Per chi verso la fine degli anni ottanta o i primi anni novanta aveva quindici-sedici anni e la testa un po’ matta i Litfiba hanno rappresentato qualcosa di energico, diverso, forse all’inizio un po’ tamarro ma certamente imprescindibile per l’attraversamento del delicato passaggio dell’adolescenza. Voglio dire: Piero e Ghigo hanno tradotto in musica i primi inni rock di cui si capivano le parole. Già perché fino ad allora, a livello mainstream, il rock che arrivava in Italia era solo di matrice anglo-americana, non c’era internet e per capire cosa dicevano i nostri beniamini dovevamo comprarci i pochi libri che uscivano con le traduzioni dei testi oppure essere dannatamente bravi con l’inglese, cosa che ovviamente non eravamo. Lo so, sembra impossibile, ma parlo di appena venticinque, trent’anni anni fa.
Quando i Litfiba si affermarono definitivamente presso il grande pubblico con EL Diablo (quinto disco della loro produzione, uscito nel 1990) per tanti ragazzi incazzati che mal digerivano tanto la musica pop quanto quella impegnata dei cantautori, quel robusto suono che profumava di tex-mex rappresentò qualcosa di diverso e aprì la strada a tanti altri gruppi italiani che suonavano rock n’roll. Se i Litfiba non avessero sfondato difficilmente le discografiche avrebbero deciso di investire su band tipo Timoria, Negrita, Afterhours, giusto per citare le prime che mi vengono in mente.
Questo solo per chiarire quanto il rock italiano debba ai Litfiba. Ricordo che li vidi dal vivo nel 1997, durante il tour di Mondi Sommersi, un paio d’anni prima della dolorosa separazione che pose fine ai Litfiba che conoscevamo, quelli di Ghigo e Piero, the Keith and the Mick della curva fiesole.
Per dieci anni le strade dei due si sono separate. Ghigo ha portato avanti il brand Litfiba senza troppa fortuna, aiutandosi con cantanti bravi (come dimenticare il simpatico Cabo Cavallo?) ma non all’altezza del fenomenale frontman che li aveva preceduti.
Il toro loco ha invece dato vita a una discreta carriera solista (e poi anche televisiva) che, nonostante alcuni buoni lavori, non l’ha portato a bissare il successo ottenuto con la band d’origine.
Eppure questo periodo divisi è probabilmente servito ad entrambi per crescere e completarsi come uomini e come artisti. Piero, in particolare, ha proseguito un percorso di profonda consapevolezza che l’ha portato a sviluppare una forte componente sociale e una sensibilità particolare verso i cosìdetti ultimi, una predisposizione che già veniva fuori nei testi dei primi dischi dei Litfiba ma che poi si era un po’ persa. Ancora lo ricordo alla festa per gli ottant’anni di Don Gallo, mentre mi ripeteva come il prete rivoluzionario meritasse di essere Papa.
Finalmente, nel 2009, i due rocker fiorentini hanno capito che la vita è troppo breve e la loro storia troppo bella per farla rovinare da antichi veleni e sono tornati insieme. Ed oggi eccoli qui, a presentarci Eutopia, nuovo album di inediti dopo il precedente Grande Nazione (2011), fieri di quell’urlo che dal 1980, anno di formazione del primo nucleo dei Litfiba, non si è mai spento.
Certo, oggi Piero e Ghigo hanno una certa età, esattamente come noi non siamo più quelli che li ascoltavano quando ancora non si aveva la patente, ma è ugualmente vero che siamo invecchiati tutti bene grazie a del sano, robusto e centrato rock n’roll. Che è esattamente quello che ci regalano i Litfiba con questo nuovo album, un disco che va dritto al punto senza troppi fronzoli e orpelli, con la voce di Piero a sputare fuori rabbia e testi consapevoli e i riff di Ghigo a pompare sangue nelle vene di ogni refrain.
Canzoni come Dio Del Tuono, Intossicato, Santi di Periferia, Gorilla Go e In Nome di Dio sono rabbiose, energiche, tese nel tratteggiare passaggi che fanno muovere tanto il culo quanto il cervello. E anche quando il disco ci lascia tirare il fiato, lo fa con un certo stile: i pezzi mid tempo o le ballad, da Straniero alla title track hanno melodie avvolgenti e testi sempre all’altezza, così come l’intelligente Oltre.
L’Impossibile, primo singolo della raccolta, resta incollata in testa al primo ascolto e credo sia da far imparare a memoria a tutti quelli che, e sono tanti, si lamentano e ancora si lamentano dicendo che tutto è impossibile quando, in realtà, se andiamo a vedere di cose veramente fuori portata nella vita ce ne sono poche.
A onesto parere di chi scrive, poi, merita la lode Maria Coraggio, il pezzo migliore del disco. Perché? Perchè ha un gran arrangiamento, perché è sinistra ma orecchiabile, perché la fa salire e perché la storia che racconta, quella tristemente vera di Lea Garofalo, una collaboratrice di giustizia barbaramente uccisa dalla propria famiglia ndranghetana, merita di essere raccontata non solo nei tribunali ma anche nei dischi rock.
Insomma i Litfiba sono tornati e l’hanno fatto alla grande. Certo, Eutopia non è il loro miglior lavoro, ma neanche sfigura a confronto dei sontuosi album realizzati in passato e, dopo 35 anni di onorata carriera sulle spalle, non so cosa si possa chiedere di più al signor Pelù e al signor Renzulli. Quindi… Sciapò.
BRANO MIGLIORE: Maria Coraggio
VOTO: 7/10
TRACKLIST
Dio del tuono
L’impossibile
Maria Coraggio
Santi di periferia
Gorilla go
In nome di Dio
Straniero
Intossicato
Oltre
Eutòpia