Premetto che non sono un eroe. Non sono certo un esempio di uomo da imitare. La mia vita è costellata di errori. Spesso errori pesanti e scellerati.
Ecco perché non ho voluto farne un altro.
A fine dicembre del 2015 mi viene assegnato un premio importantissimo. Patrimonio dell’Unesco. Il Premio Simon Bolivar per la Cultura, le Arti, la Letteratura, le Scienze e le Innovazioni. La manifestazione si svolge in Venezuela.
Lo accetto felice. E’ come un mini premio Nobel dell’America Latina.
Dicevo… lo accetto e me lo prendo. I giornali ne parlano. Evviva tutto a posto. Fine.
E invece no. Qualcosa, tanto per non cambiare mai quel carattere di merda che ho, mi tormenta l’anima. La giuria di giornalisti e una giuria chavista di ferro. Sostiene l’attuale presidente del Venezuela Maduro. Ed inizia uno scambio di messaggi tra me ed il presidente della giuria. Gli dico che a mio parere in quel paese c’è una malcelata dittatura comunista. Che mi giungono echi di cose brutte che stanno accadendo da quelle parti. Che si, sono di sinistra, anzi sono oramai un anarchico sui generis (a modo mio) ma che non tollero le dittature. Me ne sbatto se nere o rosse. Non le tollero.
Il presidente di giuria (tutto avviene in lingua spagnola) mi copre di insulti. Magnifica il regime e più o meno mi dice che o sei con me o contro di me. Non replico. E ci penso per mesi e mesi.
Oramai il premio l’ho preso…mi dico. Amen. Ma continuo a leggere notizie di disumani trattamenti degli esseri umani in Venezuela. Fame. Gente disperata. Oppositori al regime incarcerati. Spari, morti ammazzati. File di ore per comprare a una sbaraccata di soldi della carta igienica. Insomma un popolo umiliato e una situazione al collasso.
In Venezuela ci sono stato. Ho visto coi miei occhi l’inizio di questo sfacelo. Ero là per lavoro. Due concerti a Caracas e uno nel caldo insopportabile di Maracaibo. La collaborazione con un grande artista venezuelano, Franco De Vita. Un concerto con lui al Festival latino Americando di Milano. Dove sventolo sul palco la bandiera venezuelana. Quella senza il simbolo aggiunto dall’ex presidente defunto Chavez. Ora e qua confesso che lo feci apposta. E creo un immenso casino diplomatico. Il pubblico applaude. Invece il console venezuelano si incazza nero.
Tornando al premio. Dopo gli ennesimi video di violente repressioni che vedo nel tubo provenire dal Venezuela. Dopo altre notizie allucinanti che leggo sui disastri che il regime sta creando. Mi viene in mente che la motivazione del premio è per il mio impegno sociale e la mia arte. E impegno sociale è, anche, combattere, ma combattere davvero, contro ogni sopruso e ingiustizia. Far quello che si può. Mi hanno premiato per questo. Giusto quindi essere coerente col premio che ho preso. Cioè restituirglielo. Con un grazie al popolo venezuelano. Ma la restituzione di questo premio mi è sembrato l’unico gesto civile e democratico che dovevo a questo popolo vessato. E così ho fatto due giorni fa.
“Soprattutto, siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo.”
(Ernesto Che Guevara)