Oggi sono qui a recensirvi il disco di Brunori Sas.
Non ho mai amato particolarmente i cantautori degli anni zero, solitamente poco ispirati e pieni di tormentati cliché, praticamente il lato radical chic del rap nazionale con più barba, risvolti ai pantaloni e meno figa a danzargli intorno. Se ci pensate lo stereotipo del cantautore di oggi è davvero poco originale, esattamente come quello degli mc del nuovo millennio. Ma per i primi c’è un aggravante non da poco: mentre alle vagonate di stronzate gansta degli italici rapper non crede ormai più nessuno, l’egocentrica sofferenza di maniera del songwriter dei giorni nostri viene ancora presa per autentica. Spero vivamente per i loro terapeuti che non lo sia.
Il cosentino Brunori ai miei occhi andava quindi a incasellarsi nella cesta dei tanti cantautori senza troppe idee che, tolte pochissime mosche bianche, ho sempre trovato piacevoli come una carie sul nervo scoperto di un incisivo. Del suo precedente lavoro, Vol.3 – Il cammino di Santiago in taxi, l’unica cosa che mi era piaciuta era stato il titolo. Per il resto avevo trovato il disco fiacco e poco ispirato.
Per tale motivo, quando il direttore di All Music Italia mi ha chiesto di recensirlo ho risposto con un no categorico e insindacabile, anche perché detesto stroncare dischi ed artisti, è un qualcosa che proprio non appartiene al mio immaginario. So il lavoro che c’è dietro, la passione e tutto quanto e quindi quando un album non mi piace preferisco non scriverne e passare ad altro. È una questione di rispetto per il lavoro degli altri. Ma viste le continue insistenze del direttore, che evidentemente pensa che le mie recensioni diano lustro a sa il c***o cosa, ho dovuto accettare; e già stavo smadonnando, come tutte le volte in cui mi tocca fare qualcosa che non voglio ma devo.
Così ho messo su il disco, mi sono fatto il segno della croce all’altezza dei gioielli e… … …
e in barba ai mie stupidi preconcetti mi sono trovato ad ascoltare un album davvero bello!
Sul serio, non so cosa abbia combinato Brunori in questi tre anni, forse al crocevia di una strada dissestata ha venduto l’anima a Belzebù come Robert Johnson, davvero non mi è dato saperlo ma il fatto insindacabile che resta ai posteri è che A casa tutto bene è un disco moderno di cantautorato classico come non ne ascoltavo da tempo immemore.
Partiamo dai suoni, che sono freschi e fighissimi, cosa assai rara in questo tipo di opere. Taketo Gohara oltre ad avere gli occhi di Ghemon è un produttore da paura che già ha fatto cose grandiose con Capossela; ebbene qui si sbizzarrisce fra stratificazioni di loop, riverberi, fiati rarefatti, archi sognanti e sintetizzatori liquidi. Parliamo di vere e proprie pennellate di etereo modernismo su basi forgiate nella tradizionale canzone popolare, ma è un modernismo usato con un certo garbo, senza dimenticare mai la misura, sempre al servizio della visione d’insieme. Una visione il cui scopo è amalgamare un suono che giustamente Brunori definisce tridimensionale, profondo, arioso, poco schiacciato.
A livello testuale l’artista calabrese è ispirato come non mai, lo si capisce già dalla discesa nei propri spigoli dell’open track, La Verità, un pezzo in cui possiamo riconoscersi un po’ tutti senza troppa fatica, o nell’esorcismo ottimista di Contro la Paura, senza dimenticare l’onestà di raccontare un amore non banale di Colpo di Pistola. Ma Brunori dimostra di saperci stare dentro anche quando descrive la società in cui si muove e le contraddizioni che la abitano, dal razzismo di L’Uomo Nero, alla solita codardia popolare (Don Abbondio), dalle contraddizioni stereotipate (Secondo Me) all’apparente mancanza di baricentro che costringe la nostra generazione liquida a pensarci sostanza intangibile in viaggio verso l’animismo (La Vita Liquida) .
Fra momenti più introspettivi che vagamente ricordano il Riccardo Sinigaglia più ispirato, ma poi capaci di aprirsi a ritornelli accattivanti senza essere per forza ruffiani (Lamezia Milano e la bellissima Sabato Bestiale), o taglienti filastrocche di Deandreiana memoria (Il Costume del Torero) il disco scivola via senza perdere mai forza e ispirazione, tracciando una mappa dei nostri tempi e dell’immaginario dell’autore profondo ed efficace.
Tutto di pregevole fattura, ma tanto. Che altro aggiungere? Non mi resta che scusarmi con Brunori per averlo liquidato troppo in fretta e ringraziarlo per aver ridato dignità e forma a quel genere troppo spesso maltrattato che viene genericamente definito cantautorato.
BRANO MIGLIORE: Sabato Bestiale
VOTO: 7,5/10
TRACKLIST
1. La Verità
2. L’Uomo nero
3. Canzone contro la paura
4. Lamezia Milano
5. Colpo di pistola
6. La Vita liquida
7. Diego e io
8. Sabato bestiale
9. Don Abbondio
10. Il Costume da Torero
11. Secondo me
12. La Vita pensata