Ieri abbiamo avuto il piacere di proporvi la prima parte di una lunga intervista che All Music Italia ha realizzato con Carmen Consoli.
Una chiacchierata in cui la cantantessa d’Italia ci ha parlato del nuovo tour estivo, del suo ultimo disco L’Abitudine di tornare e del progetto a favore del Telefono Rosa, che l’ha vista riproporre con alcune amiche il brano La Signora del quinto piano.
Oggi potete leggere la seconda parte dell’intervista, in cui Carmen parla di un argomento che le sta molto a cuore: la musica emergente e il progressivo sparire di molte realtà live della musica italiana tra locali e Festival. Ma non solo, si torna anche ad approfondire alcuni temi dell’ultimo album.
Buona lettura.
Clicca QUI per scoprire la prima parte dell’intervista.
Le nuove generazioni di artisti fanno molta fatica a emergere, se non seguendo, quando ci riescono, le due vie maestre del talent show in TV o dell’autopromozione via web. A tal proposito, Carmen, quale può essere secondo te, il ruolo delle radio, un tempo il primo mezzo di diffusione della musica?
Il discorso è molto complesso. Il problema è che non ci sono più radio che puntano su emergenti; gli emergenti di oggi e, in particolare, gli artisti indie rock non hanno più spazio per costruirsi un pubblico, come accadeva per Afterhours, Marlene Kuntz, Subsonica… Così, bisogna passare dall’imbuto del talent, il che non è una cosa negativa, perché è bene che i talent show ci siano; ma è bene anche che ci sia quello che c’era prima. Così come le case discografiche, le radio non sono disposte a diffondere una musica scomoda, te ne accorgi dalle playlist.
Ora sto ripensando agli anni ’90, quando in TV passava Non è la Rai: ricordo che quando sono uscita io, in classifica c’erano Subsonica, CSI, Max Gazzè, Samuele Bersani, Battiato con La cura. Era veramente un altro momento… Grignani usciva con un disco che si chiamava La fabbrica di plastica: c’era proprio una ribellione all’impacchetamento, alle convenzioni. E c’era questa rivendicazione della libertà, anche intesa come libertà artistica. C’erano le classifiche e i numeri, anche per un certo tipo di musica.
Oggi c’è questo orientamento verso il super commerciale con testi che non devono fare riflettere, con progetti usa e getta… Ma da premettere che io non ho nulla contro questo tipo di progetti! C’è chi come Robbie Williams, ad esempio, arriva dai Take That e ha sfruttato il lancio di quel gruppo per costruirsi una carriera, dimostrando nel tempo di avere talento e di meritarsi il suo grande seguito. Quindi non è tutto negativo: il problema è che con questo meccanismo i ragazzi vengono maciullati. Io mi auguro che riescano a sopravvivere, ecco.
Ce lo auguriamo anche noi, ma allo stesso tempo, siamo molto preoccupati, non per nulla All Music Italia ha da poco lanciato una petizione alle radio tutte, e in particolare a quelle di punta nel nostro Paese, perché facciano qualcosa. Pensa che, secondo la classifica di Airplay.fm, tra i primi 200 brani solo italiani più passati nel 2014, solo 2 erano di ragazzi emergenti: Rocco Hunt e Zibba, entrambi provenienti da Sanremo!
Credo che adesso, con lo stesso repertorio che mi ha dato fortuna nella mia carriera, io non sarei uscita, non ci sarei riuscita, avrei dovuto cambiare lavoro. Io oggi con Confusa e felice non avrei trovato spazio, per niente. Un altro mio singolo, Fiori d’arancio, arrivò primo in radio: oggi sarebbe stato considerato indie rock… Cioè, non sarebbe stato passato assolutamente. Sono cambiati proprio i tempi… Poi c’è anche un’altra questione: le case discografiche non hanno più quel pugno fermo che avevano con le radio negli anni ’90.
Onestamente, credi che sia cambiato anche il gusto della gente?
È cambiato anche il gusto, certo… Ricordiamoci però, che non abbiamo avuto circa un ventennio di cultura in Italia: ci hanno detto che non si poteva vivere di pane e Divina Commedia, e han fatto tutte le politiche in questo senso. Quando avevo 15 anni, scappavo di casa per andare a vedere i Nirvana e frequentavo comitive, si discuteva di libri: volevamo la rottura, volevamo creare questi gruppi, volevamo dire qualcosa per irrompere… Oggi questa urgenza francamente non la vedo, non la sento… Però noi avevamo davvero altri mezzi, siamo stati fortunati. Mi ricordo i numerosi festival presenti in tutta la penisola: di duecento ne saran rimasti quattro, è veramente mortificante. Alla musica, all’arte, allo spettacolo sono stati tolti i sogni e questo qua è il risultato!
