Tornano su All Music Italia i mitici kuTso!
La frizzante band italiana, fiera di aver dato i natali a un nuovo genere musicale d’avanguardia, il “quello che ci pare“, è fresca della partecipazione al Festival di Sanremo 2015, nelle Nuove Proposte col brano Elisa: la gara ha visto i quattro ragazzi – Matteo Gabbianelli (voce), Donatello Giorgi (chitarra), Luca Amendola (basso) e Simone Bravi (batteria) – grandi protagonisti della kermesse, tant’è che sono arrivati a un passo dal trionfare, in finale col bravo Giovanni Caccamo, dopo aver battuto negli scontri diretti Kaligola e Amara.
Come ricorderete, avevamo già avuto il piacere di chiacchierare col leader Matteo qualche giorno prima dell’inizio del Festival e siamo molto felici che sia tornato a trovarci, perché nel frattempo gli argomenti di cui parlare si sono moltiplicati: la pubblicazione del nuovo album Musica per persone sensibili, che abbiamo voluto analizzare insieme in modo capillare, traccia per traccia; l’inizio del tour italiano, con tappe da Nord a Sud per tutta la penisola; il racconto della fantastica avventura sanremese, arricchito da qualche simpatica curiosità. Non ci resta che augurarvi buona lettura!
Ciao Matteo, bentrovato! Ci siamo sentiti solo alcune settimane fa, poco prima del Festival, e adesso rieccoci di nuovo qui, per continuare la nostra chiacchierata. Allora… Prime impressioni?
Ciao, è un piacere! Beh, fare Sanremo è stato… molto faticoso, un’esperienza piuttosto impegnativa! Ogni tanto ci chiedono: “Ma vi siete divertiti?”, ecco, a dire il vero non proprio: sai che è l’occasione in cui devi capitalizzare tutto, hai tutti i mass media più importanti puntati su di te e interviste a catena una dopo l’altra, dalle 8 di mattina fino a sera… non è facile gestire le emozioni. Poi il palco era stupendo, ci sentivamo come in un’altra dimensione; l’orchestra e i tecnici sono stati bravissimi e anche molto gentili con noi.
Ah, non abbiamo vissuto minimamente la famosa notte sanremese…! No, noi tornavamo sfiniti in albergo e da buoni operai della musica, filavamo dritti a dormire!
Posso immaginare, anch’io ero a Sanremo e mi sono reso conto di quanto fossero stretti i tempi di voi artisti.
Sei contento perché stai facendo cose fighe e utili, vedi che tutto funziona, però… la sensazione di divertimento è un’altra cosa! (ride, ndr)
Pensavo, chissà come sono cambiate le giornate dei kuTso dopo Sanremo…
Eh, un bel po’. Va tutto benissimo, ma siamo tutto il dì presi da interviste e mille altre cose: c’è un’attenzione di gran lunga maggiore nei confronti del nostro progetto. Il tour è partito bene, abbiamo richieste per le date estive, alcune le abbiamo già chiuse… Insomma, s’è mosso il baraccone ed è di dimensioni notevoli.
Del tour parleremo meglio fra poco… Dai, continua a raccontarmi del Festival!
Okay… Abbiamo notato che Anna Tatangelo dal vivo è ancora più bella e più bona di quello che sembra in video! (ride, ndr) Veramente una bella ragazza… Poi c’è stata Alba Parietti che s’è avvicinata e ha fatto: “Ah però sei bravo tu! Sei stato molto bravo, frizzante…”, m’ha fatto un sacco di complimenti! Son rimasto un po’ colpito!
Invece Donatello (il chitarrista, protagonista dello scherzo della doccia a Conti, ndr) è stato approcciato da Massimo Giletti: mentre era dietro le quinte a montarsi addosso la doccia prima di salire sul palco, gli si è avvicinato Giletti e gli ha detto: “Bravo! Farai strada!”… Certo, ora Donatello è rimasto col dubbio: non sa se intendeva che farà strada come idraulico o come musicista!
Ma a chi è venuta l’idea del travestimento da doccia?
