L’Italia è un paese che sicurezze ne regala poche, basta l’estratto conto del 90% degli italiani a confermare la regola del paese degli eterni forse. Forse avrò un lavoro, forse arriverò alla fine del mese, forse non tutti i politici sono corrotti, forse le tasse si abbasseranno, forse Equitalia un giorno crollerà sulle proprie miserie, forse il campionato di calcio non è deciso a tavolino.
In questo mare di forse, per fortuna, qualche micro certezza regge. Tipo che a Natale irrimediabilmente ci salirà il colesterolo, che su Facebook qualcuno metterà un ‘mi piace’ al nostro immancabile stato vittimista del momento, che a Capodanno finiremo al solito sui gomiti, o che l’ultimo film di Lynch sarà più delirante del precedente. Ovviamente, fra questa lista di minime certezze su cui poggiare la testa nelle buie notti figura anche il Festival di Sanremo, immancabile da oltre 65 anni. Sicuro come la Tasi. E poco importa se si ha altro a cui pensare, se la musica è cambiata, se i big al festival ci vanno solo come super ospiti, se alla fine delle cinque serate in tanti saccheggeranno l’armadietto dei medicinali o se dopo una settimana dei partecipanti e delle loro canzoni non si ricorderà più nessuno.
Perché Sanremo è Sanremo; è l’Italia nazional-popolare dei centri commerciali, dei cinema multisala e delle domeniche allo stadio, che per una settimana si mette in ghingheri e da un’incipriata alle proprie bassezze. Lo specchio inconsapevole su cui analizzare minuziosamente se le rughe sul nostro volto sono le stesse dell’anno precedente o, magari, il lifting ha funzionato e tiene meglio di un adesivo della Cagiva.
Seguo il festival da quando sono bambino. Non ne ho perso un’edizione, nonostante raramente fra gli artisti in gara ci sia qualcuno che ascolto nei restanti giorni dell’anno. Sono un reggae maniaco, un genere che a Sanremo negli anni è passato davvero poco, così a memoria ricordo i Pitura Freska e il promettente Anansi.
Voi giustamente mi direte: “ma perché lo guardi?”.
Perché mi diverte. Mi piace troppo il can can mediatico che segue il valzer delle canzoni in gara quasi fossero una cosa seria. Mi ricorda molto il wrestling, disciplina dannatamente divertente. Come divertente è sentir dire ogni anno che sarà la musica a essere messa al primo posto, stavolta, quando è ben chiaro come sia proprio la musica la cosa meno importante per coloro che gravitano nell’area Sanremo. I cantanti vanno al festival per vendere il disco in uscita, e se la kermesse non incollasse al teleschermo così tanti possibili consumatori, se ne starebbero volentieri a casa. E farebbero bene: una settimana di stress per un totale di quattro esibizioni della durata complessiva di non più di 15 minuti. Ma chi te lo fa fare?
Per l’organizzazione e i vertici Rai la musica poi non è altro che un pretesto. Sanremo si fa per l’audience enorme che genera, una grassa settimana in cui è possibile vendere la pubblicità a tempo d’oro. Roba tipo dieci pipite al secondo.
Insomma della musica a Sanremo non frega a nessuno. Dei vestiti delle vallette un filo di più. Anche le papere del presentatore generano un certo interesse. Che roba trash direte voi. Lo è pure il wrestling, eppure non me ne perdo una puntata.
Quest’anno, poi, grazie agli amici di All Music Italia, la mia dipendenza malsana è diventata un lavoro. Mi è stato chiesto di fare il pagellone. Eh, eh, non chiedevo altro.
Almeno per cinque sere non penserò all’estratto conto…
E allora dai, partiamo.
Primo campione in gara: Chiara. Ammetto di non sapere bene chi sia, credo venga da un talent, comunque non conoscerla è una buona cosa, almeno non partirò prevenuto. Che dire? Partiamo male, ma proprio male. Testo da filaretto delle medie e accompagnamento musicale – con quell’orribile piano a salire – che sembra una base di karaoke fatta con sotto l’orchestra.
Voto 4,5. Il mezzo punto in più è per la voce di Chiara, che non ha un timbro orribile.
Il pezzo di Grignani – Sogni Infranti – non sarebbe brutto se lui riuscisse a interpretarlo decentemente. Un mid-tempo ben arrangiato ma che necessità di una vocalità che il nostro proprio non possiede. Il testo si piega un po’ su se stesso ma suona comunque sincero e ha il pregio di non sbrodare sull’eterno tema dell’amore.
Voto 6,5.
È la volta del buon Alex Britti, un altro che a voce non sta messo benissimo. A sua discolpa va detto che supplisce, e bene, con la chitarra. Un Attimo Importante è il classico pop paraculo, appena appena sporcato di blues, giusto per giustificare la presenza della sei corde. Orecchiabile, positiva e fresca come un ghiacciolo. Se Britti sapesse cantare sarebbe anche bravo. Peccato che la voce guida di vodafone abbia un timbro più caldo.
Voto 6.
Il break dove fanno vedere una famiglia composta da sedici figli con tanto di spot cattolico mi coagula il sangue come San Gennaro… “Un meraviglioso esempio di vita” abbozza Conti. Se lo dice lui… per carità è bello fare dei figli, anche io ne ho uno, ma non è un merito. Pure i conigli ne fanno tanti ma non vanno in televisione. Il merito al limite è crescerli bene… ma ok, nessun problema. È Sanremo.
