e quali saranno i suoi punti forti. E non possono essere soltanto una bella voce o un bel faccino, quelli non bastano più salvo rari casi di fortuna che hanno la stessa probabilità di avverarsi di un sei al Superenalotto.
La maggior parte delle volte a questa domanda arrivano delle risposte che, non me ne vogliate, fanno passar la voglia. Cose del tipo “ho qualcosa da dire…“, “Ho un dono e ve lo dono…” (Cit. Sister Cristina), “Perché mi dicono che emoziono…“.
Ok non ci siamo. Se a dirvi che emozionate sono giusto gli amici di infanzia lasciate perdere, non è una buona motivazione e magari molti di loro avranno comprato 10 dischi in vita loro di cui l’ultimo era il solito Vasco Rossi o Adele.
Che avete qualcosa da dire, a meno che non siate dei cantautori geniali, con un linguaggio unico, credo sia qualcosa che nemmeno dovreste rispondere. Tutti hanno qualcosa da dire, ma non è che tutti devono fare i cantanti per comunicare. E poi cosa sono esattamente queste cose che avete da dire? Esempio al volo, sicuramente Gianluca Grignani quando esordì con Destinazione paradiso aveva un enorme buco interiore, una voragine nel petto che lo portava a comunicare il suo malessere personale che, allo stesso tempo, era un malessere generazionale. Magari non avrebbe saputo spiegare benissimo a parola cosa aveva da dire, ma sicuramente avrebbe saputo farlo capire.
Quindi il mio consiglio rimane quello di capire e saper spiegare perché una persona dovrebbe comprare un vostro disco. Se siete convinti voi e avete buone motivazioni, avete almeno il 50% di possibilità in più di convincere gli altri.
Punto 3. Non abbiate paura di essere degli interpreti.
Non so quando esattamente è successo, ma c’è stato un momento in cui essere degli interpreti è diventato un handicap.
Parliamoci chiaro, è ovvio che se so scrivere le mie canzoni, so comporle, sono sicuramente un artista più completo… in alcuni casi anche più incisivo. Ma è anche vero che se compongo delle cagate questa cosa non è un valore aggiunto ma anzi, un eccesso di presunzione.
Partiamo dal presupposto che essere interpreti non è facile. Non è semplicemente vado a tempo, seguo il testo e canto bene. No, bisogna avere un dono che in parte è simile a quello dell’attore… calarsi in quello che si sta andando a cantare, farlo proprio. Dare un peso alle parole che si cantano, sapere quale parola necessità di essere valorizzata e sottolineata nel cantato e quale magari per dinamiche del testo va sussurrata o lasciata scivolare via velocemente.
Alcuni dei grandi nomi della musica italiana sono stati essenzialmente “solo” degli interpreti: 0Mia Martini, Mina, Ornella Vanoni, Gianni Morandi, Patty Pravo, Massimo Ranieri, Anna Oxa, Loredana Berté fino ad arrivare a nomi più “freschi” come Noemi, Marco Mengoni, Alessandra Amoroso e via dicendo.
Oggi ci sono artisti affermati che si ostinano a scrivere le loro canzoni quando hanno poco da dire e soprattutto non sanno dirlo. Ecco, alcuni di loro potrebbero lasciare qualche canzone in più alla storia se solo capissero che quella canzone può essere scritta da qualcun altro.
Quindi il mio consiglio è di fare autocritica anche in questo caso e di collaborare, cercare qualcuno che scriva con voi o per voi se quello che state andando comporre non è abbastanza incisivo. Non vi accontentate.
Punto 4. Curate ogni singolo dettaglio.
Come voi potrebbero essercene tanti. Sicuramente al concorso si presenteranno tante altre persone. Trovate il modo giusto per “rimanere” impressi in chi vi ascolta.
Il look. Se sei Tiziano Ferro o Lucio Battisti a me che tu arrivi con un look totalmente anonimo può anche fregarmene zero, ma siccome talenti di questo tipo non se ne trovano così tanti, trovate la vostra immagine, che sia anche solo un particolare, ma non vi presentate come quando andate a comprare il pane la mattina.
La Canzone. Il brano che presentate ha un peso, vi rappresenta. Non uscitevene con frasi del tipo “L’ho trovato/scritto all’ultimo momento…“, “è la prima volta che lo canto…” etc etc… NO. Portate una canzone di cui siete certi, un brano che metta in risalto chi siete, la vostra pasta vocale, e cantatelo e ricantatelo finché non è realmente “vostro”. Non è buona la prima… quasi mai.
Lo specchio. No, non dovete portarvi uno specchio da casa, ma è importante che proviate davanti ad uno specchio o filmandovi, la vostra esibizione. Alcuni esempi…
Tutti noi abbiamo dei difetti fisici, facciamo in modo da non accentuarli cantando sempre girati in una prospettiva dove quel difetto è messo in bella mostra.
Le espressioni facciali quando cantiamo sono importanti… esprimono e rafforzano quello che stiamo comunicando. Se canto una canzone triste non posso sorridere tutto il tempo ma, allo stesso tempo, non è che devo avere per tutto il brano “l’espressione del suicidio”. Anche nella canzone ci sarà un attimo di speranza e un sorriso al momento giusto può trasmettere molto.
Cantare ad occhi chiusi spesso può “bloccare la comunicazione”. Non è che non si possa fare, ma è qualcosa che va dosato. Gli occhi chiusi possono nascondere insicurezza, timidezza ma sicuramente impediscono in parte a chi ci ascolta, se ci sta guardando, di sentirsi partecipe.
I movimenti. I movimenti del nostro corpo sono importanti, in alcuni casi, durante un’esibizione. Se porto un brano ritmato non per forza devo essere un ballerino nato, anche perché il ballo non è per tutti, però posso cercare alcuni movimenti, alcune semplici mosse che facciano in modo che io sia “sincronizzato” con la canzone. Stessa cosa su un pezzo lento, curate la gestualità. Trovate i vostri movimenti, il vostro accompagnare la voce. Fate attenzione a non fare gesti bruschi o che nulla hanno a che vedere con quello che dite. Esempio banale per capirci, se mi stai cantando del volo, se spalanchi le braccia è più facile che io rimanga visivamente colpito rispetto allo stringere con forza e con entrambe le mani il microfono quasi dovesse andarsene da un momento all’altro.
Punto 5. Tutto quello che avete letto conta tutto e non conta nulla.
Tutto quello che avete letto fino ad ora sono semplicemente alcuni consigli nati dalla mia esperienza con cantanti affermati e dalle audizioni a cui ho assistito. Possono essere importanti, o meglio tornare utili… un valore aggiunto magari. Ma l’unica regola di questo assurdo lavoro è che non ci sono regole. Tutti i pronostici possono essere ribaltati, un colpo di fortuna può cambiare una vita o semplicemente il vostro talento è così grande che supera ogni considerazione che possiamo fare con lucidità.
Se questo famoso talento lo avete, se siete sicuri di voi ma non arroganti, se cantate come se fosse l’ultima cosa che farete nella vostra vita, se avete un’anima che pesa come una casa e trovate il modo di tirarla fuori in musica, allora non c’è nulla da pensare e riflettere, prima o poi il talento trova la sua strada e supera tutti i no e tutti i forse.
In bocca al lupo!