Cara moglie mia,
effettivamente mi aspettavo di più. Volevo di più. Dalla mia vita. Avrei potuto fare di più. Vorrei darti di più. Ed invece questo brillare opaco dei miei giorni è quello che ti sto dando. Oh si. La vita l’ho vissuta. E la vivo. Ma quando diventa sopravvivenza. C’è amarezza nei miei occhi e nello stomaco. Abbiamo passato un inverno spartano. E solo noi sappiamo quanto.
Ti guardo sempre sai. Anche quando pensi che io stia guardando nel mio eterno vuoto. E vedo nei tuoi occhi belli Parigi, l’India, il Brasile, l’eterna tristezza del tuo sguardo. Ed io a Parigi non ti ho mai portato. Ti racconto spesso di tutte le mie avventure. Bambine e non. Tu sai che pezzo di merda sono stato nella vita. Tu sai quasi tutto di me. E grazie per non tenerne conto. Tu sei arrivata un giorno di agosto. Di tre anni fa. E non ti sei trovata di fronte un uomo. Ma un disastro ambientale. Pazientemente. Hai vegliato i miei sogni artificiali. Mi hai ridato la voglia di vivere . Ma tu. Meriteresti molto di più. Tantissimo. E invece eccomi qua. Con la netta sensazione che la musica mi abbia abbandonato. E con lei il sogno e le rose. La vita non è un palcoscenico. E nemmeno un libro. O una poesia. A volte mi confondo. Tra l’essere e il non essere sognato.
Non ho mai amato le lettere lunghe. Quindi moglie mia che dirti? “Bella, non ho mica vent’anni, ne ho molti di meno…”. Con gli abbracci di un uomo stanco e disilluso si costruisce una casa di sabbia. Che al primo libeccio crolla. Per me è ora di rialzarmi. E farlo per me. E per te. E lo farò.
E ti porterò a Parigi. E pure sulla luna. Cammineremo insieme nella vita. La tua vita. La mia vita. La nostra vita. Tu con un mazzo di fiori di campo tra le mani. Io fiero di essere al tuo fianco. Perché sei bella come il sole. Perché non è mai finita.
Perché nel nostro film alla fine i cattivi perdono.
Tuo Enrico