Il nome di Franco Zanetti non dirà molto a chi non frequenta a doppia mandata gli ambienti musicali, ma per chi vi scrive e per tutti coloro che sono addentro al mestiere, dagli addetti ai lavori, ai discografici, dagli artisti ai giornalisti di settore, si tratta di una delle presenze più longeve dell’ambiente, un signore che ha legato a doppia mandata la sua vita alla musica e che da quando praticamente esiste internet in Italia, è editore di quello che è il sito più letto del mondo delle sette note.
Già questo sarebbe sufficiente a spiegare a chi mi legge quanto sia contento di poterlo intervistare per voi tanto da godermi questo tempo assieme non come un dovere ma come un’amabile chiacchierata che farei volentieri al bar, davanti ad un buon caffè napoletano…e non me ne vogliano altri ma come è buono nella mia Napoli…
Il pretesto per questa chiacchierata è la nuova e quinta edizione di Genova Per Noi, concorso musicale che per una volta non è dedito alla ricerca di nuove ugole che poi non sanno cosa dire, ma di chi scriva per loro, di chi ricopra quel meraviglioso ruolo che fino agli anni 80 era qualcosa di cui in Italia si poteva andar fieri e che poi è andato sfiorendo fino ai giorni nostri dove tutti, anche chi non propriamente in grado, se la scrive e sa la canta, con risultati opinabili.
L’idea è così geniale ed ha già portato primi frutti importanti che non posso che partire dal chiedergli come gli sia venuta in mente..
Oggi e non da poco come mestiere faccio il giornalista, ma prima mi sono occupato anche di discografia, lavorando per Cgd ed Emi; Più o meno dall’inizio del nuovo millennio hanno iniziato ad invitarmi a fare da giurato in vari concorsi canori e li ho avuto modo di rendermi conto che tali concorsi facevano davvero schifo per vari motivi. Chi organizza tali eventi è in genere interessato prettamente alla sovvenzione concessa per la realizzazione e quale sia il risultato, cosa propone, quali cantanti vengono selezionati è per lui contorno, non gliene importa. E poi gli aspiranti cantanti sono una categoria spregevole, che dall’alto dell’esperienza dei propri vent’anni, crede di sapere tutto e non aver bisogno di consigli.
Te ne sei tirato fuori subito quindi?
No, qualche ragazzo che trovavo più interessante ho provato a seguirlo gratuitamente, ma finiva che eran loro a volere dire a me cosa dovevano fare e capirai che chi non ha voglia di imparare non fa molta strada.
Sembra qualcosa a cui abbiamo assistito in queste settimane in tv…
Se ti riferisci ad Amici hai proprio l’esempio nitido di ciò che ti dicevo. Tre ragazzi che rispondono ad un artista, che sta li ad aiutarli, che una canzone non è nelle loro corde, vuol dire che non hanno capito davvero nulla.
Ma torniamo all’idea di Genova Per Noi. Non avrai dimenticato la domanda?
Certo che no, ci arrivo. Dopo qualche anno, nel 2009 esattamente, mi sono inventato un programma dal titolo Radar supportato da Radio Italia in cui io e Massimo Cotto, noto giornalista anche lui, giravamo l’Italia alla ricerca di giovani firme. Ne abbiam trovati una ventina che ci piacevano e li abbiamo portati per due settimane, in due alberghi diversi ad Asti e Assisi, e con loro li abbiamo organizzato dei laboratori in cui non solo potevano confrontarsi tra loro, ma anche con artisti importanti che sono passati a trovarci. Il tutto senza lucrare, ci tengo a dirlo, era tutto gratis per loro. E’ stata un’esperienza esaltante che purtroppo non abbiam potuto ripetere per mancanza fondi l’anno successivo.
Mi sembra di capire che però quell’idea non avevi proprio intenzione di accantonarla?
Già. Anche perché erano nate in quelle due settimane alcune ottime canzoni a mio parere. Così quando nel 2011 Giampiero Aloiso mi ha contattato per spiegarmi che voleva realizzare qualcosa di artistico con il Comune di Genova e glielo aveva proposto, subito mi è venuta l’idea di riprendere Radar, modificando ovviamente alcune cose. A lui la cosa piacque molto e così è partito Genova Per Noi.
In quanti aderirono alla prima edizione e quanti oggi, dopo l’affermazione di alcuni autori nel mondo pop, provano a partecipare?
Oggi riceviamo finanche 500 domande di partecipazione mentre i selezionati della prima edizione furono solo 11 e comprendevano anche la categoria rap che poi abbiamo eliminato.
E come mai?
