Ieri, 26 maggio 2015, è stato presentato a Milano Astronave Max, il nuovo album di Max Pezzali in uscita il 1° giugno.
Una lunga chiacchierata con Max attorno ad un tavolo, un’atmosfera da vecchi amici, molto alla mano e positiva, così come Max Pezzali ci ha abituato in tutti questi anni di carriera.
Noi di All Music Italia eravamo presenti insieme ad alcuni rappresentanti di altri siti musicali e non, e abbiamo avuto la possibilità di fare una lunga chiacchierata con Max sul suo nuovo disco finendo per parlare anche di un nuovo modo di percepire gli eventi della vita.
Ecco cosa è successo ieri sull’Astronave Max…
Ciao Max. Che cosa rappresenta per te l’astronave che dà il titolo al tuo nuovo album?
L’astronave può avere una doppia interpretazione: innanzitutto è l’astronave madre che racconta quel luogo non luogo simbolo del nostro tempo, il centro commerciale. I centri commerciali da Curno a Marcianise sono tutti uguali! Rappresentano lo sradicamento delle persone dalle piazze di una volta, verso la piazza surrogata creata nel centro commerciale. Piazza surrogata per socializzazione surrogata, shopping per vita surrogata.
Ormai abbiamo bisogno di luoghi fatti apposta per riuscire a sopravvivere. Guardo con soddisfazione e ammirazione, senza giudizio morale. Astronave Madre è un pezzo psichedelico i cui parlo di questo luogo in cui vado spesso, un teatro in cui sono rappresentate le vicende umane di persone che diventano quasi degli automi. Le persone vanno al centro commerciale per fare un giro al chiuso, senza fare niente, come criceti nella ruota.
Da qui l’idea di chiamare l’album Astronave Max: il tema dell’astronave è l’allontanarsi dalla Terra e vedere le cose in prospettiva. Ciò che sembra un gigante, da lontano diventa piccolo ed è questo il senso di tutto l’album: a 47 anni non cambi nel modo di raccontare le cose, la realtà è che vedo ancora in un modo abbastanza simile a prima, ma l’età ti porta ad avere una diversa prospettiva, perché ciò che vedi è messo in un contesto più largo, da cui riesci a comprenderne la relatività. Vedi a distanza il grande amore della tua vita e, come col senno di poi, ti rendi conto che il fatto che sia finito, potrebbe essere un pericolo scampato!
Quando vado in un club di musica elettronica e vedo le nuove generazioni, mi rendo conto che hanno molte più similitudini col me giovane di quanto pensassi.
Stessa cosa quando vedo una coppia giovane legata dall’amore complice ed eroico alla Bonnie e Clyde. Mi chiedo: “Cosa avranno da limonare così tanto?” e, se sei con la tua partner, lei ti guarda e ti dice: “Guarda invece come sei tu adesso!”. Eh no, io sono uno normale!!! E poi ci penso e capisco che anch’io a quell’età ero come loro.
Vedere le cose in prospettiva ti fa commuovere, ti fa pensare al te stesso di un tempo e quasi ti verrebbe di dire a quei ragazzi di fare attenzione perché dopo poco tutto cambierà. La vita è un gioco di prospettive e di allontanamenti, di rimettere tutto al proprio posto e l’età di dà un maggiore distacco, ma sempre con l’idea che le cose finiranno sempre bene.
Credo sempre che questa sia la migliore delle epoche possibili. Tutto sommato la contemporaneità, con tutti i suoi difetti e limiti, rappresenta il punto più avanzato che l’umanità, fino a questo momento, ha raggiunto.
L’ottimismo permane e continuo a credere nel progresso come elemento trainante positivo.
Tu sei stato il cantore della provincia degli anni ’90, in maniera positiva. Secondo te con internet e la tecnologia c’è ancora questo senso di comunità, di provincia?
Io credo di sì, ma ho notato che la provincia che conoscevo io è molto cambiata perché molte zone sono diventate aree dormitorio. La crisi ha colpito i piccoli centri più delle città e la gente ora lavora a Milano, le persone non sono più fisicamente lì in provincia, ci arrivano la sera tardi e se ne vanno la mattina presto, senza vivere i luoghi.
