Torna la nostra rubrica Nonsolomusicaitaliana. Ogni tanto il nostro sito fa uno strappo alla regola alla sua natura “Made in Italy” per eventi internazionali di una certa rilevanza, e può l’uscita di un nuovo disco di Justin Timberlake non esserlo? Ecco per questo la recensione del suo nuovo album, Man of the Woods.
La prima domanda che mi sono posto dopo l’ascolto del disco è… questo album è fatto per piacere di più o per compiacersi?
Sembra abbastanza evidente che con questo nuovo lavoro, uno dei principi dell’ urban/pop, Justin Timberlake, si sia completamente e forse definitivamente staccato dal concetto di mainstream, finendo unicamente con l’incidere ciò che gli piace; e certo, con una carriera come la sua, che ormai non ha più segreto alcuno nemmeno al cinema o alla conduzione di eventi e spettacoli, la musica può essere effettivamente solo un’attività ludica, in cui l’artista gestisce i suoi tempi senza interessarsi granché della concorrenza che frattempo scala posizioni di prestigio attentando al suo status “principesco”, o per l’appunto, incidendo cose che possano risultare facili per radio e tv.
I suoi brani non a caso sono spesso lunghissimi ( solo 3 su 16 inferiori ai 4 minuti ) ed esplorano stili che vanno dal vintage all’elettronica di sperimentazione, dal Michael Jackson degli anni 70 e primi 80, ad apici spaziali che quanto meno hanno bisogno di un po’ di tempo per esser metabolizzati dai più. Ne sono esempio proprio le prime due tracce del disco, il singolo Filthy, che poggia su un’elettronica d’avanguardia, poco badando a melodia e cantabilità, ma stupendo per suoni ed effetti, seguito poi da Midnight Summer Jam in cui invece sembra di risentire colui che del pop fu il re ed a cui Justin non ha mai negato di ispirarsi fortemente; due facce quindi di una medaglia molto differente.
Ma Man Of The Woods, questo il titolo dell’atteso ritorno discografico, propone un ventaglio musicale ampio e quasi schizofrenico passando dalla title track con un sentore di ballata dal sapore per certi versi country, almeno nell’arrangiamento musicale scelto ai sapori Motown nella bellissima Higher Higher immaginabilissima in duetto con una voce sensuale alla Alicia Keys; questi sapori ritornano anche in Morning Light. Ma si diceva che Justin fa in questo Man Of The Woods ciò che vuole no? Ed allora per averne conferma provate ad ascoltare Wave, fuori da qualsiasi catalogabilità oppure la scelta di arrangiamento vocale di Supplies, su base r’n’b standard, dove la voce non sembra nemmeno la sua.
Basso 80’s in Montana e chitarre guida in Breeze Off The Pond che profuma di George Benson. E per chi ama il Justin solito? Beh allora non mancherà di ritrovarlo in Say Something.
Ed il critico andò in difficoltà! Perché non è facile dire se Man Of The Woods sia un gran disco o solo un’opera compiacente dell’ego del suo propositore. Certo è che è lavoro che non stanca, diversissimo lungo le sedici tracce che lo compongono e questo è indubbiamente un pregio, però certo è pure che fai fatica a riconoscere i punti cardinali, ad orientarti, ad avere saldo il terreno sotto ai piedi. Da una parte si sviluppa una curiosità immensa, quasi morbosa, di capire dove vada a parare il nostro, ma dall’altra la schizofrenia del progetto ti mette un po’ di nervoso, al contempo ti spazientisce.
Eppure sono sicuro che con più ascolti Justin Timberlake mi tornerà familiare anche in questa nuova veste, per cui mi riservo sul voto, lasciandolo inespresso.
BRANI MIGLIORI: Higher Higher / Filthy /Morning Light / Breeze Off The Pond
Senza Voto
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