Sta per chiudersi questo funesto anno bisestile e come al solito è tempo di bilanci, classifiche, graduatorie, top e flop dei 12 mesi appena trascorsi. Chi mi legge sa che, tolto Sanremo ( periodo in cui mi concedo una sbornia di cattiveria che mi basta per tutto l’anno) preferisco scrivere di quello che mi piace e ignorare quello che non mi piace. Quindi se volete stroncature, insulti o sordide verità scomode, andate da un altra parte. Premesso questo è innegabile che la musica italiana fatichi e non poco di questi tempi. E non tanto per la mancanza di talenti quanto per il modo con cui radio e case discografiche scelgono di annacquarli e stordirne l’intento principe. Che poi le discografiche non avrebbero interesse a farlo ma nel momento in cui le radio non passano un certo tipo di prodotto bollandolo come difficile, ecco che si adeguano.
Ma perché le radio passano prodotti tanto scadenti? Perché interpretano tonnellate di dati e da quei dati, freddamente, si evince che il prodotto usa e getta che non fa pensare e disimpegna è quello che la maggior parte della gente vuole, o crede di volere. Le radio stesse, ormai, a validi programmi di approfondimento preferiscono quelli di flusso, che vuol dire un conduttore che parla per un’ora a voce alta senza dire niente. Siamo all’appiattimento culturale più bieco.
Eppure un pubblico non così generalista ci sarebbe ma è troppo difficile e variegato per pensare di rintracciarlo e allora? Allora cuore e amore rimodernizzate per i sordidi anni dieci finché non crepi. Insomma è il solito gran casino. In realtà è un po’ più complicato di così ma il senso è questo. Vabbé dai, sto divagando. Torniamo agli Awards. In questo mare di difficoltà, qualcuno che ha tenuto botta ed è venuto fuori con qualcosa di interessante c’è stato, e mai come quest’anno ho ascoltato tanta buona musica italiana.
Ecco quindi la mia top 3, come chiesto da All Music Italia. Ho fatto una gran fatica perché dischi meritevoli ce n’erano molti, e certamente altrettanti me li sarò persi. Chiedo rispettosamente venia. Comunque… vi invito ad ascoltare il debut album dei Novamerica, che ha suoni bellissimi, l’ultimo degli Zen Circus, che non tradiscono mai, il primo dei Less Than a Cube , lo struggente Una Somma di Piccole Cose di un sontuoso Niccolò Fabi versione Bon Iver e, perché no, anche il tanto pubblicizzato Completamente Sold Out dei TheGiornalisti.
Comunque la mia top 3 è questa…
Cosmo – L’Ultima Festa. Già frontman dei torinesi Drink To Me, Marco Jacopo Bianchi in arte Cosmo realizza un album che è una meraviglia, puro cantautorato malinconico su basi elettroniche, emozioni che guizzano sotto pelle come onde di cartavetro.
Bugo – Nessuna Scala da Salire. Bugo è Bugo, o piace o lo si detesta. Personalmente voto per la 1, soprattutto dopo l’ascolto di questo viaggio un po’ scazzato fra rock lo-fi, echi agli anni ottanta e quel filo di elettronica che non guasta.
Raphael – Reggae Survival. Ormai consolidata voce del reggae italico consciousness, l’artista savonese realizza un disco maturo, consapevole e incisivo, che ci ricorda perché la musica che fece grande Bob Marley a volte riesce ad emozionare così tanto.
Miglior canzone italiana: Me la Godo di Bugo, un inno disperatamente felice per esorcizzare questi tempi cupi.
Concerto italiano dell’anno: Battiato e Alice, direi la data di Roma. Parliamo di un pezzo di storia dell’italian sound più raffinato e sperimentale di nuovo insieme dopo trent’anni: cosa volere di più?
Artista rivelazione dell’anno: i piemontesi Less Than a Cube, che hanno fatto un disco di rara bellezza ed energia, come non ne sentivo da parecchio.
Buone feste, guagliù.