Le Folli Arie sono un gruppo milanese composto da Simone Corazzari (voce, chitarre, autore e produttore), Massimiliano Masciari (basso e steel drum), Francesco Meles (batteria e percussioni) e Marco Antonio Cerioli (tastiere e seconde voci), che con il proprio disco d’esordio è protagonista della nostra recensione di oggi. Un disco che nei fatti porta con sè la miscela delle diverse attitudini musicali dei componenti, fatte di gusti e percorsi eterogenei chiamati a fondersi in una serie di contaminazioni che si appoggiano tra loro, dando vita allo stile personale de Le Folli Arie.
Il disco si apre con Salto nel buio, una ballata che si avvia avvolta da un’aurea malinconica, per poi esplodere con un’apertura musicale che si fa metafora del concetto di speranza, in un pezzo che proprio nella dinamica “accendi/spegni” trova il proprio punto di forza. Si prosegue virando verso la melodia con Bellezza, dove il notevole talento musicale della band fa si che la parte strumentale rubi la scena al cantato e si guadagni il plauso in un pezzo piacevole e lineare.
Scorrendo tra le tracce del disco, si affaccia Non è facile scelto come primo singolo non a caso: un pezzo ricco di intensità e con belle dinamiche che ci accompagnano ad un ritornello che evoca mondi musicali lontani negli anni ma vicinissimi alle corde delle emozioni, tanto da toccarle senza troppa difficoltà. L’intensità non scompare ma muta in Quello che ho, pezzo caratterizzato da una gran bella linea melodica, che nella semplicità trova il proprio punto di forza: il ritmo cambia e ci porta in affascinanti atmosfere dove però si perde parte dell’incisività che qui si ritrova solo nel godibilissimo ritornello che da solo salva l’intero pezzo.
Arriva quindi il primo “intervallo” strumentale, On Da Bridge, un funk tirato e poggiato sull’istinto per ricordarci il livello tecnico dei musicisti di cui stiamo parlando, svelandone l’indole migliore. Un altro volto del gruppo è quello di Fuori dove un ritmo quasi samba ci mostra la loro veste leggera, un brano ben confezionato ma distante da quel che realmente colpisce nell’ascolto del gruppo e cioè la tensione e il ritmo che torna ben presto in Mentre tu cadi, dove il valore aggiunto delle splendide armonizzazioni aiuta a dar vita ad una traccia convinta e convincente.
La conferma di quanto la partenza dolce con successiva apertura sia la “cup of tea” del gruppo, arriva in Il giorno mio migliore che nella parte contenuta ci fa apprezzare al massimo la bella vena “cantautorale” del progetto, mentre nell’apertura diventa un tuffo di quelli che non ti fan spanciare nel sound anni ’70, che ben completa una contaminazione ardita e riuscita.
Il disco nasconde un finale “a sorpresa” con un appendice dal sapore internazionale, introdotta da Alien’s Trip, secondo pezzo strumentaleche introduce quasi fosse una sigla la parte angolofona del disco: una composizione strumentale che via via si arricchisce di cori e strumenti, portando ad un risultato finale ricco di colori e sfumature, dall’inatteso dal sapore “world”.
Come anticipato l’appendice ci mostra i Le Folli Arie alle prese con la riproposizione delle prime tre tracce rivisitate in chiave angolofona, con i 3 singoli in versione inglese che scendono in campo “contro” i corrispettivi pezzi scritti in italiano portando ad un pareggio di lusso: se Shot in the dark (versione inglese di Salto nel buio) perde a sorpresa il confronto, risultando meno originale in inglese (nota di merito del singolo) e A better day tomorrowè un pezzo che aumenta la resa e diventa più incisivo in inglese. L’ago della bilancia è It’s not Easy che si fa Ponzio Pilato, in quanto lascia immutato l’impatto e il potere di Non è Facile, che se in italiano è un pezzo emotivamente vibrante, in inglese suona veramente come un evergreen dei gloriosi anni ’70.
Le Folli Arie è un disco che sulla carta contiene un condensato di tutti gli ascolti della band che possono essere divisi nel lato power che arriva dal rock (quello vero): Deep Purple, Genesis, Jeff Buckley, mentre dal lato scrittura si ascoltano limpide le influenze di PFM e Lucio Battisti: una realtà che potrebbe arrivare dagli anni 70, come fosse appena scesa dall’apertura di un concerto dei The Animals e al tempo stesso padrona di un linguaggio totalmente contemporaneo, dotato di sincera intensità in equilibrio tra composizione strumentale e produzione dei testi.
Per questo, calibrando la teoria e la pratica di un ascolto, la certezza sta nel riconoscere uno stile personale, sicuramente frutto di evoluzione di mondi già ascoltati ma non per questo senza originalità, anzi. Un disco che trascina con sè un impatto forte, un incoraggiante debutto per una realtà che sicuramente saprà guadagnarsi un posto al sole, specie se in dimensione live sapranno ricreare le stesse atmosfere racchiuse in questo bel disco.
CANZONI MIGLIORI: Non è facile/It’s not Easy, Mentre tu cadi