Una delle rivelazioni del team di Raffaella Carrà della prima edizione di The Voice of Italy, Manuel Foresta, salernitano classe 1988, dopo il talent ha continuato la sua gavetta condividendo numerosi palchi con blasonati artisti della scena italiana.
Nelle scorse settimane ha pubblicato il singolo “Se fossi ancora qui” (etichetta Rusty Records) che fa da apripista all’album di debutto in uscita nei prossimi mesi e All Music Italia lo ha raggiunto per chiedergli cosa gli è rimasto dell’esperienza nello show di Rai 2 e cosa vede nel suo futuro professionale.
Ciao Manuel e grazie per l’intervista! Ti abbiamo conosciuto grazie a The Voice of Italy. Com’è stata quest’esperienza e come mai hai scelto The Voice e non gli altri due talent in voga in Italia, ovvero Amici e X Factor?
L’esperienza di The Voice è stata entusiasmante perché tutto è successo per caso quando non cercavo quasi più niente e mi ha cambiato la vita perché ha cambiato il mio atteggiamento: sono riuscito tramite The Voice a ritrovare l’entusiasmo per quello che faccio, l’amore e la passione che mi aiutano giorno per giorno ad andare avanti. Mi ha regalato la semplicità dell’approccio, perché mi sono confrontato con delle persone, i coach, che lo facevano per la prima volta, e quindi avevano tutto l’entusiasmo da poterci trasferire e noi come delle spugne lo abbiamo assorbito. Poi io sono stato particolarmente fortunato avendo Raffaella Carrà dalla mia parte, come coach, perché chi più di lei può sapere tutto sullo spettacolo e insegnarlo a qualcuno? È stata una grande opportunità.
Ho scelto The Voice anziché X Factor o Amici perché è capitato, non perché io non ci abbia provato precedentemente. Sono dell’idea che le cose succedano nel momento giusto, quando devono succedere, e soprattutto mi sono sempre augurato che mi succedesse qualcosa quando fossi stato abbastanza maturo per poterla gestire. Ho tentato i provini degli altri talent quando ero molto piccolo e fortunatamente non sono stato scelto perché altrimenti sarebbe stato un problema gestire il tutto, poiché quando si è molto piccoli non si ha la percezione di quello che ci succede attorno e la possibilità di controllarlo. Sono arrivato a The Voice quando avevo già 24 anni e la maturità giusta per affrontarlo, certo, bisogna sempre crescere, ma mi sono sentito più in grado di gestire l’esperienza.
Hai parlato dei coach. Sei stato nella squadra di Raffaella Carrà che, se vogliamo dirlo, è quella che ci ha visto più lungo in quanto la tua ex-compagna di squadra Veronica De Simone è arrivata al Festival di Sanremo e adesso tu hai la possibilità di presentarci il tuo nuovo lavoro. Per tanti la Carrà è un’icona dello spettacolo, la vediamo in tv sempre esuberante, ma com’è Raffaella dietro le quinte?
Raffaella è molto attenta ai particolari, ai dettagli. È attenta alle persone ed ha la capacità di comprendere chi ha davanti in un attimo. Ho avuto l’impressione che lei mi abbia capito da subito e abbia instaurato con me il giusto rapporto di comunicazione. Quando si spengono le telecamere non è diversa da quello che vediamo, è sempre al massimo delle sue energie. Ricordo che la mattina alle otto lei era la più pimpante, alle prove ballava e cantava, e quando si arrivava alle dieci di sera (perché magari si pensa che i coach a una certa ora andassero via, invece no, rimanevano con noi fino alle fine delle prove) lei aveva ancora tutte le energie, mentre noi ventenni boccheggiavamo ed eravamo più stanchi. Lei ci ha insegnato proprio questo: non abbassare mai la guardia, né alle otto di mattina, né alle dieci di sera.
Hai partecipato alla prima edizione italiana di un talent che in tutto il mondo ha un grande successo, senza sapere cosa aspettarti. Tuttavia l’anno scorso, rispetto a quest’anno, il programma ha avuto una eco minore e, rispetto ai due talent già citati, è stato accolto con meno entusiasmo. Detto onestamente, ti aspettavi una diversa ricezione da parte del pubblico italiano? Come vivevi, dall’interno, quello che succedeva?