Perché effettivamente un rapper scrive per se stesso soltanto ed ha uno slang suo, personale, che non puoi correggere senza snaturarlo. E poi sono un po’ esuli dal concetto dei nostri laboratori, perché noi cerchiamo autori, quelli che vogliono rimanere dietro le quinte, scrivere per conto terzi. E’ prerogativa base. Oggi siamo così pieni d’interpreti con tutti questi talent, ma gli autori son sempre quei tre o quattro e che spesso non scrivono neppure per chi poi effettivamente finisce col cantare il loro brano. Loro scrivono, poi chi arriva prima, che sia Annalisa, Emma o Alessandra Amoroso per loro non è che faccia molta differenza.
Invece quanto è importante che un autore sappia per chi compone?
E’ fondamentale! Non avremmo avuto Mina, Loredana Bertè, Mia Martini, Marcella, Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia e tante altre se ognuna di loro avesse accettato qualsiasi cosa. Ogni interprete ha una sua cifra ed ha bisogno che l’autore la fotografi e sappia scrivere per lei. Noi vogliamo tornare a quello.
Come funziona la selezione?
Non voglio risultare noioso ma ribadisco che è tutto gratis. Chiediamo 2 canzoni per ogni iscritto, le ascoltiamo e selezioniamo circa una trentina che invitiamo a colloquio a Milano. Si tratta proprio di un colloquio non di un provino. Li chiacchieriamo una mezz’oretta cadauno per capire se il candidato ha spirito di aggregazione e voglia di misurarsi e lavorare con altri autori o se è chiuso e soprattutto se la sua vocazione è solo di scrittura, come cerchiamo, o se le velleità personali lo portano altrove. Non è sbagliato voler avere successo come cantautore ma non è ciò che cerchiamo noi.
Riesci ad intuire dal tipo di scrittura ad esempio a quale interprete potrebbero essere indirizzate le canzoni di questo o quell’autore?
In genere no perché la prima cosa è inculcare ai ragazzi che non stan scrivendo per loro. Se lasci fare ad un autore da solo, ti trovi una serie di cose simili, uguali, proprio perché scritte con la propria visione. Noi si cerca chi invece riesce ad avere la stessa forza espressiva sia con brani ritmati e scanzonati che in ballate strappabudella.
Da che parte stai nella polemica tra gli autori e le radio, sui famosi brani che non devono durare più di 3 minuti e venti?
In realtà io credo che le regole siano utili, anche perché queste son variate nel tempo. Negli anni 90 ad esempio le canzoni erano lunghissime. Ma non è che avendo più tempo puoi dire più cose e render migliore la canzone. Negli anni 60 le canzoni di maggior successo raramente superavano i 3 minuti eppure in quel tempo dicevano tutto ciò che dovevano per restare impresse. Spesso dico ai giovani autori che non devono pensare ad una canzone come ad un film, ma come ad una singola scena. E’ l’insieme delle scene che fa il film, che nel caso musicale è un album, ma per una canzone singola devi fotografare il momento, descriverlo e renderlo subito chiaro a chi ti ascolta. Non c’è bisogno di lungaggini.
E chi non ha il dono della sintesi?
Sceglie altri canali promozionali e non le radio mainstream? Non sei obbligato mica? Fai la tua canzone da otto minuti ed accetti che sia passata dalle piccole radio locali, che hanno ancora il dj che sceglie cosa passare in base al proprio gusto. C’è posto per tutti, basta sapere cosa vuoi fare.
Pensi che Genova Per Noi possa trovare in futuro spazio anche in tv?
In realtà ci ho già provato. Dalla terza edizione, quando è arrivato anche il supporto della Siae, ho girato per tutte le case di produzione di Talent, chiedendo se fosse interessante per loro un gemellaggio tra i nostri autori ed i loro interpreti.
In che modo e come è andata a finire?
L’idea era accoppiare un autore o più ad un cantante in gara, che durante il percorso poteva, standogli vicino, cogliere sfumature e carattere per scrivere appositamente per lui/lei. Ma la cosa non è andata a finire in alcun modo ed esattamente non so il perché. Forse nel loro sistema gestire anche la presenza di autori diventava più complicato? Forse sono ammanigliati con vari discorsi editoriali per cui devono lavorare con autori stabiliti? A saperlo…
E di fare invece proprio un programma sui vostri laboratori?
Non lo credo possibile. Gli autori han bisogno di tranquillità e tempo non di esposizioni e situazioni che possono generare polemica. Non ci vedrei il pubblico a tifare un ragazzo che sta da due giorni bloccato su una frase che metricamente non riesce a limare!
In questi primi anni vi siete tolti già qualche soddisfazione, buttando nel calderone autori mica male?
