Dopo il successo dell’ultimo album registrato in studio 9, i Negrita tornano con un cofanetto speciale dal vivo dal titolo 9Live&Live, pubblicato il 4 marzo scorso. Il disco è stato anticipato in radio dal singolo inedito I Tempi Cambiano, scritto dai Negrita a quattro mani con Luciano Ligabue. La nuova edizione dell’album – CD + DVD – prodotto da Fabrizio Barbacci per etichetta Universal Music Italia, contiene nel dettaglio: un CD con nove versioni live tratte dall’album in studio, due brani inediti I tempi cambiano e Quelli Che Non sbagliano mai, più una versione acustica del brano Se sei l’amore. Ed un DVD con le immagini del concerto di Milano registrato al Mediolanum Forum il 18 aprile scorso, oltre al docu-film Under The Skin, registrato al Grouse Lodge Studio di Rosemount, in Irlanda.
Per l’occasione la redazione di All Music Italia ha incontrato Pau, Mac e Drigo negli uffici Universal Music Italia per scoprire qualcosa in più di questo nuovo progetto discografico.
Il nuovo progetto 9Live&Live.
“E un progetto davvero misto, con “9” abbiamo fatto tutto quello che una band dovrebbe fare, il giro dei palasport, un estivo, raccolto tutto il materiale possibile come siamo soliti fare. Abbiamo deciso di non fermarci dopo il tour e proseguire nei club, per ritornare un po’ alle radici della nostra musica. Questo nuovo progetto rappresenta una sorta di appendice di “9”ed è composto da due realtà, una video ed una audio lo abbiamo chiamato “9Live&Live” perché sono due live: uno al Forum di Assago ed una raccolta di 3 date del tour estivo, in più abbiamo aggiunto un documento per noi bello ed importante, uscito solo su SkyArt, un doc-film che racconta la nostra avventura irlandese in più nel CD audio 2 inediti ed un restauro di”Se Sei l’Amore” drasticamente diversa grazie ad un utilizzo molto romantico del Sax in stile anni ’80.”
Un aneddoto divertente
“Il sassofonista è un amico di Giacomo, nostro bassista, lo accompagnò ai tempi dei provini per la ricerca del nuovo bassista per l’appunto, ci siamo ricordati di questa cosa e lo abbiamo contattato una notte. Lui si trovava a Perugia con una ragazza, lo abbiamo tirato giù dal letto di corsa, dandogli giusto il tempo di passare per casa a prendere il sax; dopo un paio di ore era da noi a registrare due take. Insomma: prendere o lasciare.”
E invece la collaborazione con Ligabue?
“Liga aveva 3 minuti e mezzo liberi, nel suo tram tram quotidiano.. No, a parte gli scherzi, avevamo I tempi Cambiano, con un titolo importante, perché ovviamente porta alla mente il pezzo di Dylan e ha lui è da subito piaciuto. Noi lo abbiamo chiamato perché siamo in contatto con lui da più di 20 anni e ci sembrava che in qualche modo questo pezzo avesse un background in comune; non riuscivamo a chiudere con un ritornello convincente, e quindi lui ci è sembrato il più adatto. Infatti ha portato a termine il lavoro in tempi record ed in maniera magistrale, anche quando ormai avevamo finito di registrare il brano con la versione più convincente, lui continuava a mandare variazioni.”
Siete passati dal Forum di Assago ed Alcatraz a dei club veramente ridotti come il Mamma Mia o l’HMA.. Cosa avete ritrovato in dei club così piccoli?
“Avevamo voglia di ritornare dopo 12 anni nei palazzetti per riviverci la genesi della nostra carriera, nei palazzetti si fanno gli show, nei club la musica fermenta, nasce e si sviluppa. Ritornare in questi poste è fondamentale perché ci da’ la possibilità di rientrare in contatto con il nostro pubblico, la nostra musica ed anche con il nostro modo di approcciarsi allo show. Abbiamo la possibilità di scherzare tra di noi tra un pezzo e l’altro di cercare di dare un plot al concerto, che non sia mai lo stesso.. Improvvisare. Cambiamo scaletta e pezzi in base agli spazi e in alcuni casi in base al nostro umore, alle nostre sensazioni del momento.”
La scelta di dividere il concerto in due parti..
