Aspettando Sanremo 2023 intervista a Ultimo per parlare di Alba, canzone e disco, del successo live e della sua evoluzione umana.
Il nuovo disco sarà lanciato il 17 febbraio, una settimana dopo il ritorno del cantautore al Festival di Sanremo. Un ritorno che arriva a distanza di quattro anni dall’ultima partecipazione e con alle spalle due tour negli stadi e uno in arrivo.
E proprio agli stadi guarda anche il sound del disco: più ricercato e consapevole, che testimonia la crescita artistica di Ultimo che all’attivo ha già 55 dischi di platino e 18 dischi d’oro.
Il tour Ultimo Stadi 2023 “La Favola Continua…”, per il quale sono già stati venduti oltre 250.000 biglietti, partirà dallo Stadio Teghil di Lignano Sabbiadoro il 1° luglio (data zero), proseguirà allo Stadio Olimpico di Roma il 7 (sold out), 8 (sold out) e 10 e si concluderà allo Stadio San Siro di Milano, il 17 e 18 luglio.
“La mia scommessa era vedere questo tour come sarebbe andato. Tre date a San Siro, tre date all’Olimpico più la data zero. E forse ne apriremo altre. Io ho sempre avuto la sensazione che avrei fatto questo nella vita e sono sempre stato un sognatore e sognavo in grande. Quindi speravo e forse sentivo che sarei riuscito a fare qualcosa di grande, ma non pensavo ad una risposta così…”
Così esordisce il cantautore in un incontro avvenuto per farci raccontare quello che è stato, quello che sta succedendo e, ovviamente, che sarà.
Intervista a Ultimo
Hai avuto un’estate pazzesca, hai un successo incredibile. Perché Sanremo?
Perché innanzitutto bisogna dividere il live dal discorso discografico.
Parto dal primo punto… il live è una cosa, io faccio tutto per il live, mi piace scrivere, presentare ma alla fine punto un po’ sempre al live. Secondo me non è che sei fai gli stadi devi dimenticarti quanto sia importante, soprattutto a 26 anni, mettersi in gioco, stare dentro un certo tipo di “presentazione”.
Io ho sentito la necessità, soprattutto dopo che ho scritto Alba, quindi quest’estate di mettermi in gioco e di farlo sul palco più importante che abbiamo in Italia anche per lasciare un ricordo diverso con una canzone che potesse rappresentare un’evoluzione.
Evoluzione alla fine vuol dire cambiamento, non per forza meglio o peggio. Io prima non avevo questo tipo di colore sentendo una canzone.
E poi anche perché ho un album che voglio presentare e che quindi prenderà la luce di Sanremo.
Ha 26 anni devo scrivere la mia storia, devo scrivere il mio repertorio e non posso permettermi di dire aspetto l’anno prossimo, faccio gli stadi… io ho voglia di fare, c’ho il fuoco dentro e voglio buttarmi perché mi piace.
È stata una scelta istintiva, se fosse stata una scelta basata sul criterio non penso che ci sarei andato, ma secondo me Sanremo non è un palco sui cui andare quando ti stanno a dimenticare, devi andare quando hai un pezzo in cui credi fortemente.
E poi ci sono tanti motivi per cui uno fa una cosa, non ce ne è mai uno solo.
Niccolò, tra i motivi di questo ritorno c’è anche un tuo cambiamento personale? Ricordo che quando hai pubblicato Solo, disco che sicuramente ti ha segnato, hai scritto una cosa molto bella su quanto siamo caricati in ogni ambito lavorativo di aspettative, di ansia per i numeri… l’ultima volta che sei stato al Festival eri la rivelazione del momento e il carico di aspettative su di te era molto pressante. Oggi hai imparato a fregartene un po’ forse?
Quello che dici tu è vero. Questo è il quinto disco che scrivo completamente da solo per musica e testi, per me la sincerità nella scrittura è fondamentale. Io su Solo ho fatto uscire il disco e non volevo proprio parlarne, non ho fatto presentazioni, perché per me Solo rappresentava uno sfogo totale. Quel disco è uscito in pandemia, con una mano in copertina che mi strozza nonostante ci sia qualcuno che dice “Madò sei pesante”… ma era quello che sentivo.
Quel disco si dove chiamare Il bambino che contava le stelle poi ho chiamato Max e gli ho detto – aò, io me sento solo, il disco di deve chiamare solo – per me la coerenza artistica è importante più delle logiche, quindi tornando alla domanda, ti direi di sì.
