12 Febbraio 2023
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12 Febbraio 2023

Sanremo 2023. Premio Testo&ConTesto. I testi migliori (e i peggiori) del Festival di Sanremo 2023

Il nostro Prof di latino, Davide Misiano, come ogni anno analizza e premia per noi i testi del Festival.

Sanremo 2023 testi
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SANREMO 2023: PREMIO “TESTO” (PER IL MIGLIOR TESTO)

III POSTO: COLAPESCE, DI MARTINO SPLASH

Geniale a partire dal titolo: l’onomatopea delle onomatopee per incarnare il rumore della frenesie in cui ci tuffiamo “per non sentire il peso delle aspettative”.

Un tuffo in solitudine (Vado via senza te), che rivela una scelta conturbante per chi ascolta.

Così, la poesia iniziale dei “campi sconfinati che si arrendono alla sera” e del “vento che arpeggia una ringhiera” si tramuta nell’aridità di un suono pregrammaticale, punto di arrivo di una serie di immagini impoetiche che denunciano il bisogno di evitare la vita e i suoi fugaci entusiasmi per non soccombere: preferire la città al mare, la frenesia delle metro affollate alla natura, il lavoro alla persona amata.

Io lavoro per non stare con te: l’anti-scelta, la scelta moralmente ingiusta, diventa l’unica scelta possibile. In effetti, facciamo proprio così: ci ingolfiamo le giornate di cose, anche per paura di sperimentare il fallimento dei nostri desideri e dei nostri sentimenti.

Colapesce e Dimartino ci turbano adattando il linguaggio poetico a un mondo impoetico, ma vogliono solo cantare l’arido vero, un modus vivendi o meglio supravivendi. Eppure, per effetto di straniamento, sentiamo che, per gli autori e anche per noi, forse sarebbe giusto fare il contrario.

II POSTO: LEVANTE, VIVO

Levante ci ha abituato a testi frammentati, fatti di associazioni analogiche fulminanti, in cui il legame tra le parti è garantito da bisticci di parole, ripetizioni e variazioni lessicali giocate a rimbalzo, come formule magiche.

In questo brano ci sono le caratteristiche peculiari della sua penna, ma c’è un discorso più compatto, che, pur muovendo da un’ispirazione biografica (l’esperienza della depressione post partum), di fatto esplora le polarità di un buio che appartiene a tutti.

Il dissidio interiore è rappresentato con opposizioni petrarchesche (O sorrido o piango / Vivo il bene, vivo il male / O respiro o affanno): non sono alternative, sono stati compresenti nella coscienza, sono dicotomie dell’umore e del pensiero, stati psichici diametralmente opposti che sconfinano l’uno nell’altro.

Poi c’è una climax, che porta all’affermazione orgogliosa del diritto di vivere tutto di sé (Ho voglia di prendermi tutto il possibile / Non voglio perdermi niente di me / Ho voglia di credere “nulla è impossibile”); infine la liberazione, che si è acquisita dopo aver esplorato il buio.

Una salita sì, ma una salita che parte dalla terra, dal buio che viviamo, dai bisogni più istintuali e primitivi, dalle dicotomie insanabili di noi, dal corpo che troppo spesso non ascoltiamo (La gioia del mio corpo è un atto magico).

E la musica accompagna la salita, asseconda il parossismo con un movimento tribale e antico: quasi una danza ancestrale di liberazione e rinascita.

I POSTO: COMA_COSE, L’ADDIO

Sono stato in bilico sull’assegnazione di questo primo posto, ma alla fine ho scelto il testo per me più emozionante. Perché L’addio dei Coma_Cose non è un testo che si evidenzia per costruzione retorica o per un tema di alto respiro, eppure è un testo potente e genuino.

È la canzone di una fine temuta, ma scampata: racconta un pericolo corso, quello di perdersi, affacciatosi nel disordine della quotidianità e combattuto in nome di quella necessità di appartenersi che in amore è più forte di ogni cosa.

E sparirò ma tu promettimi
che potrò sempre ritornare da te
se mi dimentico me, com’ero.

L’amore funziona se ci si appartiene necessariamente, non solo se si ha intesa o se si è fedeli. E quando ci si appartiene, ci si appartiene e basta.

Mentre i due cantano il testo, con l’approssimazione stilistica e vocale che li caratterizza, noi siamo dentro alla storia, che è anche la storia della nostra personale resistenza in difesa dell’amore.

Abbiamo la percezione di fare terapia di coppia con loro. Vediamo le loro stanze, i loro camerini, le loro foto e ci sembrano i nostri. E ci sentiamo in dovere di fare un bilancio, di giudicare il coraggio che abbiamo avuto ogni volta che abbiamo salvato il nostro amore o la vigliaccheria con cui lo abbiamo lasciato andare.

C’è un equilibrio straordinario che governa le frasi, le immagini, le parole: nulla di troppo. E ci crediamo fino in fondo.

Ci crediamo ancora di più quando sentiamo intonare una delle associazioni analogiche più belle di questa edizione:

Davanti al mio cuore c’è una ringhiera
sul tuo che è sempre stato uno strapiombo.

La necessità di appartenersi ad ogni costo.

 

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