L’Eurovision Song Contest 2017 si è chiuso sabato sera con la vittoria schiacciante del portoghese Salvador Sobral, che con la sua Amar Pelos Dois, ha portato il trofeo nella sua nazione per la prima volta dopo 50 partecipazioni al concorso musicale più seguito d’Europa. Francesco Gabbani, rappresentante italiano partito come favorito secondo gli scommettitori, non ha saputo conquistare abbastanza consensi fra i televotanti di tutta Europa e le 42 giurie nazionali chiudendo comunque in un’onorevolissima sesta posizione.
Riconoscendo a prescindere il grandissimo impegno e la dedizione che Francesco e il suo team hanno messo durante questi tre mesi fino a giungere sul palco di Kiev, è d’obbligo una breve riflessione su quali fattori abbiano portato a una sconfitta così inattesa e bruciante dell’Italia dopo aver rappresentato il ruolo di favoriti d’obbligo per quasi tre mesi.
Innanzitutto partiamo dicendo che la scelta di Gabbani come rappresentante è stata effettuata a metà febbraio dopo la sua vittoria al 67° Festival di Sanremo, decisamente presto in quella che è stata un’annata di selezioni nazionali alquanto atipica con molti dei paesi favoriti che hanno ritardato al massimo la presentazione. Per forza di cose la canzone italiana, che aveva subito colpito per la sua musicalità e la coreografia in cui il cantante era accompagnato dalla “scimmia” (ovvero il coreografo Filippo Ranaldi) era diventata subito la favorita numero uno, status confermato ancor di più – se possibile – dalle scelte degli altri paesi, specialmente quando i “grossi calibri” (Svezia, Australia) sono sembrati deludere le aspettative e la Russia si è chiamata fuori dai giochi.
L’hype è proseguito anche dopo l’inizio delle prove, con la quota di Francesco giunta ormai a 1.5 in una zona quasi senza precedenti nella storia dell’Eurovision, dove già il vincitore più netto della storia (Alexander Rybak nel 2009) aveva dovuto aspettare fino all’ultima settimana per scendere a 1.95. La mancanza di un avversario certo aveva decisamente scoraggiato gli scommettitori dal puntare sugli avversari dell’Italia e malgrado non tutti fossero convinti pienamente della performance di Gabbani, ci sono volute le due semifinali per fare tornare in auge il portoghese Salvador Sobral (accreditato a malapena di un posto nei 5 prima di quel momento) e il bulgaro Kristian Kostov. Il non poter esibirsi nelle semifinali se non per un breve video da un minuto non ha certamente aggiunto niente alle chance dell’Italia, che ha pagato anche una performance ancora non perfettamente a punto mentre sia Sobral che Kostov inanellavano ottime reviews e strappavano sempre più consensi all’interno del Press Centre.
Ha pagato molto il fatto che la canzone abbia riscosso un grande successo all’interno della “bolla” dei fan eurovisivi, che come molti stentano a ricordare non corrisponde assolutamente con il pubblico dell’Eurovision che poi segue il programma e vota le canzoni. Passavano le prove, qualcuno provava a mettere in dubbio ciò che la sala stampa vedeva sullo schermo (per vari motivi che poi andrò ad elencare) ma gran parte dei giornalisti e fan accreditati – due categorie che all’ESC spesso coincidono – rimanevano convinti che la performance fosse perfetta e la vittoria dell’Italia un risultato ormai inevitabile. Neppure il lieve calo nelle scommesse, acuitosi dopo la jury rehearsal della finale fino al sorpasso di Portogallo e Bulgaria, sembrava preoccupare la delegazione italiana e i sostenitori di Occidentali’s Karma.
Eppure, per quanto adesso sembri di fare la revisione della storia a posteriori, i segni della sconfitta imminente c’erano tutti fin dalle prove di domenica. Della performance di Sanremo c’era ancora tanto – lo sfondo, la scimmia, la coreografia – ma il passaggio al palco di Kiev sembrava aver sminuito le chance della canzone a partire dal taglio effettuato già a marzo per rientrare nel limite massimo di tre minuti imposto dall’EBU. La “scimmia” aveva poi perso molto dell’impatto che a Sanremo l’avevano resa memorabile ed iconica, e sembrava già quasi ridotta a quel gimmick che poi il pubblico di tutta Europa ha recepito come tale durante la serata di sabato – perdendo un po’ (anche per colpa del divario linguistico proveniente dal dover cantare in italiano un brano dal testo molto difficile e concettuale) la sua efficacia dal punto di vista comunicativo. Il colmo, però, si è raggiunto con il balletto eseguito da performer e coristi, che ancora nella prima rehearsal ufficiale non riusciva alla perfezione – un grosso limite considerato il fatto che negli ultimi anni la pulizia delle performance ha creato grandi vittorie come quelle di Conchita e Måns Zelmerlöw, e che alcuni degli avversari principali sono arrivati a Kiev con un’esibizione già perfettamente costruita e non hanno mai avuto una sbavatura in due settimane di prove. In generale, l’impressione avuta almeno dal sottoscritto è stata quella di una certa superficialità da parte della delegazione, che almeno in parte è giunta a Kiev convinta di avere mezza vittoria in tasca e incapace di fare abbastanza per guadagnarsi l’altra mezza.
Nessuno vuole tirare la croce addosso a Francesco Gabbani, che da artista navigato e animale da palcoscenico qual è ha svolto il suo compito impegnandosi al massimo e superando sempre col sorriso sulle labbra e una risposta buona per tutti durante infiniti turni di interviste, conferenze stampa, promozioni e servizi fotografici. Se l’esibizione italiana è arrivata in una dignitosissima sesta posizione, gran parte di ciò è merito suo e della sua capacità di tenere il palco e supplire alle mancanze che in qualche modo si sono venute a creare. Allo stesso tempo bisogna dire che presentarsi all’Eurovision con un favorito così netto ed uscirne fuori dai primi cinque non era mai successo in precedenza, e andando oltre queste mie personalissime considerazioni è necessario che la nostra delegazione faccia una seria riflessione su come questo sia potuto succedere – al di là del fatto che al netto della considerazione non eccelsa tributataci dalle giurie, anche il pubblico che aveva sostenuto Gabbani nei mesi a venire (ricordiamo le oltre 100 milioni di visualizzazioni del video di Occidentali’s Karma) ha piazzato l’Italia in sesta posizione complessiva.
A mio parere è necessario continuare sulla strada intrapresa in questi anni che comunque ci ha dato grandi risultati (dal 2011 ad oggi siamo il paese delle Big 5 che ha riscosso più successo, con 5 piazzamenti su 7 nei primi 10) ma cercando allo stesso tempo di chiudere il gap che ci separa dai più “forti” a livello di performance, l’aspetto che ci è costato carissimo sia nel 2015 con Il Volo che quest’anno con Francesco Gabbani. Al netto dei favoritismi fra paesi che tanto piace denunciare ai leoni da tastiera su Twitter, se si allineano tutte le buone stelle non c’è “biscotto” che tenga per evitare una possibile vittoria dell’Italia, tanto più considerato il nostro enorme potenziale a livello discografico (mentre diversi grossi calibri, vedasi UK/Germania, son costretti a portare emeriti sconosciuti perchè le grosse leve non si prestano al gioco). Una nazione come il Portogallo ha saputo partire da zero e uscire da trionfatrice grazie alla perfetta costruzione di un trionfo che si è concretizzata solo nell’ultima settimana prima dell’ESC: non ci sono motivi per cui nel 2018, se riusciamo a scrollarci di dosso questa tendenza a voler fare le cose “all’italiana“, non possa toccare a noi.