Non ci sono più spazi per la musica emergente. Agli inizi io ho fatto quello che ho voluto, non stavo e non sono mai stata alle dinamiche discografiche, questa è la mia storia. Io avevo la possibilità di suonare nei club, dove sono riuscita a crescere con il pubblico. Adesso questi club li hanno chiusi e quelli che son rimasti aperti, ospitano o sale bingo, oppure gruppi di cover. Una Carmen Consoli di oggi non può fare niente.
Capisco… Ti dico, è appena uscita un’altra classifica, quella dei KeepOn Best Live che ha premiato i talentuosi Bud Spencer Blues Explosion come miglior gruppo dal vivo nel circuito indipendente, secondo le segnalazioni raccolte nei più importanti live club italiani, aderenti al circuito KeepOn. Tuttavia, è assurdo pensare che realtà musicali valide, come ad esempio i Bud, debbano essere note a un pubblico di nicchia e non trovino spazio in altri contesti.
Già… Ai miei tempi il gruppo alternativo passava da questi festival che ti dicevo; così cominciava a fare il primo giro in Italia, andava a suonare al Fillmore, al Sonny Boy, a tutta una serie di locali, faceva una ventina di date e suonava per 300.000 lire. Dopodiché tornava nello stesso locale a Roma, per dire, e questa volta suonava per 600.000 lire, e così di nuovo da capo: intanto il pubblico raddoppiava ogni volta, fino a quando si consolidava il successo della band, arrivando a realtà quali gli Afterhours o i Marlene Kuntz… Oggi questo non è possibile. Vedi Vinicio Capossela: lui non è mai andato in radio, eppure è un artista che ha un successo impressionante, di pubblico e di vendite! Oggi Vinicio Capossela non potrebbe sviluppare ciò che ha sviluppato anni fa, perché oggi Vinicio Capossela non avrebbe più la possibilità di farlo, con tutto il talento che ha. E nemmeno io. Bisognerebbe passare dall’imbuto dei talent: forse noi ci saremmo passati, o forse no, chi lo sa.
Ovviamente la situazione in Francia e in America è completamente diversa. Io da artista italiana in generale, lì ho uno spazio, che diventa quasi come quello italiano adesso. In Francia c’è uno spazio sulla world music, ce n’è uno sulla indie music… Non c’è solo X Factor o The Voice, per dire.
E chissà quanti giovani artisti di talento non ce l’han fatta a causa di questa mancanza di spazi per loro…
Sai, la generazione cui appartengo io, credeva davvero di poter cambiare il mondo: noi esprimevano il nostro disagio esistenziale, avevamo delle cose da conquistare e sapevamo che, se lottavamo, le conquistavamo. Oggi, pur lottando, non si sa se le conquisti… Cioè, sembra che non ci sia più speranza: o ti appiattisci e diventi cretino, oppure se hai un minimo di intelligenza e cultura, nel nostro Paese sei destinato a fare molta fatica nella tua strada, che sia quella della musica o un’altra. E non è un caso che in questi anni l’unica luce nel panorama musicale sia diventato il rap: se tu leggi i testi di Marracash o di altri, ti rendi conto che stanno denunciando delle cose e che vogliono realmente esprimere dei contenuti… Per questo il pubblico che prima ascoltava i Nirvana, adesso ascolta i rapper!
Io credo che questa tua testimonianza, Carmen, sia stata davvero interessante, esaustiva e senza filtri, ti ringrazio molto perché ancora una volta hai dato conferma della tua profonda onestà intellettuale!
Abbiamo ancora tempo per spendere qualche altra parola su L’abitudine di tornare?
Certo, dimmi pure!
Va bene. Dunque, tra i pezzi più lirici presenti nel disco, Esercito silente reca una frase molto intensa, che ripeti più volte: “Chissà se il buon Dio perdonerà il silenzio”. Me la commenteresti?