Quando sei dentro non ti poni queste domande, cerchi di mirare, almeno per quanto mi riguarda, all’obiettivo, di concentrarti sul tuo lavoro e di portare sul palco esibizioni curate nei dettagli, senza tralasciare nulla. Per quanto riguarda la ricezione del pubblico… penso che non avere un’eco troppo accentuata sia una fortuna. Sono dell’idea che bisogna crescere pian piano, tassello dopo tassello. Spesso in altri talent la vita dei partecipanti cambia in modo troppo repentino, all’improvviso ti trovi catapultato in un mondo diverso, mentre io ho avuto la “sfortuna” (se così vogliamo chiamarla, ma io non la reputo tale) di vivere un passaggio graduale, di entrare in un meccanismo nuovo, in una sorta di nuovo mondo, in punta di piedi. Col senno di poi penso che questo sia molto importante.
J-Ax è stato il mattatore di questa edizione ed è stato proprio lui a guidare la futura vincitrice del talent, la “benedetta” (è proprio il caso di dirlo!) Suor Cristina. Una domanda sulla suora non può proprio mancare: tu cosa ne pensi di questo fenomeno?
Ho vissuto quest’edizione di The Voice molto da vicino e appena ho visto la suora sul palco la prima reazione è stata di grande entusiasmo perché a me queste cose piacciono, le trovo intelligenti. Ormai con così tanti talent e programmi c’è un appiattimento e un conseguente calo di attenzione quindi ben vengano le situazioni in cui c’è una nota diversa, una diversità che possa essere raccontata, con l’abito monacale o in altri modi. L’importante è che ognuno esponga le proprie opinioni a modo proprio e a me sembra che Suor Cristina dica la sua dal suo punto di vista, con grande umiltà. Non può essere che un fenomeno interessante e come tale mi ha divertito ed appassionato, in quanto spettatore. Non penso assolutamente sia un problema se una suora faccia qualcosa del genere, lei racconta se stessa e in una realtà eterogenea fa colore ed è giusto che venga rappresentata.
Durante il programma non hai mai pensato che Suor Cristina stesse togliendo un’opportunità agli altri concorrenti? Da un lato è riuscita a dare molta visibilità anche a loro, ma dall’altro lato l’esito finale è stato sin dall’inizio un po’ scontato, per cui dev’essere stato un po’ difficile per gli altri talenti in gara…
Ad essere onesto all’inizio forse ci ho pensato, mi sono messo nei loro panni e ho pensato che fosse stato il mio anno e avessi avuto una suora fra i concorrenti in gara magari ci sarei rimasto un po’ male pensando che lei potesse catalizzare tutte le attenzioni. Effettivamente però non cambia niente rispetto ad altri talent show. Nel suo caso è l’essere suora a renderla personaggio ma in tutti i talent c’è un personaggio che solitamente cattura l’attenzione per un motivo o per l’altro ed è proiettato verso la vittoria. Succede puntualmente. Scandalizza il fatto che sia una suora ma non mi sembra che possa essere una ragione valida per serbare rancore e provare insofferenza proprio perché, come dicevo prima, porta un colore diverso. La sua condizione può lasciare interdetti, ma solo a primo acchito, poi ti rendi conto che è una persona normale come tante altre e che sta solo sfruttando la sua occasione.
Hai affermato di aver seguito molto da vicino questa edizione. Ipotizzo anche perché nel cast c’era una persona che tu conosci da molto tempo, ben prima della tua partecipazione al talent, ovvero Luna Palumbo, alla quale ti lega una bella amicizia. Ho inoltre notato che dalle tue pagine social hai invitato i tuoi fan a votarla. Che rapporto c’è fra voi due e quali sono le voci che ti hanno più colpito quest’anno?
È stato un grande piacere vedere Luna a The Voice, nonché un modo per rivivere la mia avventura poiché vedendola sul palco mi sono rispecchiato anch’io nella sua esperienza. Sono stato felice di come è stata accolta dal pubblico. Siamo amici da tanti anni ormai, abbiamo preso tante porte in faccia e vederci sullo stesso palco, seppur in momenti diversi, è stata una soddisfazione maggiore.
A parte quella di Luna quest’anno molte voci mi hanno colpito. Mi è piaciuta molto Giorgia Pino, la finalista del team Noemi, perché credo ci sia bisogno di voci diverse e lei ha una voce che può fare la differenza in radio e poi mi piaceva il modo di rapportarsi alle esibizioni di Tommaso Pini, stravagante ed eclettico. Questo approccio a me piace particolarmente.
Chiudo il capitolo di The Voice chiedendoti com’è nato “Déjà vu”, l’inedito che presentasti durante il programma. Ne approfitto per sottolineare che un aspetto che apprezzo del talent di Rai 2 è che sembra che tutti gli inediti rispecchino davvero la personalità degli interpreti. Sei d’accordo?
