26 Settembre 2024
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26 Settembre 2024

Discoverland, Pier Cortese: “Ero è un concept album fatto di domande ancestrali e paure mistiche”

Raffinato e colto, ma anche crudo e diretto, il disco parla al cuore, allo spirito e alla mente

Discoverland Ero
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Anticipato dal singolo Terza Età, Ero è il titolo del nuovo album di Discoverland, il duo formato da Pier Cortese e Roberto Angelini, che torna – per la prima volta – con un disco interamente di inediti: un lavoro di otto brani tessuti con amore e maestria dai due cantautori, con la collaborazione di Leo Pari e la partecipazione di Niccolò Fabi, penna, musicista e voce nei brani Gange, Terza Età e Karmatango.

Ero è la sintesi di un percorso attraverso culture e visioni differenti, esperienze in studio e dal vivo, alla ricerca di una voce autentica capace di esprimere i nostri pensieri di fronte allo scorrere del tempo, pretesto per un confronto con quello che siamo e quello che diventeremo.

Il karma, la reincarnazione e le molteplici prospettive dell’esistente. Sono queste alcune delle tematiche che Pier Cortese e Roberto Angelini hanno voluto affrontare in questo nuovo concept album. Il risultato? Una celebrazione del presente evocativa e piena di meraviglia, consapevole della continua evoluzione sia dell’essere umano che della natura e del fatto che, nonostante le nostre fragilità, possiamo sempre trovare rifugio nell’amore.

Raffinato e colto, ma allo stesso tempo crudo, vero e diretto, Ero parla dunque al cuore, allo spirito e alla mente e lo fa con un sound denso di immagini, dove il puro incontra il contaminato e l’onirico abbraccia il concreto tra pedal steel, minimalismo e armonie corali, ma anche sitar, tablas, ritmi tribali e chitarre.

DISCOVERLAND, “ERO”: INTERVISTA A PIER CORTESE

Qual è stata la scintilla che nel 2011 ha portato dapprima alla nascita di Discoverland e successivamente all’uscita dell’omonimo album (2012)?

Venivo da una fase abbastanza complicata artisticamente. Avevo una sorta di piccola depressione, un bug esistenziale. Non riuscivo e non volevo più scrivere canzoni. Cercavo dunque un pretesto, un modo, un appiglio per fare musica senza l’esigenza di dovermi mettere troppo a nudo, affrontando solo la parte più sperimentale, quella della ricerca sonora.

Ho così cominciato a cambiare i connotati e a giocare con alcune canzoni. Poi, ad un festival, ho detto a Bob che mi sarebbe piaciuto approfondire questo esperimento e avere il suo contributo. Ed ecco che, complice anche il suo entusiasmo, Discoverland ha iniziato a muovere i primi passi.

Dalla rilettura di brani italiani e stranieri a un album di inediti. Cosa vi ha spinto a riprendere in mano il progetto di Discoverland dopo 8 anni?

La riflessione e il silenzio che, a volte, è una specie di rincorsa verso qualcosa. Ed ecco che, dopo 8 anni di silenzio, sempre io – che dei due sono quello più inquieto e con più paturnie – ho chiesto a Bob di fare un disco di inediti, perché mi sentivo finalmente pronto e avevo voglia di mettermi in gioco in maniera diversa.

Lui, inizialmente, non ha avuto uno slancio sicuro. Mi diceva infatti che era un peccato lasciare alcune certezze per strada. Io, però, avevo proprio bisogno di questo. Abbiamo così iniziato a fare una session ed è stato lì che Bob ha abbracciato l’idea con grande entusiasmo.

Ero. Un titolo semplicissimo, ma dalle molteplici declinazioni: com’ero, dov’ero, cos’ero, chi ero…

Sì, esattamente. Ero, nello specifico, ha a che fare un po’ con l’idea della reincarnazione. “Ero una pesca, forse una pianta, una candela accesa, una speranza“. Sono queste le prime parole dell’omonimo brano, Ero, che è una sorta di ricerca atavica su chi eravamo prima. Ecco, questo è un po’ il sentimento che ci ha accompagnati durante tutta la lavorazione del disco, che è un concept fatto di domande ancestrali, paure mistiche e spiritualità.

Chi eravamo? Cosa siamo adesso? Dove andremo?

Ero è il disco della consapevolezza, dell’apertura, della libertà di sperimentare, lasciandosi sorprendere e accogliendo tutto, senza negare a niente e nessuno la possibilità di insegnarci qualcosa.

Esattamente! Lasciarsi aperti fino in fondo a qualsiasi cosa, a qualsiasi avvenimento, in questo caso musicale. È un atteggiamento che noi abbiamo sin dall’inizio. Ci accompagna infatti una maniera di fare musica libera e artigianale, talvolta in contrasto con quello che succede nel mondo della discografia. Questo implica una grande responsabilità, ma anche una possibilità, quella di dare un piccolo esempio e di dimostrare che si può stare bene, anzi benissimo, coltivando il proprio orto e non prestando troppa attenzione a quelle che sono le leggi. Anzi, sovvertendo le regole, i tempi, ma non se stessi, rimanendo dunque coerenti e liberi di fronte a un mestiere che ce lo richiede.

