Paradossalmente quel pasticciaccio brutto di calcolo (?) che l’ha prima premiata, poi brutalmente eliminata dalla sfida sanremese è stato un bene per Manuela Maria Chiara Paruzzo, più brevemente ed in arte Miele. Se non altro lo è stato per me, e credo anche per altri circa dieci milioni di italiani che nel giorno dopo il televisivo misfatto hanno potuto assistere ad una interpretazione da brivido di Mentre ti parlo, il brano con cui la giovane cantautrice siciliana ha provato a vincere una categoria giovani del Festival di Sanremo neanche troppo affollata quest’anno. Sarà per l’insieme di emozioni contrastanti che l’hanno attraversata in quella manciata di ore che l’hanno vista insieme vincitrice e sconfitta … Ma a sentire bene Occhi, il primo album di Miele c’è molto, molto da scoprire: la verità nelle parole di Mentre ti parlo tracciano da subito una premessa importante, quella di una direzione precisa già presa che Manuela racconta di andare cercando, ma che forse inconsciamente conosce già alla perfezione ed in questi brani incide con tratti profondi tanto nei testi come nelle melodie. “Come sarebbe stato condividere le rughe?” si chiede in M’ama o non m’ama, filastrocca rock alla Levante ed epilogo soft di una storia consigliata (male) da un petalo bugiardo. Le carte sono da subito tutte in tavola: in Questa strada tornano il tema della terra, la lontananza da casa e la necessità di tagliare i fili che trattengono la libertà, vero centro di questa opera prima: l’esplosione sull’inciso “sei pazza dove credi di andare? A ridere di tutto e a piangere per niente” fa decollare la tracklist con una scarica elettrica e vale da sola l’acquisto del disco. L’incipit sommesso di Mastica lascia presto spazio ad un’apertura graffiata e cupa che si sviluppa avvincente per tutta la durata del brano, piccola canzone d’amore e di dipendenza: “addomestica me, un cane randagio in cerca di te…” (uno tra i momenti migliori di tutto il progetto) . Lo scontro con una piacevole rilettura power di Grande figlio di puttana, classicone di Curreri e soci, guarda caso trionfatori tra i Big di questo stesso Festival mi fa quasi pensare che questo disco siano pieno di segni strani da ascoltare e codificare. Sono i contrasti a dare le sfumature più belle nelle canzoni di Miele, che sono dolci ed incazzate, quotidiane e maledette come ne Gli occhi per vedere dove convivono con la stessa poesia amarcord d’infanzia come “l’odore del gelsomino“ed il “fascino dei fiori morti” appoggiati su di una melodia crescente di grande impatto emozionale. In coda Parole al vento, un’accorata ballata piano, voce e poco altro a chiusura di un album breve ma conciso in cui c’è tutto quello di cui avevamo bisogno di sapere sulla nascita di una nuova e promettente cantautrice.
CANZONE MIGLIORE: Mastica
VOTO: 7/10