I 99 Posse rappresentano senza dubbio alcuno quella tanto decantata eccellenza italiana di cui si sciacquano la bocca i politici quando sono in odore di voti. Come il vino delle valli cuneesi, il parmigiano, l’olio di oliva della toscana, le arance sicule o quello che pare a voi. Anche se dubito che il premier che parla come Pieraccioni e mente come Berlusconi – insomma un’orgia di oni – abbia mai sentito un disco di Zulu e soci.
Non credo esista nella musica contemporanea italiana qualcosa di tanto forte, ispirato, rabbioso e innovativo quanto l’ensemble napoletano. La loro musica, il loro sound ricco di colori e vibrazioni intense rappresenta senza ombra di dubbio uno dei picchi più alti mai raggiunti dalla musica popolare italiana degli ultimi 20 anni. Già, perché i 99 non sono i 99 da oggi… se negli anni 90 i Massive Attack rappresentavano il nuovo insaziabile groove narcotico nato a nord di Londra, la Posse incalzava invece il suono meticciato e rivoluzionario a sud del London swing, paladini di una generazione che poco alla volta stava prendendo consapevolezza di essere nuovamente e inesorabilmente vittima del capitale, un capitale nascosto, strisciante, torbido, protetto dal potere ma velenoso come e più del solito.
Capitanati dall’enorme Luca “Zulu” Persico, imbelliti dalla voce un po’ bjorkeska della bella Meg, sporcati dalle sapienti forchettate dub di Marco Messina e reggaezzati dal basso di Massimo Jovine, hanno rappresentato la sintesi più azzeccata del binomio musica-dissenso di quei difficili ma ancora vitali anni 90. Dischi di successo, cartoline zapatiste, lotte, manifestazioni, viaggi in Palestina, problemi personali, tensioni e liti fino allo scioglimento, avvenuto ufficialmente nel 2004 anche se da almeno tre anni la band non era più da considerarsi tale. Finita ufficiosamente nel 2001, l’anno del G8, dell’11 settembre e dell’invasione dell’Afghanistan. Un anno scioccante, come scioccante è stata la fine dei 99 Posse per i suoi membri, andati avanti con progetti più o meno riusciti, lotte personali contro i propri fantasmi e un trionfale ritorno nel 2012 con l’ album Cattivi Guagliunii e Curre Curre Guagliò 2.0, che a distanza di 20 anni riproponeva i brani contenuti nel loro disco d’esordio completamente rivisitati e con la collaborazione di numerosi artisti ed amici.
Senza più Meg, che ha preso altre strade, un po’ spellati dalla vita ma comunque desiderosi di continuare il proprio viaggio di musica e libertà.
Un viaggio che con la pubblicazione del nuovo album Il Tempo. Le Parole. Il Suono. segna una nuova tappa del loro incredibile percorso.
Uscito il 22 aprile e preceduto dal singolo Combat Reggae feat Mama Marjas, puro reggae di rivolta from the vasci, Il Tempo. Le Parole. Il Suono. è la degna continuazione di Cattivi Guagliunii.
I 99, ormai uomini fatti e finiti, segnati dagli ineluttabili tormenti dallo scorrere del tempo, questa volta scelgono di mettere a nudo le proprie inquietudini personali, i pensieri e l’amarezza di una generazione che mai si è sentita vecchia ma che è comunque costretta a fare i conti con il passare degli anni. Partendo dall’occhio critico di un’interiorità in perenne mutazione scelgono quindi di raccontare la nostra società partendo da loro stessi, dalle proprie esperienze di vita, da quel crogiolo di mondi uguali e diversi chiamato esistenza. Canzoni come Tempi un poco strani, Dedicata, Qui sono una sorta di apologia all’impermanenza, alla comprensione ma anche all’amore, come se un monaco zen predicasse le proprie verità non in un monastero ma in un centro sociale. Ed è tutto giusto, tutto a bersaglio, puoi cambiare vestito alla verità ma la sua sostanza rimarrà immutata.
In questo nuovo grado di maturazione Zulu e compagni si aprono anche alla melodia, trasformando in lirismo l’impegno e la rabbia per le ingiustizie, come nella splendida Vocazione rivoluzionaria, dove ospitano il grande Enzo Avitabile.
Certo, non mancano gli episodi più classici e in linea con il vecchio modo dei 99 di raccontare il mondo (Combat Reggae, Tps, Tutto Sembra Splendere, Ve Lassammo cca) ma l’idea di fondo dell’album non cambia: quattro persone adulte che ne hanno viste e passate tante, e oggi scelgono di svelarsi attraverso melodie più aperte, e raccontano non solo il male sociale nuovamente e perennemente in libera uscita ma pure il proprio intimo, un po’ bruciacchiato dalla vita ma comunque ancora desideroso di tentare di migliorarsi migliorando il mondo.
D’altronde il significato tanto della nostra misera esistenza quanto di questo disco è ben sintetizzato nel titolo: siamo regolati dal tempo, la materia nasce dalla vibrazione di onde, cioè suono, e quel che ci differenzia da tutti gli altri esseri di questa follia chiamata mondo alla fine è solo il linguaggio, cioè la parola. E allora tutto fila, i 99 fanno ancora centro, sia che si vestano da Che Guevera o da Thích Nhất Hạnh, la loro essenza rimane immutata. Raccontano il nostro e il loro tempo con una musica intensa e delle parole cariche di significato. Sciapò.
BRANO MIGLIORE: Vocazione rivoluzionaria
VOTO: 7,5/10
TRACKLIST
1. Ve lassammo cca’ (feat. Valerio Jovine)
2. Combat reggae (feat. Mama Marjas)
3. Tps
4. Va bene
5. Vocazione rivoluzionaria (feat. Enzo Avitabile)
6. Nun è overo
7. Dedicata
8. Sento una musica (feat. Rocco Hunt)
9. Dentro ai tuoi occhi
10. Qui
11. La difficoltà (feat. Andrea D’Alessio)
12. Tempi un poco strani (feat. Lo Stato Sociale)
13. Prosperano i mostri (feat. Speaker Cenzou)
14. Mai uei
15. Tutto sembra splendere
16. 87 ore