Al centro di Ero c’è un flusso emotivo che trova rifugio nelle parti strumentali, mentre le parole sembrano talvolta superflue…

È proprio così! Questo era il nostro obiettivo, ciò che ci premeva arrivasse all’ascoltatore. In mezzo a tutta questa ricerca c’è anche e soprattutto una parte emotiva, che ha un ruolo centrale. Tutto il resto diventa sfondo, contorno, una maniera per esaltare la parte emotiva.

Un disco coraggioso, che parla della vita e anche della morte… di quello che c’è oltre (Siren), accogliendo – ancora una volta – diverse prospettive. Tu che rapporto hai con la spiritualità?

Io ho un rapporto molto dinamico con la spiritualità. In varie fasi della vita ho accolto la spiritualità in maniera diversa. Di base, mi lascio sempre un posto speciale per accoglierla. Di certo, il viaggio che abbiamo fatto in India ha portato nuovi elementi, nuove visioni e nuove aperture, che ho accolto con grande interesse e amore e che mi hanno portato sicuramente a pensare di allargare il bacino del mio reparto spirituale, dei miei pensieri.

A volte, occuparsi solo della parte leggera e superficiale delle cose non aiuta a essere parte di una comunità, di un pensiero, di una parte spirituale, di un qualcosa che ci accomuna profondamente, come la nascita e la morte. Quindi, secondo me, davanti a un fuoco o a della musica è giusto condividere queste grandezze.

In questo disco, più che una risposta, c’è un cumulo di domande, che con l’età si moltiplicano e che abbiamo deciso di condividere con chi avrà voglia di ascoltarle per avvicinarci sempre di più a un qualcosa che possa assomigliare a una risposta o, forse, più semplicemente a un abbraccio, all’idea di un amore, di qualcosa che alla fine ci possa salvare per davvero.

Facciamo un passo indietro. L’acceleratore di questo vostro nuovo progetto è stato un viaggio in India. Il pretesto, un concerto di Niccolò Fabi. E, in effetti, il disco è un vero e proprio viaggio attraverso l’india e le sue contraddizioni: da Mumbai a Varanasi. Com’è stato il primo impatto con una realtà così complessa? Cosa, invece, vi è rimasto impresso negli occhi e nella pelle?

L’aspetto profondamente terreno e spirituale al tempo stesso. In Occidente tendiamo ad accelerare una condizione umana che spaventa, ci distrae, ci allontana e non ci fa porre le giuste attenzioni sulle cose piccole, ma grandissime, come per esempio il contatto. Siamo presi dallo schermo del nostro telefono e filtriamo le cose attraverso un linguaggio che non è nostro, che non è quello reale.

Il nostro battito, di fatto, è rimasto sempre lo stesso, eppure noi stiamo cambiando e stiamo accelerando in una maniera che non è poi proprio del tutto naturale. Quando si va in un posto come l’India si riprende il contatto con un tramonto, con le persone, con un sorriso, con una parte molto viscerale dell’essere umano.

Questo viaggio in India diventa ancora più immersivo anche grazie all’utilizzo di alcuni strumenti tipici, come il sitar. Com’è stato e cosa è nato dall’incontro con la tradizione musicale indiana?

La prima cosa che faccio quando viaggio è quella di provare a capire se il sapore del cibo di quel determinato luogo assomiglia o meno al battito, all’espressione del popolo che lo abita. Gli strumenti musicali sono un’esaltazione di questa cosa, rappresentano la colonna sonora perfetta dell’espressione di un popolo.

Il sitar, nello specifico, è uno strumento tantrico, ciclico, che ti porta a sederti e a creare un contatto. Ci piace che uno strumento che ha un determinato linguaggio, una propria espressione, possa avvicinarsi ad un altro strumento, magari più elettronico, che sembra – solo apparentemente – più freddo. Spesso questi strumenti suonano infatti bene insieme ed è bello che dialoghino tra loro, così come lo sarebbe se lo facessero gli uomini.

Nel disco il raffinato e il colto convivono con un qualcosa di estremamente semplice, crudo, quasi ancestrale…

L’essere colti, per quanto mi riguarda, è andare all’essenza, arrivare al punto. E la semplicità in questo processo è un elemento fondamentale.

Questo viaggio parte dall’India e arriva negli Stati Uniti d’America, lì dov’è nato il blues, il cui portamento – in Canto – sottolinea il bisogno di mettere in contatto le anime e di recuperare una fisicità che, tra smartphone e social media, forse abbiamo perso…

Esattamente, anche perché il blues era proprio una maniera per stabilire un contatto in situazioni particolarmente difficili, di schiavitù. Attraverso questo canto ancestrale era infatti possibile mandarsi dei messaggi, comunicare e, soprattutto, essere solidali e superare dei momenti di sofferenza. Anche il blues, dunque, sotto questo punto di vista, è un fatto molto atavico e ancestrale, che ha a che fare con il pensiero di cui parlavamo in precedenza.

