22 Ottobre 2024
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22 Ottobre 2024

Mahmood in concerto al Forum di Assago: un grande performer, a cui sul palco manca forse un po’ di cuore

Un eccezionale talento vocale unito ad una scrittura originale che forse deve ancora lavorare sull'empatia

Mahmood Scaletta Assago
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Mahmood scaletta e recensione Forum di assago 21 ottobre: articolo a cura di Anna Ida Cortese e Alberto Muraro

Pochi artisti italiani come Mahmood si sono meritati un palco importante come il Forum di Assago. Ci sono voluti quasi tredici di anni di carriera, di cui circa 7 di gavetta pura, per diventare uno dei cantautori di punta del panorama italiano, apprezzato anche al di fuori dei nostri confinie con un’identità musicale centratissima, spesso riconoscibile fin dalle prime righe, dal punto di vista della scrittura.

Chi vi parla ha avuto il piacere di seguire questa evoluzione già dagli esordi di X Factor 2012, fin dal singolo “Falling Rain” acquistato ai tempi su iTunes Music. Per quanto io sia entusiasta di questo traguardo, e per quanto il live di Assago del 21 ottobre sia stato senza dubbio un grande show, ne esco forse con una punta di amarezza (niente di grave, beninteso!). E noto tra l’altro con piacere che la collega che firma questa recensione a quattro mani con il sottoscritto, che di spettacoli ne capisce certamente di più, concorda con me.

MAHMOOD AD ASSAGO: Grandi canzoni e un eccellente repertorio, MA LA SCALETTA è da gestire meglio

Lo show è strutturato in tre parti, e riprende idealmente le fasi di un lungo viaggio. La partenza, rappresentata dal momento dell’anestesia da parte di un dentista, è l’energia allo stato puro di “Bakugo” e di “Klan“, ma l’incedere dei BPM si abbassa quasi subito, e le luci strobo lasciano rapidamente spazio alla penombra della fase onirica, quella in cui Mahmood intona due dei suoi capolavori come “Brividi” (ahimé, senza Blanco) e “Inuyasha“. Tutta la sezione centrale del live è stata un saliscendi di emozioni, è la parentesi in cui Mahmood sceglie di proporre al suo pubblico un’importante fetta dell’ultimo disco, “Nei letti degli altri” ma anche qualcosina di “Ghettolimpo“, dimenticandosi quasi completamente il suo passato (eccezion fatta per un altro pezzo altrettanto eccelso, “Il Nilo nel Naviglio”).

Non si può certo dire che il trasporto sia il medesimo, e lo si vede anche da parte del pubblico, che probabilmente ai pezzi più recenti non si è ancora abituato. Mahmood si gioca pur sempre la carta della voce, un unicum nel panorama italiano, perfetto connubio tra Nord e Sud, Oriente e Occidente, Sardegna e Marocco. L’interpretazione magistrale del finale di “T’amo” e dell’intro di “Ghettolimpo” sono due perfetti esempi di un timbro che un giorno può suonare profondamente sardo, l’altro può avvicinarsi al canto di un muezzin da un minareto. E se non bastasse?

La chiusura (quasi) perfetta)

Quello che manca a uno show strutturato – con un occhio di riguardo verso l’estero – è il cuore, quella reale pelle d’oca, quel quid che vantano quei cantanti che mostrano al loro pubblico il loro lato più fragile e umano. Mahmood sembra cantare soprattutto per sé stesso, benissimo, ma pur sempre per sé stesso. E anche quando ha l’occasione di scherzare con il pubblico, liquida simpatici siparietti (come il ragazzo che gli ha regalato un peluche di Sebastian, perché non intonare “In fondo al mar?”) in pochi secondi. E per quanto energica possa essere stata la chiusura (clamorosa la tripletta finale di “Ratata“, “Soldi” e “Tuta Gold“) mi porterò dietro forse soltanto l’occasione di aver assistito, per la prima volta, a coreografie eccezionali viste fino ad oggi solo attraverso il filtro di uno schermo. Ed è un enorme peccato: quanto avrei preferito il trasporto di pezzi vecchi come “Milano good vibes” o “Uramaki” e un po’ di show in meno!

L’impianto scenico

A mia volta, il concerto di Mahmood al Unipol Forum di Milano mi ha lasciato diverse sensazioni contrastanti. Dal punto di vista scenico, è stato un vero spettacolo: il simbolo del triangolo, che dominava la scena, aveva un forte impatto simbolico, richiamando le sue radici e intrecciandosi con la maestosità della scala piramidale e delle luci. Tuttavia, l’aspetto visivo, sebbene impeccabile, non è riuscito a emozionarmi fino in fondo. È stato un concerto fatto di corpo, ma non di “pancia”. Da sottolineare la bravura dei ballerini e di Mahmood che non si è risparmiato neanche nella disco esplosiva di “Barrio“.

Un elemento che mi ha particolarmente colpita sono state le videoinstallazioni. Queste, ideate per lo show, sembravano quasi replicare l’immagine di Mahmood stesso, creando un effetto di specchiamento tra il cantante e le proiezioni che lo accompagnavano. Le visual erano curate dal regista Tommaso Ottomano e sono riuscite a creare una forte connessione visiva, arricchendo lo spettacolo di una dimensione onirica. Nella terza parte del live, queste immagini evocavano un paesaggio di nuvole, simbolo del raggiungimento di uno stato d’animo etereo, quasi astratto​.

Nonostante tutta questa ricchezza visiva, anche per me – come anticipato – è mancato l’elemento emozionante che avrei voluto vivere. Anche durante il momento di buio, accompagnato da una sorta di preghiera (credo fosse “SabriAilel“), non ho avvertito quell’emozione pura che speravo.

“brividi” che mancano

Il concerto è stato esteticamente perfetto, ma l’empatia con il pubblico è rimasta scarsa. L’unico momento in cui ho avvertito un po’ di spontaneità è stato quando Mahmood non riusciva a mettersi la giacca: quel piccolo intoppo è stato l’unico attimo in cui si è intravisto un lato umano. Il resto dello spettacolo, per quanto visivamente impeccabile, non è riuscito a suscitare in me quell’emozione autentica.

Dal punto di vista musicale, le collaborazioni mancanti hanno fatto sentire il loro peso: brani come “Brividi“, “Paradiso” e “Personale“, eseguiti senza i feat originali, mi sono sembrati monchi. Soprattutto “Brividi“, senza Blanco, ha perso il suo dualismo, impoverendo la performance​

In conclusione, mentre le videoinstallazioni, le luci, le coreografie e i colori sono stati una festa per gli occhi, mi è mancata una connessione più profonda. Tanta estetica, ma cosa rimane dietro a certe copertine così patinate? C’è sicuramente molto, ma sembra che per indole o naturale timidezza Mahmood non sembra riuscire a svelarsi completamente.

Se volete scoprire la scaletta dello show cliccate in basso su continua.

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