Ci è venuta insieme, parlando di quali costumi avremmo potuto creare! Gli ho detto: “Dai, pensa che figo se vai all’Ariston vestito da doccia!” (ride, ndr)
In finale, vi siete battuti con Giovanni Caccamo, incoronato vincitore delle Nuove Proposte.
Cosa ha potuto decidere le sorti dello scontro decisivo, secondo voi?
Guarda, io sinceramente non credo di aver cantato bene, in quell’occasione come forse in nessuna delle tre performance. Credo di averla fatta mia solo ora Elisa, a Sanremo non mi sentivo ancora sicuro di farla perfettamente. Eppure l’abbiamo provata tanto, ma il vero problema è che alla gara si arrivava stanchi: dopo che hai parlato per tutta la giornata, non sai la sera come reagirà il corpo al momento dell’esibizione. Vocalmente il brano è senz’altro impegnativo, in certi punti un po’ al limite, soprattutto sul finale, in cui vado altissimo.
D’altro canto Giovanni ha fatto un’ottima performance e il suo pezzo era maggiormente in linea con i gusti sanremesi, ci stava di più su quel palco… Noi kuTso eravamo piuttosto i guastafeste della situazione: che vincessimo sarebbe stato un controsenso, una rivoluzione!
Però va detto che siete arrivati a un passo dalla vittoria! Prima avete battuto Kaligola, un giovane rapper in gamba, e sappiamo quanto il suo genere musicale sia apprezzato e faccia vendita nel nostro Paese; poi Amara, anche lei un avversario ostico da superare, tenendo conto del successo che la cantautrice sta avendo anche dopo il Festival…
È vero: siamo consapevoli di avere un impatto, tanto sonoro quanto visivo, molto forte sul pubblico, questo forse ci ha aiutato negli scontri diretti; poi la canzone era orecchiabile, simpatica, credo inaspettata, considerati i canoni sanreremi. Probabilmente abbiamo goduto dell’effetto sorpresa, che nell’ultimo scontro dev’essersi affievolito, visto che ci eravamo esibiti già un paio di volte.
Ti dico una cosa: noi abbiamo spinto fino alla fine, quando sei in ballo balli, ci abbiamo creduto, ma non eravamo i più determinati a vincere lì dentro. La nostra intenzione è stata sin dall’inizio quella di poter mettere in luce il nostro progetto e, senza falsa modestia, ritengo che fosse il più originale degli otto, perché meno ricalca certi stilemi della canzone italiana, che son sempre gli stessi insomma.
Nelle esibizioni all’Ariston ti sei e vi siete scatenati, sembravate molto a vostro agio. Era davvero così?
Durante la performance, non pensi a nulla, vai in automatico. Poi essendo un gruppo, ognuno di noi ha avuto un approccio al palco differente, com’è normale. In generale, ti posso dire che, essendo noi arrivati a Sanremo dopo una gavetta infinita, dopo aver suonato davanti a 700 mila persone in Piazza San Giovanni (Matteo si riferisce allo scorso Concerto del Primo Maggio, ndr) o in altre occasioni, esibirsi in un teatro con mille persone non era un problema per noi, ecco. Naturalmente si aggiungono i 10 milioni di persone da casa, ma lì diventano solo una telecamera. Pertanto, basta non entrare in questo meccanismo mentale e il resto viene da sé: l’unica tensione che personalmente sentivo, era proprio per la difficoltà del pezzo, perché come ti spiegavo, la sera arrivavi in albergo a pezzi, allo stesso tempo non era facile prendere sonno subito e recuperare le energie della giornata.
Ero proiettato verso lo scopo: abbiamo deciso di partecipare alla gara per dare il meglio di noi e per farci conoscere da più gente possibile. Per il resto, te lo dico con sincerità, abbiamo fatto 300 concerti in 3 anni, suonare lì non era motivo di particolare preoccupazione: anzi, avevamo una sorta di incosciente arroganza, forse eravamo a nostro agio più di quanto avremmo dovuto.
Era per avere una conferma: come ti dicevo, non trapelavano grandi ansie, eravate piuttosto disinvolti.
