Oggi Franco Califano, per tutti il Califfo, avrebbe compiuto 78 anni. Un personaggio unico nella scena musicale italiana, vero e proprio outsider nel senso letterale del termine.
Nato a Tripoli, dove suo padre era di servizio con l’esercito, rientra in Italia con lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Dopo alcuni anni trascorsi a a Nocera Inferiore la famiglia si trasferisce a Roma.
Franco perde il padre presto e, senza un’autorevole figura maschile alle spalle, è costretto a imparare le regole della vita all’Università della strada, fra gente di borgata, locali notturni e donne generose. Già, perché il Califfo è un gran bel ragazzo, che scrive poesie e sa vezzeggiare come si deve il gentil sesso. Ma i soldi mancano e la bella vita costa. A scrivere poesie non si è mai arricchito nessuno e allora il Califfo si butta sulle canzoni, che pagano sicuramente di più e più velocemente, almeno in quegli anni. E poi sfrutta il suo bel viso, apparendo come modello nei fotoromanzi che tanto fanno sognare le italiche casalinghe del periodo.
È un tipo veloce, sgamato e scapestrato Franco, uno che vive d’impulso, senza stare lì a pensarci troppo.
A diciannove anni è già sposato e poco dopo padre di una bambina, Silvia. Il matrimonio dura meno di un anno, non è il momento per la famiglia, c’è da mordere troppa vita.
Ben presto il suo nome inizia a girare nell’ambiente musicale, il suo immaginario poetico e trasgressivo colpisce tanti artisti a corto d’idee e in cerca di un autore ‘diverso’ per i loro testi. Franco scrive con facilità disarmante e in breve tempo arrivano i primi successi. Da E la chiamano estate scritta per Bruno Martino a La musica è finita che viene incisa da Ornella Vanoni.
Ma il Califfo le sue canzoni vuol provare anche a cantarsele, e allora si accasa alla CGD e nel 1972 pubblica il suo primo disco: ‘N bastardo venuto dar sud.
Eppure la corsa nell’olimpo della musica italiana rischia di durare meno di un fill di batteria.
La vita notturna del Califfo lo porta a stringere amicizie quantomeno discutibili. Voci? Forse. Fatto sta che il nostro in galera ci finisce veramente con l’accusa di possesso di stupefacenti. Verrà poi assolto con formula piena. E comunque il personaggio del cantore della malavita è servito.
Franco continua a cantare e a scrivere testi, macinando successi su successi. Minuetto, scritto insieme a Dario Baldan Bembo nel 1973 per Mia Martini, diventa il 45 giri più venduto dell’anno restando nelle classifiche italiane per 22 settimane. E non sto a snocciolare tutti gli artisti famosi per cui il nostro ha scritto canzoni.
Dopo essersi definitivamente consacrato come autore è il momento di affermarsi anche come cantante. L’anno è il 1976 e il disco Tutto il resto è noia. Oltre un milione di copie vendute.
La leggenda del Califfo nasce qui, con canzoni memorabili come la title track, Me ‘nnammoro de te e Bimba Mia. Il resto lo fanno gli show dal vivo del Califfo, il suo recitare inaspettati stralci poetici in romanesco fra un brano e l’altro, il raccontare con malinconica ironia le esperienza di vita sue e della sua gente. Qualcuno arriva addirittura a definirlo il Pasolini della canzone.
Nonostante non sia affatto politicizzato, nonostante le sue idee siano assai lontane dal cantautorato sinistrorso di quegli anni, il Califfo piace ai giovanissimi inquieti delle borgate, che lo riconoscono come uno di loro che ce l’ha fatta, ce l’ha fatta a modo suo. E poi piace alle donne. Tanto. Tantissimo.
Seguiranno anni di successi, film, fiaschi, nuovi e più pesanti guai giudiziari, amori tormentati, libri, reality televisivi, collaborazioni importanti e nuove ricadute. Di tutto e di più, sempre con quella totale coerenza all’incoerenza come trave portante per un uomo che ha sempre vissuto come gli pareva. Fino agli ultimi anni, segnati dalla malattia e dai problemi economici, fino all’epilogo con la morte avvenuta per arresto cardiaco nella sua villa di Acilla, il 30 marzo del 2013.
Califano ha vissuto così, sempre di corsa, senza paura, con la voglia di sbranare ogni brandello di vita come fosse l’ultimo.
Ancora me lo ricordo alla Fiera del Libro di Roma, credo fosse il 2005, o forse il 2006. Lui presentava uno dei suo libri e il caso volle che la sua presentazione era in scaletta subito dopo la mia. Nemmeno lo sapevo. Ero al primo libro, figuratevi l’emozione. Mi accorsi che stava succedendo qualcosa quando alzai gli occhi e me lo trovai davanti. Alto, imponente e scazzatissimo. Indossava qualcosa di simile a dei ciabattoni da mare, un paio di pantaloni di una tuta scuri e una maglia nera sbottonata sul davanti. Dal petto fuoriusciva un crocifisso grosso e un po’ pacchiano. Gli occhi nascosti da un paio di lenti avvolgenti azzurre.
“Bravo ragazzì, hai parlato bene, ora togliti dai cojoni che devo presentà sto libro” mi disse sorridendo.
Contraccambiai il sorriso e gli lasciai il posto. A vederlo erano tutti ragazzi giovanissimi. Boh, sarà stato il tema, mi pare che il libro parlasse delle sue tecniche per rimorchiare, o una cosa del genere.
Terminato l’incontro mi avvicinai per complimentarmi. Lui mi guardò di traverso e mi disse: “Ah ragazzì, tu a figa come te la cavi?”.
“Mi difendo, maestro”.
“Bravo” concluse, e si allontanò dirigendosi sorridente, e accompagnato da una sventola di un metro e ottanta, verso il fiume di persone in attesa di farsi firmare il libro.
Ecco, mi piace ricordarlo così al Califfo: uomo complicato, artista ruggente, poeta malinconico, personaggio esagerato, edonista della vita.
E tutto il resto? Beh, ovviamente è noia.