Il concerto non si fece.
Solo cinque spettatori paganti.
Eppure c’erano tanti artisti bravissimi e famosi.
L’organizzatore ci diede metà del cachet. Ci guardavamo tutti in faccia come dei poveri pirla. Tutti a casa. Un palasport deserto.
Fuori c’era Mia Martini.
Appoggiata ad un’auto. Disse: “Non sono nemmeno entrata. I teatri vuoti mi mettono tristezza”.
Un pezzo di merda disse: “Ecco… è lei che ha portato sfiga…”.
Lo presi per il collo. Ci separarono. Le menti vuote mi mettono tristezza e mi fanno partire la brocca. Quella fu l’unica volta che vidi Mia Martini.
Quando lessi la notizia della sua morte piansi. Se ne andò in silenzio e solitudine. Non mi interessa come se ne andò. Ma se ne andò.
E subito venne celebrata nel perfettissimo schifoso stile italiano. “Se ne è andata una immensa artista”. Ma se, brutti fetenti, ve l’eravate scordata. O peggio. Evitavate di parlare di lei.
Un mio amico, l’attore, Carlo Giordana, mi raccontava che era una donna dolcissima e fragile.
E la fragilità, quella vera, è una condanna nel nostro mestiere. Affollato da “piccoli uomini e piccole donne”.
Perché “Sai la gente è strana… prima si odia e poi si ama… cambia idea improvvisamente… prima la verità poi mentirà senza serietà…come fosse niente…”.
#CiaoMimì