La nostra sicurezza era data dal fatto che al Festival non ci giocavamo il tutto per tutto, ci tengo a ricordare che i kuTso non vengono da Sanremo: abbiamo colto l’opportunità per dare un’accelerata alla nostra carriera, questo sì, ma male che fosse andata, sapevamo che avremmo continuato a fare ciò che già facevamo prima, con i nostri live e la nostra musica. Non c’era nulla da perdere, ma tutto da guadagnare!
C’è stato un momento di particolare difficoltà o di sfiducia?
Sì, praticamente tutte le sere, arrivavo all’esibizione molto stanco e dicevo: “Stasera nu gna faccio!!” (ride, ndr) Poi, una sera con l’altra diventava più semplice vivere la gara: sicuramente è stato più ostico affrontare la prima delle serate, dopodiché una volta che siam passati (nello scontro con Kaligola, ndr), ci sentivamo forti di aver ricevuto il consenso di un pubblico medio e molto vario.
Avete fatto amicizia con altri artisti?
In realtà un po’ con tutti. La persona con cui abbiamo parlato di più è stato Kaligola, con lui e con la sua famiglia. Siamo anche andati a vederlo con Amara alla libreria caffè N’Importe Quoi di Roma, prima del Festival. Abbiamo stretto un rapporto simpatico, è un ragazzo d’oro, molto talentuoso.
Ultima domanda su Sanremo, dopodiché parliamo del nuovo album: col senno del poi, siete rimasti contenti di aver presentato Elisa ?
Sì, Elisa era la canzone che ci permetteva di esprimere nel migliore dei modi il nostro essere “allegramente sovversivi”; pur essendo leggera, è sui generis, usa parole come “petting”, è molto diretta. Ci ha entusiasmato presentare, proprio a Sanremo, un brano che parla d’amore, ma parte da una visione dell’amore così carnale e concreta, fuori dal comune.
Non solo siamo contenti, ma siamo anche più contenti di quanto ci aspettassimo, perché è andato tutto alla perfezione, non abbiamo nulla da recriminarci.
Musica per persone sensibili è il titolo dell’ultima fatica discografica dei kuTso! Proporrei di fare un lungo viaggio alla sua scoperta, traccia per traccia: si parte con Bluff !
Con piacere! Bluff è una canzone molto immediata, anche se “storta”: ha un sacco di accordi messi a caso! L’abbiamo posizionata all’inizio di Musica per persone sensibili perché ci sembrava che desse subito l’idea dei contenuti del disco, riassume un po’ la nostra musica: solare, piena di colpi di scena, anche un po’ complessa se vuoi, con dei testi un po’ surreali, a volte esistenzialisti, con frasi che funzionano per analogia. Non credo di fare un torto alle altre tracce se dico che Bluff è un po’ un sunto di tutto l’album.
“Dico frasi stupide mentre bevo te”. Cosa vuol dire? È una frase dal brano n°3, Bevo te.
Anche in questo caso, il testo procede per analogia, si serve della cut-up, una tecnica letteraria stilistica – molto cara negli anni ’60 a William S. Burroughs e ad altri scrittori della Beat Generation – che consiste nel mescolare in un testo, frasi che hanno senso con altre che, in maniera slegata dalle prime, stanno bene di seguito per motivi di suono. Non c’è un’esatta unione logica, non c’è una storia che si spiega, eppure questi pensieri estemporanei insieme funzionano.
Spray nasale inquadra più uno stato d’animo.
Vuoi spiegare meglio l’immagine che dà il titolo al pezzo?
Questa canzone è un’elucubrazione esistenziale sul sentimento dell’insoddisfazione, nei riguardi della situazione che si vive o delle persone con cui si hanno rapporti. Il ritornello,“Non so che dire, non so che fare, voglio sparire, voglio sparare”, racchiude questa smania di decontestualizzarsi dallo stato in cui si è, di andare via, di vivere. Poi Spray nasale ha anche un reale aggancio alla mia vita: io sono allergico asmatico, come molti mi nutro di spray nasale per dormire la notte! Ed è una condizione che ti fa sentire in una gabbia, perché vivi una dipendenza, hai bisogno di quel feticcio per stare bene… E questa è la cosa che odio di più!