Allora, cominciamo subito col pensare che, siccome dalle nostre parti si vive di aspettativa, a volte quest’aspettativa si traduce nell’aspettarsi che le cose cambino da sole, o che siano gli altri a cambiarle per noi… Senza fare niente. Si dice: “Speriamo che Dio ce la mandi buona!”, oppure “Speriamo che questo nuovo presidente faccia qualcosa per l’Italia”. In realtà, pur non essendo cattolica o cristiana, rispetto moltissimo Dio e chi crede in lui, ma mi pare gli stiamo affidando un po’ troppe responsabilità: dobbiamo essere noi a spenderci, con le nostre azioni, per cambiare la nostra realtà, è inutile che aspettiamo l’intervento dall’alto. E poi c’è anche da dire: cos’ha fatto di male questa città perché Dio l’abbia abbandonata così?! Allora forse non è Dio che l’ha dimenticata, forse siamo stati noi a dimenticarci della città e, in definitiva, di noi stessi.
Oceani Deserti è una ballata amara sulla fine di una storia. Esordisci con: “Quale puerile fragilità la convinzione di averti”.
Pensi che l’amore sia una follia? Soprattutto per come ci è stato insegnato: devi trovare un partner, devi sposarti e restare insieme a lui finché morte non vi separi…
Partiamo dal fatto che l’altro, la persona con la quale vogliamo condividere la nostra vita, non è mai un nostro possesso. Ma io credo molto nella famiglia: è bello quando si costruisce qualcosa al di là degli slanci di gioventù, degli ormoni, come si dice. Soprattutto a una certa età, hai voglia di mettere su famiglia, avere dei bambini, scegliere una casa e un posto dove vivere e dove poter tornare sempre. Ma te sei molto giovane, lascia perdere ciò che ti ho appena detto! (ride, ndr) Aggiungo che ovviamente io per famiglia, non intendo solo la famiglia tradizionale, formata da un uomo e una donna, ma anche quella costituita da due donne, o da due uomini, o ancora da persone che si vogliono bene e che scelgono l’amicizia, senza per forza sessualizzare. Quello che mi piace del concetto di famiglia, è l’aggregazione, il gruppo, la comunità.
Secondo me, l’amore è bello quando c’è costruzione, in tutti i casi, perché è un sentimento che nasce libero da vincoli: l’amore abbraccia tutto. Con questo, non è una follia formare una famiglia tradizionale, semmai è una follia fare qualcosa che ti rende infelice per accontentare qualcun altro, ecco. Se io mi sposo, ho dieci figli, ma non amo la persona con cui mi sposo, lì ho fatto una follia. Lo scopo della nostra vita è la felicità e dobbiamo perseguirla, sottinteso senza nuocere a nessuno: per far questo dobbiamo fare un percorso necessario ed è folle chi sceglie di inficiare questo percorso per uniformarsi alle convenzioni, oppure all’idea e alle aspettative che gli altri – tuo padre, tua madre, tua moglie… – hanno su di te.
Qual è il peccato più grave per un artista?
Svendere la propria arte, sottovalutarla a tal punto da usarla come strumento di successo e non per esprimere un sentimento autentico.
Se avessi la facoltà di scegliere, in quale Paese ti piacerebbe rinascere? Ce n’è uno che ti affascina per motivi culturali, artistici o più squisitamente musicali?
Forse… Mi piacerebbe rinascere in Italia. Devo dire che alla fine mi piacerebbe rinascere qui, non c’è nessun Paese come l’Italia: io sono molto felice quando torno nel mio Paese, dappertutto, da Roma, a Milano, a Genova, a Catania, a Palermo, a Lecce… Cioè, è proprio un Paese che mi rende felice, amo andare in tour a riscoprire i vari posti… È bello.
Non hai mai pubblicato un tuo libro. Arriverà prima o poi?
In realtà non è successo perché non credo sia una mia vocazione: a me piace la parola accompagnata dalla musica, penso che sia questo il talento che possiedo. Per adesso no, non credo che arriverà un mio libro, non ho ispirazione in tal senso.
Ci salutiamo così. Qualche tempo fa è uscito un tuo singolo dal titolo AAA Cercasi: ecco, ad oggi hai avuto una vita piena e hai ottenuto grandi risultati professionali, ma… C’è ancora qualcosa che Carmen Consoli cerca e intende raggiungere in futuro?
Spero di essere una buona mamma per mio figlio. Dopo il tour voglio tornare a casa e riorganizzare la mia vita per quest’invernata. Ho tanti anni davanti a me e l’amore di mamma è forte e molto complesso.
Lo immagino… Carmen, che dire, ti ringrazio nuovamente per la tua grande disponibilità e per il modo autentico con cui hai risposto a ogni quesito. È stata una chiacchierata bellissima. Torna presto a trovarci e buona estate! In bocca al lupo per la tournée!
Si ringrazia Elena Guerriero.
Si ringraziano Emanuela De Zinis e Paola Corradini di Universal Music per quest’intervista.