In Terza Età, invece, cantate: “Il tempo non lo si può fermare“. Tu, che rapporto hai con il tempo?

Fino a una certa età il tempo sembra banalmente infinito. Poi, ad un certo punto, il valore che gli dai inizia a cambiare, fino a diventare completamente diverso. A quel punto, perdere tempo è come perdere una grande occasione.

Cambiano… le storie cambiano, i giorni passano, qualcosa resta” (Gange). Cosa resta? Cosa si salva dall’oblio?

Dall’oblio si salva quello che riusciamo noi a determinare, a dare in eredità, lasciando la nostra traccia su questa terra. Il nostro compito è dunque quello di stabilire una piccola memoria, per dare a quelli che verranno la possibilità di farne tesoro, come d’altronde abbiamo fatto anche noi.

È forse un po’ epico dire che questa è una cosa che fa l’amore. Di certo, tutto il tempo utilizzato per lasciare una traccia ha evidentemente a che fare con una piccola forma di salvezza o, comunque, con un’eredità costruttiva.

In questo disco si parla di tempo, ma anche di connessioni e di purificazione. E, a questo proposito, in Karmatango cantate: “Lava la ferita della rabbia col sorriso sulle labbra“.

I testi delle canzoni sono per definizione una sintesi di un grande percorso o, per lo meno, dovrebbero esserlo. Questa frase ci sembrava una di quelle sintesi venute fuori bene. Alla fine, non si semina qualcosa di buono per ricevere necessariamente qualcosa di buono. Lo si fa e basta, probabilmente perché un sorriso sulle labbra è l’antidoto per eccellenza.

Se da quando apriamo gli occhi fino a quando andiamo a dormire riusciamo ad avere un segno di apertura al mondo, io non so se ci viene restituito (anche se nella mia piccola esperienza posso dire di sì), ma – di certo – se quando andiamo dal panettiere entriamo sorridendo e gli diciamo un buongiorno convinto, lui ci darà il miglior pane che ha e non lo farà per restituirci il “favore” meccanicamente, bensì naturalmente.

Ecco, in quella frase c’è dentro questa attitudine, questo atteggiamento!

Il viaggio di Ero parte in India ed è ora pronto a proseguire lungo tutto lo stivale. Come avete tradotto questa vostra esperienza, sia artistica che di vita, in un live?

Per noi il live è la destinazione naturale, un luogo in cui fare esperienza della condivisione. Non c’è dunque miglior luogo per essere assolti dalla vita.

Negli ultimi anni io e Bob abbiamo sempre accompagnato Niccolò Fabi in tour come musicisti ed ora lui ci ricambia un po’ la cortesia prendendosi cura delle nostre canzoni.

Il disco va in profondità, il live andrà all’essenza. Cerchiamo infatti la sintesi, non la forma. Non faremo dunque grandi cose. O, per lo meno, faremo grandi cose dal punto di vista strettamente emotivo e musicale.

Foto a cura di Giada Campoli

DISCOVERLAND, IL TOUR CON NICCOLò FABI: LE DATE

  • 03 Ottobre – MILANO | Santeria
  • 04 Ottobre – BOLOGNA | Cubo Unipol
  • 09 Ottobre – CAMPOBASSO | Teatro Savoia
  • 10 Ottobre – ROMA | Largo Venue
  • 17 Ottobre – NAPOLI | Teatro Bolivar NUOVA DATA
  • 18 Ottobre – FOGGIA | Teatro del Fuoco NUOVA DATA
  • 19 Ottobre – TARANTO | Spazio Porto
  • 20 Ottobre – FERRANDINA (MT) | Cine Teatro Bellocchio
  • 24 Ottobre – PERUGIA | Auditorium San Francesco al Prato
  • 25 Ottobre – CAMPI BISENZIO (FI) | Teatrodante Carlo Monni
  • 02 Novembre – BENEVENTO | Teatro San Marco
  • 03 Novembre – MOLFETTA (BA) | Eremo Club
  • 07 Novembre – URBINO | Teatro Sanzio
  • 08 Novembre – BUSSETO (PR) | Teatro Verdi
  • 09 Novembre – SULMONA (AQ) | Teatro Maria Caniglia
  • 12 Novembre – BOLZANO | Teatro Cristallo
  • 13 Novembre – BASSANO DEL GRAPPA (VI) | Teatro Remondini
  • 14 Novembre – TRENTO | Teatro Sanbapolis
  • 21 Novembre – TORINO | Hiroshima Mon Amour
  • 22 Novembre – RONCADE (TV) | New Age
  • 26 Novembre – SANT’AGATA BOLOGNESE (BO) | Teatro Bibiena
  • 27 Novembre – NOVARA | Teatro Farragiana
  • 28 Novembre – CESENATICO | Teatro Comunale

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Foto di copertina a cura di Simone Cecchetti