Solo è un album figlio del lockdown, della pandemia, di un momento bruttissimo in cui ci siamo trovati tutti a confrontarci con noi stessi. Io ricordo come raccontasti quel disco sui social quando usci e sto leggendo e ascoltando come racconti ora Alba. Il contatto con il tuo lato primitivo, con le certezze e le priorità messe in discussione, quindi Alba cosa racconta rispetto a Solo?
Alba è un viaggio sempre introspettivo con la differenza che hai voglia di raccontare quello che hai visto viaggiando dentro. Alla fine scrivo sempre io le mie canzoni al pianoforte, l’approccio è sempre lo stesso. Succede che scrivi Alba, la canzone, o scrivi un altro brano, Tornare a te, e hai la sensazione che qualcosa, c’è una frase, hai un modo di cantare che non avevi prima.
Per esempio sul brano di Sanremo non c’è una struttura strofa ritornello, nel senso che non c’è nelle mie canzoni è unica. Mi piaceva l’idea che era una canzone diversa con un testo che spinge a domandarti le cose. Per me quello è il gol.
In un video su Instagram hai detto, sempre parlando di Alba, “ogni persona ha un’alba dentro, basta solo guardare” quindi ogni persona ha dentro anche un tramonto. In questo disco c’è una canzone che è un po’ un tramonto?
Sì c’è, l’ultima. Tant’è che il disco parte con Alba, c’è lo svolgimento della giornata, e poi finisce con un pezzo che si chiama Titoli di coda.
Una curiosità sulla copertina del disco, anzi dei dischi. Anche in queste c’è un evoluzione. In Pianeti c’era un tuo primo piano, in Peter Pan eri tu che stringevi una barchetta di carta, il tuo lato bambino e i tuoi sogni tra le mani. Nel terzo disco eri seduto per terra gridando con le orecchie tappate e in Solo una mano ti strozzava. Alba è il primo disco in cui non ci sei in copertina, è tutta bianca, con un piccolo sole… cosa rappresenta questo percorso?
È un percorso esatto. Sentivo anche questa esigenza di non esserci in copertina onestamente. Volevo mettere qualcosa di minimale, anche il sole è piccolo infatti, è quasi totalmente bianca la copertina. Anche se riconosco che la faccia aiuta sempre, crea riconoscibilità, in questo disco volevo distogliere un po’ l’attenzione da me e focalizzarla solo sulle canzoni.
In questo momento tu come vivi rispetto alla celebrità, al tuo essere personaggio pubblico, c’è una guerra interiore tra il tuo apparire e il tuo essere discreto?
Io ho voglia di raccontarmi solo che secondo me oggi ci sono troppi modi per essere frainteso… a volte credo, anche sbagliando magari, che non facendolo che mi evito il fraintendimento, questo è il meccanismo che parte in me.
Credo che ho un approccio forse un po’ vecchio, da quel che mi dicono, perché ho sempre parlato tramite le mie canzoni, perché a volte non so nemmeno dire a parole quello che dico nelle mie canzoni, perché i brani sono delle immagini scattate dentro, sfocate, di cui tu salvi un dettaglio, lo prendi e lo metti nelle canzoni. Spiegare certi meccanismi è difficile, spiegare una canzone per me è difficile. Le canzoni dovrebbero bastarsi e auto alimentarsi.
Riguardo all’approccio, anche con le persone, mia madre mi ha sempre detto “Sei un orso”, ma io non premedito quando parlare e quando.
Eppure tante persone, nonostante tu ti senta un po’ orso, sono catalizzate dalla tua musica…
Mi sorprende il fatto che a marzo sono sette anni che è uscito Chiave, il mio primo singolo ufficiale, e questa risposta così incredibile da parte del pubblico è tanto perché oggi sette anni nel campo della musica non sono uguali a sette anni negli anni ’70, oggi tutto si è velocizzato.
Avere questi risultati adesso mi fa sentire orgoglioso e il modo in cui pubblico ricambia e la fiducia che continua a darmi è la cosa più importante. Nel disco c’è una canzone, Le solite paure, un brano piano e voce che è un po’ la ‘sorella gemella’ di Sogni appesi, c’è un concetto fondamentale che, siccome io vivo veramente tutto il giorno dentro la musica, a volte mi dicono – distraiti un attimo – e in questa canzone dico – è vero dovrei avere anche io una vita ma ho scelto di usare la mia per crearne una collettiva.
È il senso del mio approccio ai testi e alla musica. Quando ai concerti vedo la gente che si emoziona, che piange, mi viene in mente che quella non è solo una canzone. È tanto di più.