La provincia negli anni ’90 aveva la consapevolezza di non sapere cosa succedeva altrove, veniva tutto immaginato! C’erano le riviste che andavamo a comprare all’edicola della stazione…
Chi arrivava in città dalla provincia il sabato sera, si riconosceva subito anche da come era vestito. I milanesi ci riconoscevano subito perché noi eravamo quelli sempre con la taglia sbagliata: se volevi il Chiodo, al negoziante ne erano arrivati due, una L e una XL. Se aveva già venduto la L, ti diceva che la XL ti andava bene, bastava metterci un maglione sotto. Così noi di provincia eravamo quelli con il Chiodo troppo grande.
C’era l’immaginazione, la provincia doveva creare una propria identità per immaginare cosa succedeva fuori: dovevi unire i puntini da solo e veniva fuori una cosa diversa da quella della città.
In più la provincia creava l’obbligo di coesistenza tra persone diverse. Se eri a Pavia e ascoltavi il punk, al massimo c’erano altre due o tre persone come te e non c’era un locale dove incontrarsi. Il ritrovo era insieme a tutti gli altri, paninari, metallari e vecchi che si bevevano il bianchino. Tutti allo stesso bar. Non potevi rivolgerti alla tua nicchia, dovevi sviluppare un linguaggio che ti permettesse di comunicare con tutti. L’alternativa era che venivi menato… o menavi!
Oggi anche chi è nicchia i provincia, è connesso con tutte le altre nicchie d’Italia e può creare un punto d’incontro digitale con chi pa pensa come lui. All’epoca dovevi fidarti di chi non era come te, ma ti aiutava a non essere dogmatico, a mischiarti. Oggi internet, invece, permette ad una nicchia isolata di comunicare a distanza in luoghi non fisici.
Quanto l’idea dell’album di osservare il tutto dell’astronave ha a che fare con questo discorso?
Osservare tutto a distanza è qualcosa legato al tempo, non allo spazio. L’allontanamento non è esprimibile in chilometri, ma in anni. La relativizzazione delle cose è l’unica cosa positiva dell’età.
In 47 anni di vita certi corsi e ricorsi li hai già visti 7/8 volte e così capisci che è un movimento circolare. Se non ci fosse l’esperienza di avere già visto il cambiamento avvenire e poi annullarsi, avvenire e poi annullarsi di nuovo, questa prospettiva non l’avresti. La canzone Generazioni spiega proprio com’è arrivare in un club senza essere preparato. Io che ero abituato alla discoteca degli anni ’90, all’inizio mi sembrava un inferno in terra! Poi mi sono reso conto che infondo non è cambiato molto: gli atteggiamenti di quei ragazzi e quello che stanno cercando sono le stesse cose che volevi tu. Le generazioni di oggi non sono né meglio, né peggio di noi. Per quelli della mia età il casino era esattamente come oggi. Non c’è unicità nella sofferenza: il nostro disagio l’ha già provato qualcuno e qualcun altro lo proverà di nuovo dopo di noi.
I ragazzini sono più alienati?
Penso sia più che altro un problema di comunicazione. È come se si fosse demandata la socializzazione a luoghi non fisici: la gente si conosce già prima e si mette d’accordo ancora prima di vedersi. Prima se l’appuntamento era alle 8 al bar e arrivavi tardi, eri fottuto, non avevi idea di dove fossero li altri e arrivavi all’1 di notte senza aver combinato niente.
Oggi i ragazzi arrivano in un posto che hanno già socializzato, arrivati nel club diventa importante solo l’esperienza sensoriale, la musica. I luoghi sono diventati posti per consumare beni e servizi e non per parlarsi e raccontarsi del più e del meno. Quello si fa dopo.
DOMANDA di ALL MUSIC ITALIA
Nel disco c’è una netta maturazione nella scrittura. Sei riuscito a mantenere intatto lo stile ingenuo, passionale e sognatore che ti appartiene dai tempi degli 883, con quello di Max Pezzali uomo adulto e padre. È stato un processo facile, difficile o non te ne sei accorto?
Penso ci sia un’evoluzione naturale. Mi sono trovato nella condizione di chiedermi che cosa scrivere e se ciò che canto interessa a qualcuno.