Io rosico: a cosa stavi pensando quando l’hai scritta?
Mah, è una canzone rivolta a tutti coloro che si atteggiano a intellettuali, che si sentono custodi della cultura, dell’arte, della musica che vale; a tutti quelli che guardano gli altri dall’alto verso il basso. Ciò accade, ad esempio, nell’ambiente indie, che conosciamo e da cui proveniamo: penso a tante persone che credono di valere di più rispetto a un discotecaro, perché si ascoltano cose che conoscono solo in tre, e magari sono pure delle cagate pazzesche alla fine.
Al di là della critica, con Io rosico ci si guarda anche in faccia, da soli: il fatto di provare una certa rabbia per qualcosa può derivare anche da una propria predisposizione, e cioè, ogni volta che mi incazzo per qualcosa, poi mi guardo dentro e mi rendo conto che in fondo sono pure io che rosico, che mi faccio coinvolgere dal nervoso fino a enfatizzarlo, dal momento che ho già di mio delle frustrazioni. Quindi c’è una doppia valenza: Io rosico è una critica, ma anche una forma di outing… nell’ammettere di essere appunto, uno che rosica.
La sesta traccia, Nel buio e nel silenzio, segna uno dei passaggi più seri, o se vuoi meno spensierati, del disco.
Sì, in effetti è un po’ uno spartiacque, ma ancora di più rappresenta un aspetto del mio modo di comporre, una parte di me latente ma in realtà, sempre presente nei brani. Nel buio e nel silenzio ha una melodia molto aperta come altre tracce, ma a differenza di queste la sua atmosfera è diversa, più emotiva… Direttamente collegata al titolo del disco.
Chi è l’operatrice 103 di cui parli nella briosa Call center?
Ahahahah! Call center è una considerazione su questi lavori interinali, che servono a schiavizzare le persone, a parcheggiarle, ma poi non hanno un reale valore economico, perché gli stipendi, tra trattenute e cose varie, sono così esigui, che veramente non bastano neanche a sopravvivere. Giocando su quest’idea, ci siamo immaginati che l’unico motivo per continuare a lavorare in un contesto del genere, sia la presenza di una collega molto bella, cosicché il fatto di andare a lavoro diventi strettamente collegato al desiderio di vederla, più che alla necessità di guadagnarsi da vivere.
Siamo alla seconda strofa di Vengo in pace, quando canti: “La tragedia è ora imminente, il mio cuore non è più sufficiente, guardo allo specchio la realtà”. Di cosa stai parlando esattamente?
Sono una persona ipocondriaca, ansiosa e tendente al pensiero tragico! Con l’intensificarsi delle attività del gruppo in questi anni, mi sento sempre più affannato e capita di pensare in negativo, più per sottrazione che per addizione… Ecco com’è venuta la strofa.
Ehi, ma stanno emergendo certi lati… Dopo l’allergia da Spray nasale siam passati all’ipocondria in Vengo in pace! (rido)
Ahahahahah! Hai ragione, sono un catorcio! (ride di gusto, ndr)
Dai, torniamo all’album. Dunque, Se copuliamo è vicina al mood di Elisa: l’ambiente è festaiolo e chi parla sta cercando di convincere l’altra persona ad accettare le sue avances. “Fissiamo gli attimi in un ricordo che è vivo solo se copuliamo”: quindi, se non si copula, non c’è ricordo che valga la pena tenere con sé?
L’idea è quella: il sesso è un collante che ferma i ricordi nella mente in maniera più solida, forse sarà un punto di vista prettamente maschile. Un bacio te lo scordi, una chiacchierata te la scordi, ma una bella scopata no! Ahahahahah!
Nella successiva e decima traccia canti “L’Amore è qualcosa che ci piace”. Ora, da questa domanda non si sfugge: tu Mattia (o voi kutso), fondalmentalmente, che idea avete dell’amore e che valore date al sesso? Nella vita di tutti i giorni confermate la vostra focosa personalità artistica o siete meno goliardici di quanto si potrebbe immaginare?