Sì, questo lo abbiamo notato subito tutti quando ci siamo ritrovati in sala di registrazione. È capitato di confrontarci tra di noi, tra un take e l’altro, e ci siamo resi conto che ognuno stava avendo la possibilità di raccontare il suo mondo attraverso un inedito che rispecchiasse la propria personalità.
Déjà vu è arrivato all’improvviso. Me lo hanno proposto e ho instaurato da subito una certa empatia con il brano, ho capito che c’era la giusta vena ironica e le sonorità che mi piacciono. L’idea di cantarlo fin da subito mi ha dato la carica, ho pensato che fosse il pezzo giusto con cui coronare l’esperienza anche in base al contesto, alle esibizioni che ho portato sul palco. È stato scritto da Emiliano Palmieri, che poi è diventato mio amico, perché quando si ha la fortuna di trovare un autore che scrive bene e nelle proprie corde si è portati ad instaurarci un rapporto più intenso.
Dopo il talent hai avuto la possibilità di esibirti in tante location. Hai girato l’Italia con un tour, hai partecipato al Premio Lunezia, al Giffoni Film Festival, all’evento Buon compleanno Mimì e hai aperto i concerti di alcuni big della musica italiana: Malika Ayane, Alex Britti, Raphael Gualazzi, Simona Molinari e Renzo Rubino. Raccontaci un po’ cosa ti hanno donato…
Sono stati tutti preziosi perché mi hanno regalato un’opportunità immensa, quella di pormi verso il pubblico vero, dei live, che va ad ascoltare i concerti e che magari non è lì per te, va ad ascoltare un Big, e si ritrova te come opening act, quindi ti ascolta con un orecchio diverso. Ho avuto la possibilità di “alzare l’asticella” e di guadagnare sul palco una maturità diversa da quella dimostrata precedentemente.
Tutti questi cantanti si sono posti nei miei confronti con grande naturalezza e spontaneità e i loro consigli li porto dietro come fossero gioielli. Malika Ayane, prima fra tutti, è una di quelle che mi ha più sostenuto in questi mesi perché dopo aver aperto i suoi concetti si è un po’ “affezionata” a me e ci teneva a sapere cosa facessi, quali fossero i miei progetti. Mi ha dato numerosi consigli, idem Simona Molinari che ho visto in più occasioni e ultimo, in ordine cronologico, Renzo Rubino, che a me piace particolarmente come artista poiché eclettico, sul palco porta se stesso e le sue idee al 100%, fonde teatro, musica e spettacolo. Come una spugna ho assorbito tutte le loro caratteristiche, tutte le cose più belle viste in loro le ho prese e le ho fatte mie, sperando di riuscire a declinarle nelle mie esperienze successive.
Hai tentato poi la carta Festival di Sanremo, categoria Giovani, con il brano “Quello che sono”. Sei arrivato alle fasi finali delle selezioni ma non ce l’hai fatta, c’è tuttavia tempo per riprovarci! Come vede un emergente il palco dell’Ariston?
Per me in questo momento sarebbe una bella occasione perché il Festival di Sanremo è un’opportunità diversa rispetto a tutti gli altri palchi che si possano calcare. È una sorta di battesimo nel mondo della musica, quindi il poter approdare su un palco del genere è l’occasione che uno aspetta per poter coronare un percorso. La gavetta, di cui si parla spesso, verrebbe ben ripagata!
Sanremo sarebbe un ulteriore passo in avanti e nel mio caso servirebbe a superare l’idea del talent perché dopo il talent si fanno tante altre cose, mentre si pensa che per noi la gavetta non esista. Penso che l’ideale sia porre il talent come inizio della propria avventura ma fuori bisogna lavorare, girare, fare le proprie cose, raggiungere risultati diversi. Sanremo in questo senso rappresenta un grande traguardo, anche come immagine e contatto con il pubblico.
Nella tua vita è arrivata la Rusty Records, etichetta che ha dalla sua molti artisti già noti al pubblico come Antonio Maggio, i Tazenda e Roberta Bonanno. Com’è nata questa collaborazione professionale? Chi ha trovato chi?
È stato un incontro casuale. Ovviamente se ne fanno tanti di incontri del genere soprattutto nel momento in cui cerchi di materializzare quello che è il tuo lavoro, cerchi di instaurare dei rapporti con diversi tipi di realtà, di etichette, di major ecc. L’incontro con la Rusty è avvenuto come avviene un incontro con amici di amici. Nel momento in cui ci siamo incontrati ci siamo scelti, istintivamente. Loro hanno puntato su di me con grande coraggio e tempestività, perché hanno deciso subito di impostare il lavoro e ci siamo rimboccati le maniche. Ho avuto fin dal primo momento l’impressione di potermi fidare di loro. Stiamo proseguendo su questo sentiero sperando che porti dei frutti.