Emanuele Dabbono è stato una grande soddisfazione. E’ arrivato proponendosi come un italico Bruce Springsteen ed invece ha trovato una dimensione autorale che poi si è affinata con la benedizione di Tiziano Ferro con cui ha scritto davvero dei bei pezzi. Federica Abbate è invece il mio personale vanto perché la sua domanda d’iscrizione arrivò fuori tempo massimo. Fui io che l’ascoltai ad insistere perché venisse integrata ed oggi, dopo il brillante cammino che ha fatto, l’orgoglio si è esteso a tutti noi.
Franco su cosa non transigi dal punto di vista autorale?
Sulla metrica! Bisogna scrivere testi rispettando la metrica. Molti non sanno nemmeno cosa sia e quando glielo dici, ti rispondono che poi tanto si può tagliare o allungare interpretando! No, cazzo! L’interpretazione devi lasciarla a chi la farà; tu consegna un testo in metrica e poi se ne riparla.
Dirigi il sito web musicale più letto d’Italia, che ha più di vent’anni e praticamente… esiste da quando è nato internet. Ma come ti venne l’idea?
Va detto subito che l’idea non è mia. Rockol fu messo in piedi da un collaboratore della rivista per cui scrivevo, che aveva una famiglia molto radicata nell’ambiente dell’informatica e per lui la rete già non aveva segreti. Mise su questa sorta di fanzine che parlava esclusivamente di rock e che dopo un annetto cominciò a dare i suoi frutti. A quel punto, anche per altri impegni, ebbe bisogno di una sorta di caporedattore, uno che teneva a bada i vari collaboratori che vi scrivevano e me lo propose. Dopo qualche tempo e cambiando pian piano veste, finendo a raccontare tutta la musica, lui andò via e rimasi io.
Con quale prerogativa hai scelto i collaboratori di Rockol negli anni?
Per prima cosa la passione. Chi lavora a Rockol deve considerare la musica qualcosa di basilare nella sua vita. Non mi è difficile bocciare le candidature perché quelli che si presentano sono per lo più persone che vogliono scrivere le recensioni e soprattutto di dischi e generi che piacciono a loro. Se li sposti un attimino fuori non si ritengono in grado. Ecco a tutti quelli io rispondo: “Grazie è stato un piacere”. A Rockol si lavora in turni e bisogna esser tempestivi e riportare tutte le notizie che arrivano. Non posso pensare che un mio collaboratore che ama l’heavy metal è di turno una mattina che arriva in redazione una notizia su Sanremo e lui non la riporta perché gli fa schifo o non è il suo genere. Non funziona così.
Quando ti sei reso conto che con Rockol stavi facendo un buon lavoro?
Quando tutti i quotidiani più importanti hanno iniziato a creare, spesso copiandoci, delle loro versioni web dedicate alla musica. E’ chiaro che hai una soddisfazione dovuta anche al fatto che loro hanno mezzi, redazioni importanti e storia, mentre tu fai un lavoro ottimale in poche unità.
Oggi chi è il nemico di un sito come Rockol?
Più che i grandi quotidiani web ti risponderei i privati. Purtroppo oggi chiunque può mettere su un blog, una pagina web o semplicemente una pagina social e digitare notizie subito, anche senza verificarle, bruciandoti sul tempo, facilitato anche dal fatto che è interessato più al concetto di ciò che vuole raccontare che alla forma. Per me ad esempio è indispensabile invece che non ci siano strafalcioni grammaticali, che la sintassi sia corretta. Che cavolo è il minimo, quindi meglio una lettura in più che uscire con errori grossolani e questo ovviamente paga un po’ in termini di tempo.
Fegiz, il gotha della critica musicale, dice che oggi la critica musicale non ha più senso. Sei d’accordo?
Assolutamente si, almeno quella alla vecchia maniera. Una volta la gente per la musica spendeva dei soldi e quindi un giudizio critico negativo non dico che bloccava la spesa, ma se eri incerto con un altro disco che invece un critico aveva promosso, ecco che magari indirizzavi la spesa verso quello. Oggi la critica ha senso solo se si specifica che è la propria visione, il proprio gusto, per quanto autorevole, ma personale. Una sorta di: “io la penso così”.
Franco cosa vorresti che si sapesse che non ti ho chiesto in questa lunga chiacchierata?
Bella domanda ( ride di gusto – ndr ). Zanetti chiede: “ma perché nessuno mi offre altri lavori che così guadagno qualche cosa di più? Tutti pensano che guadagni palate di soldi ma non è così, quindi se avete bisogno di me, proponetevi.”