“C’è la voglia di sperimentare nuove formule. Abbiamo diviso il concerto in due cercando di dare una forte connotazione legata al nostro primo periodo, quindi la prima parte funky, blues, rock n’ roll, la seconda parte invece riparte con colori legati più ai negrità latino americani e reggie, per poi arrivare agli ultimi 20 minuti con la bomba, il B52, il “whisky time”. Lo abbiamo chiamato “whisky time” perché nel ’90 siamo andati a suonare all’avventura in quella che è oggi l’ex Jugoslavia, e senza avere scritture particolari abbiamo riempito un autocarro di strumenti, fidanzate, valige e tende siamo partiti, cercando di suonare ovunque capitasse. Un gruppo rock revival di nome “Isolani” ci adottò e ci permise di aprire i loro concerti nei campeggi croati. Quando salivano sul palco ad un certo punto, dopo 4/5 pezzi, fermavano tutto e dicevano: “whiskey time” e a noi è rimasta questa cosa.”
Qual è il collante dei Negrita dopo tutto questo tempo?
“Anche quando litighiamo ci ricordiamo che siamo prima di tutto amici, stiamo bene assieme. Non sappiamo farne a meno. Non sappiamo fare nient’altro. Ci viene naturale pensare alla musica, e quando pensiamo alla musica pensiamo ai compagni che ci ritroviamo. Il tempo libero è bello, lo sfrutti come vuoi, ma parliamoci chiaro questo è un lavoro che se ti riesce è forse il più bello del mondo, quindi come fai a non aver voglia di frequentarti? Con il tempo ognuno ha sviluppato il proprio ego, la proprio personalità in maniera abbastanza forte, quindi con il tempo si è generata una sorta di democrazia che fa sia che non ci sia realmente un singolo leader, un singolo capo. Le decisioni vengono prese da tutti. Il buon senso poi ti porta ad avere unanimità.”
È rimasto uno spazio per il rock in Italia?
“Il rock dal dopo guerra è stato inflazionato, quindi è normale che abbia pochi margini di riuscita. È difficile trovare qualcosa che non sia già stato fatto o detto, trovare qualcosa che emerga e colpisca, soprattutto voi della stampa ed il pubblico. Se c’è qualche mente illuminata, pensiamo che possa avere ancora spazio, anche a livello internazionale, è ovvio che si vede che qualcosa si sta evolvendo, a parte l’egemonia del pop, in Italia sta emergendo il rap, il giovane cantautorato, che cercano di rinnovare la nostra tradizione. Di rock in Italia se n’è parlato sempre tanto, ma fatto poco, la mia generazione e quella prima di noi è stata più fortunata: dai Litfiba ai Verdena. Una generazione fortunata perché avevamo dei padri importanti che ci hanno educato, si è creato un fermento ed è esploso tutto a cavallo tra il ’93 ed il ’95. Oggigiorno un negozio di musica vende più console da DJ che chitarre elettriche.”
Il CD è dedicato a Carlo Ubaldo Rossi, una mancanza così come viene vissuta?
“È difficililissimo per noi pensare di riuscire a raggiungere certi risultati, questo non è l’unico nostro album che ha co-prodotto (insieme a Fabrizio Barbacci), riuscire ad immaginare di poter raggiungere certi livelli senza Carlo, perché era veramente una persona ed un artista fuori dal comune, nascosto dietro ad un sacco di successi della musica italiana, appartenenti a diversi generi musicali. Era una persona in grado di far buone una band cola facilità con il quale un chitarrista fa suonare la sua chitarra. Noi solitamente lavoriamo in studi residenziali, luoghi in cui si registra, si mangia e si dorme, lui era l’ultimo ad arrivare a tavola ed il primo ad alzarsi per andare di nuovo al mixer. Il suo entusiasmo erano contagiosi, ci manca tantissimo. Siamo stati a Torino e una Torino senza Carlo Rossi è surreale per noi che l’abbiamo conosciuto. Lui ci ha portato per la prima volta a registrare negli studi fuori dell’Italia, a New Orleans nel ’96; quando andava in vacanza andava fondamentalmente a scoprire nuovi studi di registrazione. È lui che ha rotto gli argini e ci ha fatti innamorare, ci ha dati il coraggio di pensare al rock italiano in maniera un pochino più aperta, ci ha educato.”
Avete dichiarato che tornando nei club avete riscoperto quali sono i fondamentali del rock, spiegateci quali sono questi fondamentali?
“Un club possiamo farlo corrispondere in un certo senso a quello che è un teatro per un attore; un ambiente in cui c’è fermento. Un palazzetto ti da’ solo la possibilità di fare un grande show. In un palazzetto, un arena o ancor più uno stadio lo spettacolo ha una regia con tempi da rispettare, mentre nel club la regia è a braccio a sensazione, puoi scegliere di suonare musica diversa, la gittata, la lunghezza d’onda che la musica può avere determina questa differenziazione. Nei club puoi fare blues, a SanSiro la vedo dura, non renderebbe. “