E infatti sei qui per presentarci “Se fossi ancora qui”, il primo frutto di quest’albero targato Rusty Records. Spiegaci com’è nata questa canzone e il suo significato.
Abbiamo iniziato un percorso di ricerca per trovare dei brani che potessero rappresentarmi e farmi esprimere a pieno. Questo brano ci ha catturati perché c’è una duplice componente, da un lato il tango e dall’altro il beat elettronico, che apparentemente cozzano tra di loro ma in realtà in questo brano si completano dando un risultato inedito, una lettura diversa rispetto ai suoni tradizionali. In più c’è un testo molto diretto che parla chiaramente di tematiche semplici ma trattate da un punto di vista contemporaneo, quello di un ragazzo qualunque che dice delle cose con semplicità. Mi sono piaciute subito le parole scritte da Simone Baldini Tosi, l’autore, per cui abbiamo deciso di puntare su questo brano come apripista del nostro lavoro.
Stai lavorando al tuo primo progetto di inediti, senza dubbio avrai già buttato giù alcune idee. Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo album di debutto?
Sicuramente questo singolo parla chiaro su quello che sarà poi l’album, un insieme di tutto ciò che mi piace, quindi suoni e strumenti tradizionali, come il pianoforte, la fisarmonica, già presenti in “Se fossi ancora qui“, ma allo stesso tempo ci sarà l’audacia dei suoni contemporanei. Cercheremo di concretizzare con questo lavoro questo duplice aspetto sperando di spalmarlo in tutte le tracce dell’album e di… centrare il bersaglio!
A parte il lavoro sull’album l’estate di Manuel Foresta come sarà?
Bollono tante cose in pentola, alcune ancora ufficiose. Di ufficiale però c’è il primo appuntamento con cui si aprirà la mia estate. Solitamente parto e chiudo sempre dalle mie zone, poi nel mezzo faccio dei giri immensi. Domani sera sarò alla Notte Bianca di Salerno, la mia città, un evento che suscita l’interesse di tante persone e avrò l’occasione di esibirmi con un mio concerto. Inoltre il 16 luglio sarò con la mia band ad Asti e ci esibiremo prima del concerto di Zibba & Almalibre durante AstiMusica 19 (ve ne abbiamo parlato QUI, ndr). Ci saranno poi altri appuntamenti ma che al momento non posso rivelare!
Ultime domande! Quando accendi l’iPod cosa ti piace ascoltare?
Parto da vecchi successi, come quelli di Edith Piaf, fino a Elisa, Giorgia, Malika, quindi artisti italiani contemporanei. Vado un po’ qui e lì con gli ascolti, ritorno e riparto con Bob Dylan, oppure mi piace molto anche la musica francese. A proposito c’è un artista negli ultimi tempi che mi piace particolarmente, Zaz. Mi piace ascoltare tutto ciò che può essere d’ispirazione, senza avere un atteggiamento restio verso quello che potrebbe sembrare apparentemente lontano da me. Ascolto un po’ tutto con l’orecchio “critico” ma sempre come una spugna per assorbire.
Chiudiamo con un giochino, che io reputo molto simpatico e divertente, e che noi facciamo sempre qui su All Music Italia. Una sorta di gioco della torre, che noi chiamiamo “A chi rompi il disco?”.
Partiamo con: Elhaida Dani o Suor Cristina?
Lo rompo ad Elhaida perché siamo in Italia, giochiamo in casa con The Voice of Italy e voci italiane… anche se hanno il velo! (ride)
Amici o X Factor?
Rompo il disco di Amici perché X Factor lo seguo con grande interesse, è un programma che guardo con piacere.
Riccardo Cocciante o J-Ax?
J-Ax… perché non lo conosco! Cocciante invece sì, è stato sempre molto affettuoso con me e non potrei mai rompere il suo disco, sarebbe veramente un affronto!
Raphael Gualazzi o Renzo Rubino?
Questa è cattiva! Rompo il disco, anche se ti odio (ride), a Gualazzi perché con Rubino ho instaurato un rapporto più intenso, più diretto, più continuativo, e se lo rompessi a lui mi ammazzerebbe (ride ancora).
Marco Mengoni o Arisa?
Arisa perché Marco Mengoni è venuto fuori da un talent ma dal talent ha preso solo quello che c’era da prendere, come inizio, e poi si è conquistato la sua credibilità come interprete, e non solo, passo dopo passo. Per uno che ha fatto un talent, come me, è un bel punto di riferimento.
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