12 maggio 1995 – 12 maggio 2015
Vent’anni fa si spegneva la vita dell’artista più intensa della musica italiana, Mia Martini… ma non la sua voce che vive ancora grazie alle sue canzoni.
Per l’occasione All Music Italia ha deciso di dedicare questa sua giornata a lei…
Romina Falconi, Donato Santoianni, Enrico Nascimbeni e la redazione hanno voluto ricordarla, ognuno a suo modo e poi c’è Mauro Coruzzi, Platinette… che mi ha fatto dono di un suo ricordo su Mimì.
Buona lettura… #CiaoMimì
Mia Martini era una ed era tante.
Era soprattutto la donna delle contraddizioni.
Fortemente attaccata alle sue origini calabresi eppure talmente innovativa nella sua musica.
Amava sperimentare Mimì. Quando morì il 12 maggio del 1995, stava incidendo un disco di cover di Tom Waits e Janis Joplin.
Era un’anima fragile, segnata da una sofferenza invalicabile, da uno squarcio nel petto che era il suo demone peggiore e allo stesso tempo il suo più grande dono, quello che le permetteva di cantare come nessun’altra prima e dopo. Così viscerale da farti venire a volte la voglia di scappare ascoltandola, perché quel dolore quando lo senti cantato dalla sua voce è palpabile nell’aria. E´il tuo dolore.
Era un’anima sofferente Mia, eppure se cerchiamo nel web delle sue foto la troviamo quasi sempre ritratta sorridente.
Aveva voglia di ridere Mimì, aveva il disperato bisogno di sorridere e amare la vita, ma qualcosa glielo impediva sempre…
che fosse “La distruzione di un amore”o le piccole voci messe in giro per un banale episodio e diventate in poco tempo un gigante invalicabile…
Amava e viveva di musica Mimì. Non economicamente, il suo era un bisogno fisiologico… si cibava di musica. Eppure si condannò alla “bulimia musicale” quando il suono di quelle voci era diventato per assurdo più forte del suo canto….
Quando capì che non poteva più rendere giustizia a quello che cantava, che non avrebbe potuto dare alle canzoni quello che meritavano, se ne privò, costretta ad infliggersi l’ennesima sofferenza.
Era un’anima creativa, Mimì…
capace di spaziare tra i generi musicali senza perdere mai un briciolo di coerenza o di credibilità.
Era una fiera interprete. Certo ha scritto alcune canzoni nella sua carriera… anche un intero album, Danza, ma non ha mai avuto l’ansia da prestazione… amava cantare le parole scritte da altri. Perché l’amore e il dolore sono sentimenti con sfumature diverse per ognuno di noi, ma con la stessa radice… e Mia sapeva prendere quella radice e trapiantarla nelle sue viscere rendendo sue quelle parole.
Era una sperimentatrice, ma amava cantare le canzoni già incise da altri, omaggiarli e farle in qualche modo proprie.
Era il difetto, Mimì. Il meccanismo inceppato, l’incognita, la macchia nera sul foglio bianco.
Era terribilmente difettosa, magnificamente difettosa. La sua voce era tutto fuorché limpida e cristallina… non era il bel canto che ci avevano insegnato fino a quel momento. La sua voce era carta vetrata, era un grido sporco come sporca è la vita.
Perché nella vita il difetto è verità. la perfezione è solo un espediente artificiale.
Era la migliore, Mimì. Lo è sempre stata, ma solo da vent’anni a questa parte ce ne ricordiamo…
Oggi il suo nome è in odore di ipocrita santità… nessuno le riconosce più nessun difetto e probabilmente ne aveva. E questo la rendeva speciale come ogni essere umano.
Oggi quando viene nominata quasi ci si fa il segno della croce per rispetto. Per tanti, troppi anni, si facevano le corna di nascosto quando passava.
L’ipocrisia dell’essere umano potrebbe riassumersi nella storia di Mimì. La finzione e la falsità di quello che gira attorno alla musica potrebbe essere raccontato parlando di quello che lei ha passato.
Perché la musica, spesso, è magia finché suonano gli strumenti. Diventa fango e melma appena si chiude la prima nota.
Mimì è morta. Mimì si è tolta la vita…
Ma cosa importa quando le domande arrivano sempre qualche secondo, minuto, ora o anno dopo? Non servono più a nulla.
Mimì sorrideva, ma tutti sapevano che stava male… è un po’ la storia del suicida di cui tutti dicono “non avrei mai immaginato potesse fare qualcosa del genere…” o “era una persona così solare chi lo avrebbe mai detto…”
Solare un cazzo. Chi soffre lancia sempre segnali e son quasi sempre evidenti… ma probabilmente siamo troppo presi dalle nostre vite, dalla nostra singolarità, per voler realmente tendere la mano a qualcuno.
E va bene così… oggi ricordiamo tutti più che mai, fortemente, Mimì…
Riempiamo i social network delle sue canzoni… se questo può servire a rendere la sua arte immortale, ad insegnare a chi non c’era quale era il suo reale valore, va bene così.
Ma ricordiamoci di insegnare a chi vuole far musica non a cantare come lei, ma a vivere la musica come la viveva lei… con entusiasmo e professionalità. come un estensione di sé.
Ricordiamo il suo modo di amarla, interpretarla e soprattutto la lezione più grande che ci ha lasciato…
Non esiste vergogna nel mettere il proprio dolore in piazza se lo si fa con dignità. Nemmeno nella musica. Il dolore e la sofferenza ci rendono esseri umani… ci rendono sinceri, e Dio solo sa tra tanta musica plastificata quanto abbiamo bisogno di sincerità…
Perché la musica rende meno soli e Mia questo lo ha sempre saputo.
Io Mimì ho imparato ad amarla da grande… eppure quando la vidi per la prima volta a sanremo, avevo 12 anni, lei cantava Almeno tu nell’universo ed io ovviamente quella canzone l’ho capita solo anni dopo… ma il suo dolore lo vidi e lo percepii ugualmente e anche per questo l’ho amata dal primo momento… e quando anni dopo la sentii intonare le note di un altro suo successo, Gli uomini non cambiano, già sulle parole “Sono stata anch’io bambina, di mio padre innamorata…” io già mi commuovevo e piangevo.
Perché la sentivo un po’ come me Mimì. Inquieta, come un’anima a cui fin da piccola si son dimenticati di insegnare il significativo di una parola importantissima: serenità.
Solo due donne mi hanno graffiato dentro senza lasciarmi alcun segno fuori: mia madre e Mia Martini.
#CiaoMimì
Il direttore