Scrivere un articolo sulla prematura scomparsa di Prince per chi ama la musica e se ne ciba ed ancor più per un figlio degli 80 è davvero una cosa complicatissima. I ricordi personali affogano la semplice descrizione dei fatti, la riverenza per il mito e per le meraviglie regalate al mondo scaccia via la rabbia per la sregolatezza ed il caratteraccio che hanno reso la sua carriera discontinua, chissà forse a ragione, ma comunque non più da prima linea mediatica.
Scorrono le immagini nella mia mente dei DeeJay Television che tanto spazio dedicavano ai suoi video, a quella lunghissima Purple rain che eppur quando terminava quasi ti dispiaceva, perché la percepivi anche da bambino diversa da tutto ciò che circolava; un pezzo fatto per restare, come un quadro riposto in stiva che nemmeno la polvere riesce a rovinare.
Oggi Purple rain suona nuova; è splendore che rende acqua riscaldata quasi tutto ciò che ci viene propinato. Passa nella mia mente Kiss dove restavo stupito per la capacità di alternare il falsetto alla voce piena, in un video che sapeva essere suadente senza scadere nella volgarità e poi Sign of the times, uno dei primi video ad essere fatto di sole scritte.
La famosa rubrica sing a song del succitato programma culto negli anni 80 non aveva modo di essere, perché li le parole scorrevano già nel filmato e poi anche perché andare dietro a Prince, cantarlo, non era certo facile come intonare la People from Ibiza di turno, ovvero 4 parole messe in croce da poter improvvisare anche con inglese scolastico ed intonazione precaria, tanto già era precaria quella del suo interprete e… non me ne voglia il malcapitato Sandy Marton, che ne avrei potuti citare a dozzine. D’altronde quelli erano anni edonisti, anni d’immagine e persino Prince, che non ne aveva bisogno non lesinava di lavorarci quasi meticolosamente.
E così veniva criticato per l’aspetto efebico? Ecco che lui indossava tacchi da fare invidia alle dive e compariva nudo sulla copertina di Lovesexy. Sfidava e scacciava via demoni che lo rincorrevano sin dall’infanzia, perché adesso poteva farlo, adesso lui era Prince. Ed il primo Batman cinematografico, quello di Tim Burton di cui aveva scritto la colonna sonora? Batdance era una sfida al mondo radio che ormai andava sempre più verso delle edit inferiori ai 4 minuti. Anche li Prince se ne strafregava e le successive Diamonds and pearls , The most beautiful girl in the world , Cream e con loro dischi ambiziosi come il triplo Emancipation del 96 o l’osannato Musicology del 2004, raccolta di tutti gli stili approcciati in carriera e tutti con sapienza dal nostro, sono li a dimostrarlo.
Nel mezzo i tanti amori, con donne bellissime ( Kim Basinger la stava quasi sposando ), la presunta rivalità con Michael Jackson, pare non reale ma accesa ad arte dai media dopo che rifiutò di cantare Bad in duetto nel 1987 , la produzione di alcune starlette che si raccontava pagassero pedaggio nel suo letto per uno scippo nei loro dischi, dalla Jill Jones di Mia bocca alle Wendy & Lisa di Waterfall, successi effimeri e momentanei di carriere appena abbozzate. E la continua, estenuante lotta con le etichette, iniziata nel lontano 87, quando decise inspiegabilmente di bruciare un album intero, The black album, il giorno stesso della sua uscita.
C’è tanto mistero attorno a tale disco, che poi vide la luce nel 1994. Pare che l’etichetta tedesca non volesse pubblicarlo, ritenendo un non-sense dare in pasto agli acquirenti un nuovo capitolo di Prince nello stesso anno del successo di Sign of the times. Prince, da sempre ingovernabile, avrebbe deciso così di farlo uscire senza il suo nome, avvolgendo il tutto nel mistero e creando il caso. Vinta la reticenza dell’etichetta l’album vide la luce ai primi di Dicembre dello stesso anno, salvo essere richiamato in Warner il giorno stesso. Motivo? Qualcuno disse la rabbia dell’artista per la fuga di notizie e lo svelamento del mistero da parte della stessa Warner, su di chi fosse quell’album, altri che non fosse semplicemente soddisfatto del risultato, altri ancora che la partenza delle vendite, scarsina, lo avrebbe reso un megaflop da cui non poteva affrancarsi, visto il trapelare di voci. Fatto sta che comunque diverse migliaia di copie erano già state vendute in Europa prima del pur celere ritiro e l’album è diventato così oggetto per collezionisti. Pare che in Inghilterra una copia sia stata pagata addirittura 11.000 sterline e qualcuno insinua sia stato lo stesso artista ad acquistarla.
E poi la diatriba del 1990 con Sinead O’Connor che trasformò nel suo più grande successo una canzone quale Nothing compares 2 u , che il folletto di Minneapolis aveva scritto originariamente per il progetto The Family nel 1985. La versione della O’Connor, volutamente minimal, non piacque a Prince che rilasciò diverse interviste in cui non appellava felicemente la cantante irlandese che al fine l’aveva pubblicata senza definitivo benestare. Sinead dichiarerà poi che, a seguito del successo mondiale, l’artista provò a riparare invitandola a casa, invito rispedito a mittente con giusta causa e che successivamente nelle uniche due volte di incontro pubblico tra i due, il ghiaccio fu la cosa più evidente da annotare sui taccuini dei pettegoli.
E poi nei 90 ancora problemi con la Warner che offrì un contratto, poi sottoscritto e firmato, all’artista per 8 album in cambio di un assegno da 100 milioni di dollari. Si dice che il giorno dopo Prince sia piombato negli uffici Warner con gli otto album già pronti, li abbia poggiati sulla scrivania del direttore ed abbia detto: “ecco quanto vi devo, arrivederci e grazie”. La Warner ha sempre smentito il pettegolezzo ma fatto sta che da allora il bizzoso cantante non ha più avuto vita facile, cadendo in una contesa che lo ha portato da pubblicazioni con i nomi più diversi quali Tafkap ( The artist formerly knows as Prince ) , The Artist o Symbol , al progetto con l’alterego di Camille, con il quale avrebbe inciso un album mai pubblicato e di cui si sarebbero smarrite le tracce, a vari progetti doppi e tripli che uscivano sul mercato a prezzi esorbitanti, minandosi in partenza nelle vendite, fino ad essere uno tra i primi sperimentatori di album venduti esclusivamente in digitale.
Oggi, negli anni 10, Prince di tutto questo se ne fregava altamente. Ormai consapevole che commercialmente il suo lo aveva fatto, e soprattutto che artisticamente aveva timbrato pagine importanti della musica mondiale, si era dedicato ai suoi progetti quasi da indipendente, facendo sostanzialmente ciò che gli andava ed ai tanti, moltissimi live, che spesso nella sua storia avevano nelle appendici acustiche finali a sorpresa, in piccoli club dei luoghi in cui magari poche ore prima aveva incantato stadi interi, la parte migliore, quella che i fans, conoscendo questo suo vezzo, cercavano di stanare. Prince si aggiunge così a Michael e Whitney e chiude quel terzetto delle meraviglie black che ha incantato il mondo tutto per 30 anni; mai avrei pensato che in soli 7 anni li avrei persi tutti e tre, che li avremmo persi tutti e tre, perché se per chi vi scrive si trattava di miti assoluti, chi non li ha ritenuti tali ( e mi chiederei davvero il perché ) deve comunque piangerne il talento perso. Certe cose non tornano più ed è questa consapevolezza che oggi mi uccide.