È la sindrome del foglio bianco, quando vorresti scrivere tutto, ma fai solo mille tentativi e continui a buttare fogli di carta. Poi ti rendi conto che l’unica cosa che sai fare è raccontare quello che conosci, quel tuo centimetro quadrato. Non puoi parlare di tutto, ma solo di ciò che conosci e ti è vicino. E questo sblocca il meccanismo, è la consapevolezza.
Raccontare del mio immediato anche a 45/47 anni, non esistono argomenti da giovani o da vecchi, esiste la realtà, qualunque essa sia, ma è la tua che ora riesci a raccontare con la lente della tua età.
DOMANDA di ALL MUSIC ITALIA
Hai il dono di riuscire ancora oggi a scrivere con il linguaggio dei giovani. Hai mai pensato di prendere sotto la tua ala un giovane artista per produrlo e scrivere per lui e tramandare in questo modo lo “stile 883”?
Una volta ho scritto un testo, 100.000 parole d’amore, per un ragazzo di X-Factor, Davide Merlini che ora fa musical. Mi piaceva molto l’idea.
Sicuramente mi sarebbe più facile scrivere per un ragazzo giovane piuttosto che per uno della mia età o più vecchio. Non riesco ad entrare nell’immaginario di un cantante di mezza età!
Sarebbe bello idealmente passare il testimone a qualcuno che abbia voglia di raccontare la propria realtà, ma al momento non mi sento bravo come produttore o talent scout.
Sergio Carnevale (batteria) e Luca Serpenti (basso) fanno parte della tua band. Come influenzano la tua musica?
Loro erano con me in tour già con Max 20. Sergio viene fuori dai Bluvertigo.
La band con cui sono in giro penso sia veramente Godsend, una benedizione di Dio perché oggi c’è bisogno di sonorità di questo tipo per uscire dalla dinamica del concerto scontato con musica perfettamente eseguita, ma priva di anima. Io voglio musicisti che siano anche autori, per perdere qualcosa in tecnica e precisione, ma guadagnare molto di più in impatto emotivo. Voglio comunicare ogni volta qualcosa di diverso.
Tutti i musicisti arrivano da scenari diversi e, mettendo insieme queste cose, si riesce ad ottenere un suono moderno e contemporaneo.
Già ascoltare un disco dall’inizio alla fine è dura, se poi c’è un suono scontato, roba vecchia… hai già perso la battaglia in partenza. Devi creare un suono contemporaneo che rappresenti l’adesso.
DOMANDA di ALL MUSIC ITALIA
Il nuovo singolo Sopravviverai è la calma dopo la tempesta? Il proseguimento naturale di Odiare che hai scritto lo scorso anno per Syria?
Si, è come se lo fosse.
Fino ai 35 anni siamo tutti convinti che, quando finisce una storia, non ci si rialza più. Invece ci si rialza sempre. Siamo come delle barche inaffondabili: anche se si ribaltano, tornano sempre dritte.
Il vero problema della fine di una storia è l’autocompiacimento. Io non sopporto neanche me stesso quando mi compatisco!
Tendo ad avere nostalgia di qualsiasi cosa. Basti pensare che a 27 anni ho scritto Gli anni… di che cosa avevo nostalgia, di quando avevo 15 anni? È un sentimento quasi di maniera, mi piace l’idea di rimpiangere qualcosa, ma devo dirmi ma vaffanculo! Il continuo torturarsi è la ricerca del compatimento degli altri, mentre la voce razionale nel cervello ci dice di non rompere i coglioni, di smetterla di pensare alle immagini bucoliche del tempo che se ne è andato, la voce razionale ti dice di dormire che domani hai una giornata lunga. E più vai avanti, più la parte cinica diventa enorme e ti dice ma sei scemo?!
Arrivi al punto di capire che il 99% dei tuo fallimenti dipendono solo da te e dai tuoi comportamenti che ti portano ad essere avvicinato solo da persone con determinate caratteristiche. Quando te ne rendi conto, o ti colpevolizzi, o cerchi di lavorare su te stesso e ce la puoi fare. Oppure capisci che tu sei così e cerchi di limitare i danni, cerchi di evitare i comportamenti che ti portano a mettere il piede sulla mina.
Come stai lavorando al tour, quali canzoni ci saranno?
