Enrico Ruggeri è a Sanremo per la decima volta in gara, più l’ospitata dell’anno scorso. Il progetto è più ampio, il 32esimo album Un viaggio incredibile, un CD doppio con 15 canzoni più significative del secondo periodo della sua vita (in Pezzi di vita c’erano quelli dall’80 all’85) e un album con none inediti tra cui quella del festival e la canzone cover, ‘A canzuncella che avevo già inciso in un live fatto a Mosca nell’89 e 4 canzoni di David Bowie. Poi partirà la tournée e a maggio uscirà un romanzo.
Un milanese che canta in napoletano è una vera sfida. Perché hai scelto questa cover? Quali sono i tuoi miti musicali del periodo anni ’70-’80?
Ho già cantato in napoletano. Nell’89 ho fatto un album con l?orchestra sinfonica di mosca e avevo cantato proprio ‘A Canzuncella. Ho cantato in spagnolo, tedesco, inglese e russo, ora mi cimenterò con la lingua napoletana.
Ovviamente sono parecchi i miei miti e questa è la mia fortuna: avere più punti di riferimento. Lou Reed e David Bowie che erano nel pieno del loro fervore creativo nel mio momento più importante. Ricordo la prima volta che ho messo sul piatto il primo album di David Bowie… ricordo quel momento come una prima volta. Loro sono stati i più importanti, più creativi e più coraggiosi.
Se ti dicessero di presentare come sarebbe il tuo sanremo. Quale collega chiameresti per partecipare?
Conti è il presentatore perfetto e, guarda caso, parte dalla radio: sa stare in mezzo alla gente e la consce.
Per fare un buon festival defi fare un mosaico: è irrinunciabile. Non potrei scegliere i 20 cantanti che mi piacciono di più, ma quelli che rappresentano una gamma. Forse ne sceglierei 14, partendo da qualche grosso nome come Gianni Morandi o qualche mio amico tra i più famosi. Avrei un occhio di riguardo per la musica indie: Perturbazione e Zibba.
I Decibel sono un lontano ricordo o sono sempre presenti nel tuo percorso artistico?
Sono un spirito di vita. Erano una sfida, erano una novità nel panorama musicale italiano. Eravamo sempre a Londra e negli anni ’80 c’erano 30 anni di differenza tra l’Inghilterra e l’Italia. Arrivavi qui con un atteggiamento di vita che in Italia non c’era.
Avevo 22 anni la prima volta che sono venuto a Sanremo e c’erano 21 cantanti da una parte e i Decibel dall’altra.
Nella tua canzone “La vita ci ha trasformato”. Hai avuto tante collaborazioni, chi manca ancora nella tua lista di collaborazioni?
Ho sempre scelto i musicisti con cui ho collaborato per questioni umane, ma ne mancano ancora tanti. Elio ed io abitiamo a 2 portoni di distanza, con delle persone hai delle affinità che finiscono per diventare musica. Spero di conoscere altre persone piacevoli con cui nasca qualcosa. Non amo le collaborazioni a tavolino, puzzano di bruciato lontano un miglio.
Torneresti all’Eurovision?
Di corsa! È stata una delle più belle esperienze della mia vita: un incontro di culture fantastico ed era gestito con un enorme professionalità. Ho dei ricordi stupendi.
Mi sembra improbabile che con questo sistema di voto uno come me vinca il festival, visto che il televoto è più tarato sui ragazzi che hanno iniziato da qui la loro carriera, ma mi piacerebbe moltissimo venire all’Eurofestival.
Il tuo brano identifica tantissimo la tua carriera ed è presente la dimensione del ricordo tramite i 5 sensi. Puoi ricostruire questo viaggio abbinando ad ogni senso un tuo brano?
La canzone parla di tutte le prime volte, una serie di sensazioni. Ho degli odori della mia giovinezza, profumi di persone e luoghi che fanno parte del mio immaginario. Siamo contenti di avere 5 sensi.
Qualche hanno fa hai fatto il giudice in un talent. Un commento per i giovani in gara quest’anno.
Non li ho sentiti. Posso dirvi dei festival che ho visto da casa… ho visto i giovani quando li eliminavano e ce ne sono 3/4 interessanti. Ermal Meta è molto forte, anche Gabbani. I progetti sono molto interessanti. Non li invidio! Io vengo da anni in cui le case discografiche dicevano: “se non ce la fai al 4° album, allora lasciamo stare” e sono venuti fuori nomi come Battiato, Capossela, Ligabue…
Non invidio questi ragazzi perché non hanno a disposizione il tempo che avevamo noi e sono costretti a piacere al primo singolo.
Come è iniziata la tua avventura in radio?
Nella vita mi piace raccontare delle cose agli altri: canzoni, tv e libri. La radio è molto affascinante perché puoi avere successo tenendo alta la qualità, cosa che in TV non puoi fare.
Chi ha curato gli arrangiamenti del disco? Quando qui in sala stampa applaudiamo, come reagisci?
Il gradimento radio è uno dei premi a cui chi viene a Sanremo ambisce di più.
Per gli arrangiamenti, io ho il mio studio e posso andarci a fare musica quando voglio. Ho fatto delle gran giornate in studio con Luigi Schiavone; per il brano di Sanremo e altri due brani è entrato in squadra Marco Barusso, un ragazzo che arriva dall’heavy metal che ha dato quella spinta in più alla canzone del festival. Dal vivo c’è Renato Rossi che è il primo tastierista degli Champagne Molotov.
Nella canzone del festival sento un richiamo al punk. Senti un bisogno di tornare alle origini?
Non è facile andare in studio a fare il 32esimo album e il terrore di rifare le stesse cose c’è. Io faccio quello che mi sento e spesso mi capita di spingere il piede sull’acceleratore e il primo amore non si scorda mai. Io nasco alla fine degli anni ’70 in un gruppo punk e ogni tanto si sente…