Nella musica, l’amore è il sentimento più decantato, da sempre e forse per sempre: tutti ne scrivono, per questo noi ne parliamo poco e, quando lo facciamo, ci piace metterne in luce l’aspetto più corrotto, o più ipocrita, o ancora più triste; allo stesso tempo, in Elisa e in Se copuliamo, emerge l’amore sessuale, quello crudo, per certi aspetti il più vero. Diciamocelo: in letteratura, in musica, nell’arte l’amore elevato ha un po’ rotto i coglioni!
Dice: “L’amore che è?” L’amore è qualcosa che ci piace, il resto l’avete già detto voi. Punto! Poi è naturale che anche i kuTso vivano l’amore: siamo persone innamorate, nella vita normale siamo normali; ma non ci pare così interessante cantare le lodi dell’amore per l’ennesima volta.
In Ma quale rockstar colpisce la frase da perfetto antidivo: “Ma quale rockstar?! È meglio se accendo un mutuo!”.
Massì, il mestiere del musicista a volte è frustrante, nel senso che se tu lo fai come tua unica attività e ci credi tanto portandolo avanti seriamente, la tua vita è fatta di continui calci in faccia. Ma quale rockstar vuole evidenziare questa condizione: il tempo passa e tu ti ritrovi a sentirti vecchio, noti che hai tralasciato tante altre cose. E sono quelle cose che poi contano, come per esempio accendere un mutuo, perché alla fine rimani senza niente in mano.
Questo pezzo non vuole negare o nascondere, ma solo esorcizzare o se possibile, relativizzare e rimpicciolire l’importanza di una considerazione, che periodicamente, facciamo o che esce fuori nelle nostre chiacchierate. In questo mondo della musica e dello spettacolo, ti assicuro che c’è tanta pantomima: anche ai grandi livelli, in tanti pubblicizzano di sé un’immagine lucente e poi, in realtà, pure loro c’hanno difficoltà economiche. Bisogna sempre dire che va tutto bene, no? Allora noi preferiamo dire che non è vero che va sempre tutto bene, ma continuiamo a fare una musica solare.
Non servono è più che una canzone, una riflessione (dura appena due minuti!). Inizia con una frase di Pirandello…
Quella traccia l’ho scritta quando avevo 23 anni, quindi ad oggi ne ha ben 12. Nella musica ci si trova spesso davanti a persone che ti spiegano come funziona il mondo, no? Cosa bisogna fare, cosa è giusto e cosa è sbagliato… Poi dopo tanti anni che fai questo lavoro, ti accorgi che forse in parte era vero, ma che per l’80% non ci sono reali regole. Chi ti vorrebbe dire come funzionano le cose, in definitiva non può che dirti come la pensa lui, come farebbe lui, etc. Ciò non vuol dire, però, che il suo metro di giudizio vada bene per te, ancor meno per tutti.
Subito dopo arriva Why don’t we do it in the road?, un omaggio ai mitici The Beatles.
Sì, ci piace il carattere provocatorio di quella canzone. Pensa che è stata composta nel ’68: trovo geniale che un gruppo pop famosissimo in tutto il mondo, abbia scritto un pezzo in cui si ripete continuamente:“Facciamolo per la strada, nessuno ci guarderà”! Noi l’abbiamo stravolta in chiave elettronica, ma l’originale è essenziale, è un blues. Che dire, ci piaceva l’idea di mettere un pezzo dei Beatles nel nostro album, inoltre l’abbiamo riarrangiato con i nostri colleghi e amici Viva Lion e Jacopo Vannini!
Triste è una traccia così disincantata, sensibile, con immagini poetiche: vedi l’idea della persona amata (e ahimè perduta) che appare lontana e ormai cenere nel vento. Ed è questo l’ultimo brano di un disco come Musica per persone sensibili, che al contrario fa dell’ironia e dell’arguzia i caratteri principali. Sembra quasi un riscatto, spiegami…
È la ballata del disco e offre dell’amore una visione amara, molto malinconica: è una fotografia di quello che viene dopo, quando l’amore finisce, dopo che ti sei fatto stupide illusioni e hai idealizzato tutto. Abbiamo voluto metterla alla fine per chiudere Musica per persone sensibili con un brano più rilassato.