Dopo le 33 date tutte sold out del tour di due anni fa, mi piacerebbe che venissero rappresentati tutti i successi del passato, ma c’è abbastanza tempo per far ascoltare al pubblico le nuove canzoni. Cercherò di capire quali sono quelle che piacciono di più alla gente per capire quali sono le 4/6 che si possono fare, ma voglio che il peso maggiore sia delle vecchie canzoni.
Il concerto deve essere un evento collettivo e le persone vogliono cantare le canzoni che hanno rappresentato una parte della loro vita.
Quali concerti andresti tu oggi a sentire?
Vasco Rossi, Lorenzo Jovanotti negli stadi… mi piacerebbe vedere Nek e Cesare Cremonini che fa un sacco di belle cose.
Oggi ti senti di più un utente della rete attivo o passivo? E alla fine qual è la soluzione per sopravvivere in questo mondo?
Io sono uno dei primi utenti e sono sempre stato attivissimo nel trovare una connessione con il resto del mondo. Oggi cerco di essere attivo, ma mi sento un po’ come il metallaro… quello che ascoltava metal che scopre che la sua band preferita adesso la ascoltano tutti. Non è più il mio giocattolo! Il fatto che mio padre abbia il tablet e vada in internet e legga… mi sembra che mi abbiano rubato un giocattolo!
Internet è commerciale e ora mi sta sui coglioni, perché è diventato fruibile anche dai non tecnologicamente alfabetizzati. Sono attivo, ma non sono abbastanza attivo perché sono stato tradito dalla tecnologia che prima era per noi pochi tecnologicamente alfabetizzati!
Cerco di essere critico nei confronti degli strumenti tecnologici: non tutto è figo, utile e divertente. La tecnologia non è solo Facebook e Facebook mi fa schifo! Trovo sia un luogo dove la gente scarica addosso agli altri le proprie frustrazioni, c’è un traffico di roba inutile e tutta quella larghezza di banda è occupata da minchiate!
Mi piace twitter, perché c’è un limite di caratteri. Ma l’italiano medio non lo ama perché in 140 caratteri non è neanche uscito di casa.
Mi piace Instagram perché è una foto e basta.
Facebook invece è diventato come una grande assemblea di istituto con due coglioni così.
Internet mi piace quando è sintetico e arriva subito.
Quanta rete c’è nel tuo disco?
Non avrei mai potuto fare questo album senza l’utilizzo intenso della rete. Davide preparava le basi e me le mandava, io le cantavo e gliele rimandavo su dropbox. Questa è la figata! Essere liberi di trasmettere le cose. Abbiamo fatto un album in remoto e me ne vanterò sempre.
Siamo all’interno di un frullatore mediatico in cui ci vengono fatte credere delle verità preconfezionate e ho paura che seguire troppo le regole e i consigli vengono dati sia una limitazione.
Non bisogna credere troppo a quello che ci dicono, nel bene e nel male. Le spiegazioni troppo semplici di solito non sono vere perché la realtà è complessa. Bisogna seguire le proprie attitudini indipendentemente da quello che dicono gli altri. Se hai quell’attitudine, devi realizzare quella cosa… senza gli e ormai. C’è sempre spazio per realizzare la tua strada. Non bisogna credere troppo al buonsenso comune.
DOMANDA di ALL MUSIC ITALIA
Tu sei sempre stato molto avanti, la tua attitudine nello scrivere era simile in qualche maniera a quella dei rapper… fotografie della società, del quartiere… infatti nel 2012 hai rifatto il tuo primo disco, Hanno ucciso l’uomo ragno rendendolo attuale nel sound con la collaborazione di diversi elementi della scena rap italiana. E’ un esperimento che avrà un seguito?
Mi piace la contaminazione. Ora è tutto rap + pop, è il momento in cui tutto è featuring di tutti. È la rapper mania senza costrutto, ed è un peccato. Bisognerebbe essere più cauti nelle uscite, perché si arriva facilmente alla saturazione, perché la gente si rompe le palle facilmente.
DOMANDA DI ALL MUSIC ITALIA
Visto che ami le sperimentazioni e le contaminazioni, che disco ti piacerebbe fare in futuro?
Mi piacerebbe fare un discorso di collaborazione, ma non un featuring. Qualcosa che nasca insieme al rap, al rock indipendente… miscelare musicisti diversi e realtà diverse in un solo album, ma non è ancora il momento.