Malika Ayane è una brava sul serio, potrebbe cantare anche la lista della spesa e saprebbe emozionare. Spesso in carriera non ha avuto pezzi capaci di far emergere la propria incredibile vocalità. Neanche questa Adesso e Qui entrerà nella storia, ma sono certo arriverà dritta al podio e non mi stupirei se vincesse il festival.
Voto 7.
È il momento di Ferro. Niente da dire. È capace, ha una timbrica originale e arrangiamenti di gran lunga superiori al 90% del pop italico. Sin dai tempi di Rosso Relativo ha portato avanti una certa idea di fondo, non originalissima ma comunque riconoscibile. Che altro vi devo dire? Non è il mio genere, preferisco la musica con un messaggio e l’abuso della parola ‘amore’ nelle canzoni mi fa rabbrividire. È una parola importante, che esprime un sentimento raro, andrebbe usata con parsimonia. Insomma a me il buon Tiziano non è che mi incanti molto. Premesso questo, Ferro è uno che ci sta, fa la sua cosa e la sa far bene.
Per i Dear Jack vale il discorso di Chiara. Non li conosco. A prima vista sembrano ragazzi per bene, puliti e a modo. Il contrario del rock, insomma.
No, sul serio, davvero devo parlare dei Dear Jack? Ok, ok, lo faccio. Funzionano. Pop melodico venato con morbido assolo elettrico che piacerà agli adolescenti, almeno fino alla prima sbronza. Dopo passeranno a qualcosa di più pesante ma è giusto così. E poi il chitarrista non è male e il ciuffetto del cantante fa molto Chris Isaak.
Per me il pezzo è perfetto per massimizzare il suo target.
Voto 6,5. Mezzo punto in meno perché gli invidio la gioventù.
Dopo la performance del bravo Siani – con dedica al concittadino recentemente scomparso, il grande Pino Daniele – si riparte con la gara.
Lara Fabian non ho idea di chi sia, ma dicono sia famosissima dappertutto tranne che in Italia. Un punto a suo favore. Fra gli autori del pezzo figura Cremonini ma il suo apporto non migliora un songwriting piatto e unicamente incentrato nel tentativo di far emergere tutta l’estensione della Fabian, che effettivamente ha una vocalità spaventosa anche se il timbro è emozionante come la sala d’attesa del mio dentista. E lì c’è sempre tanto da aspettare e ben poco da leggere. Che palle.
Voto 4.
Ospiti time. Albano e Romina. Lui ha una voce incredibile, Romina no. Insieme hanno sempre funzionato. Come lei abbia sopportato l’ego smisurato dell’uomo di Cellino è un mistero che neanche Padre Pio… non si sopportano e si vede. Il pubblico gongola in attesa di segnali di scazzo. Parappapappapà…
L’ultima volta che Nek andò a Sanremo il giorno dopo ricevetti la chiamata per il militare. Quindi una toccatina alle parti basse è doverosa. Erano i tempi di Laura Non C’è e ne è passata di acqua sotto i ponti.
Nek la musica la sa maneggiare. Grande conoscitore dei Police, che saccheggia con astuzia da anni, timbro particolare, bella presenza. Insomma ha tutto per far bene. Peccato che in vent’anni di carriera non abbia mai cucinato un testo degno di questo nome. Con Fatti Avanti Amore non si smentisce. La canzone è comunque perfetta per le radio di consumo e la sua performance senza sbavature.
Voto 7.
Mauro Coruzzi aka Platinette e Grazia di Michele. E lo so, è un mondo difficile come dice il mio amico Tonino Carotone…
Ecco, fossi una donna rinchiusa in un corpo da uomo mi incazzerei di brutto. Una lista infinita di luoghi comuni senza costrutto. La risposta buonista a Povia. E il voto è lo stesso dell’uomo piccione: 0.
Voto ZERO.
Rispetto assoluto al medico italiano. Non per essere guarito dall’Ebola ma per aver rischiato la vita per salvare tutta quella gente. Hai le palle di piombo, fratello. Un immenso grazie a lui e al grande Gino Strada. La domanda di Conti: “Ha avuto paura quando è stato contagiato?” mi ha spiazzato di brutto. Giornalismo vero, giornalismo d’assalto!
Riparte la gara. Annalisa con Una Finestra tra le stelle. Un’altra che non conosco. Un’altra che non mi ha lasciato niente.. Un filo più versatile di Chiara. Meno pomposa della Fabian ma sempre di poca roba si tratta.
Voto 5.
Ultimo artista in gara della serata: Nesli. Passato da rapper e presente che bussa a un cantautorato moderno. Buona Fortuna Amore è il titolo della canzone. Un pezzo smaccatamente paraculo, anzi qui si va addirittura oltre il concetto stesso di paraculata: si condensano echi Jovanottiani – sarà la pezzetta – refrain da stadio figli del Vasco più morbido e qualche spruzzata indie nell’arrangiamento. La voce imperfetta in questo caso ci sta, regala quel filo di vissuto che non guasta.
Sinceramente pensavo peggio.
Voto 7.
E per stasera abbiamo finito. Aspettiamo che Conti comunichi le quattro canzoni a rischio eliminazione Secondo i miei giudizi dovrebbe essere: Annalisa, Chiara, Fabian, Coruzzi/Di Michele.
Ora, siccome conosco il festival e so che il mio gusto e quello dei giurati – che sia critica o pubblico fa poca differenza – non collimano mai, me ne vado a dormire.
Ci si vede domani con le pagelle degli altri 10 naufraghi… ehm, pardon campioni.
Federico Traversa