Possibile che la goliardia e la sagacità trasgressiva dei testi del Gabbianelli celino in vero una delusione molto profonda che lo ha trasformato nel tempo?
Sai, il nostro genere musicale lo abbiamo definito “quello che ci pare”, perché noi facciamo quello che ci pare: inserire un brano come Triste può suonare insolito alla fine di un disco come questo, ma per noi andava bene farlo. Come per dire, non escludiamo nulla: la nostra musica è totale, comprende tutto, come la vita. I sorrisi, le lacrime, la serietà, l’Universo… comprende tutto.
Io sono contemporaneamente il Matteo serioso e quello rivoluzionario. Uno compra il nostro album e pensa: “Ah lo hanno chiamato Musica per persone sensibili, che burloni, staranno scherzando…”; poi lo ascolta e si ritrova Triste, Nel buio e nel silenzio, ma anche altre canzoni che hanno arrangiamenti brillanti e testi esistenzialisti. Questi contrasti rappresentano proprio una caratteristica dei kuTso.
È già in atto il Tour per persone sensibili. Come sono andate le prime date? C’è una scaletta fissa, o la cambiate sempre?
Il tour procede bene, in set list ci sono canzoni dal nostro secondo disco, ma anche dal primo, Decadendo (su un materasso sporco). Il live dura circa un’ora e un quarto, sul palco accade un po’ quello che tutti hanno già visto all’Ariston: ci divertiamo e in più, ai concerti amiamo interagire col pubblico. Un’altro aspetto che ci piace mantenere sempre è l’improvvisazione: pensa che apriamo le date con un intro che è sempre lo stesso, ma sul quale io inizio a cantare inventando le parole… una sorta di freestyle cantato, in base a quello che vedo sotto al palco.
Che pareri state raccogliendo sui nuovi brani? Avete anche il sostegno di un fanclub… del kuTso, così chiamato!
Ahahahah! Il riscontro è positivo, c’è più gente ai concerti e, come hai detto tu, non mancano all’appello i nostri fan affezionati, che hanno creato il fanclub già l’altr’anno. Abbiamo iniziato a collaborare assiduamente, li stiamo istruendo affinché mettano su un esercito dei kuTso! (ride, ndr)
Avete già deciso quale sarà il nuovo singolo dopo Elisa?
Io rosico. Faremo le riprese del video il 12 e 13 aprile, mentre il brano arriverà in radio alla fine del mese!
Okay! Concludiamo così questa bella intervista, da parte di All Music Italia un forte in bocca al lupo per il lancio di Io rosico e per la tournée. La volta precedente ci siamo divertiti col rompi-disco; in questo caso ti sottopongo, invece, lo stesso gioco sotto una veste nuova: il rompi-Sanremo! I kuTso a chi rompono il disco di Sanremo?
Nesli o Moreno?
Nesli. Moreno l’ho conosciuto, mi sembra una persona simpatica!
Nek o Il Volo?
Non so a chi romperlo: come canzone preferisco Il Volo, come artista Nek. O li rompiamo entrambi o nessuno!
Gianluca Grignani o Marco Masini?
Non so perché ma mi sta più simpatico Masini, quindi dico Grignani.
Annalisa o Bianca Atzei?
Bianca Atzei mi sembrava più carina, la salviamo. Dico Annalisa.
Irene Grandi o Malika Ayane?
Irene Grandi mi sta più simpatica, quindi lo rompiamo a Malika Ayane.
Biggio e Mandelli o Grazia Di Michele e Mauro Coruzzi?
Lo rompo a Di Michele e Coruzzi e salvo Biggio e Mandelli.
Amara o Serena Brancale?
Loro mi piacciono tutt’e due, due bellissime ragazze, non rompiamo nulla!
Enrico Nigiotti o Giovanni Caccamo?
Anche qui ho simpatia verso tutt’e due, dai, non lo rompiamo… Mi dispiace, poi occorre aiutarci almeno tra noi!