Marco Castoldi, in arte Morgan, è un musicista e compositore italiano arrivato al grande successo grazie alle sue incredibili doti artistiche e al successo della sua band, i Bluvertigo.
Musicista, compositore, artista e tutto ciò che ha a che fare con la composizione tecnica della musica. Morgan è questo e questo sarà, straordinariamente, per sempre.
Perché, allora, ha sentito l’esigenza di dire la sua su un settore che non conosce dall’interno neanche lontanamente (tecnicamente parlando), vale a dire quello radiofonico?
Per chi non fosse a conoscenza di quanto successo negli ultimi giorni, ecco qui un breve e utile recap per dare un giusto contesto a questo mio scritto.
un breve riassunto di quanto dichiarato da morgan
Qualche giorno fa, intervistato da un noto quotidiano, il cantante ha espresso un suo giudizio sulla proposta lanciata dal neosottosegretario alla cultura, Vittorio Sgarbi, sul dargli un ruolo all’interno del Governo che sia strettamente legato alla musica e al suo sviluppo nel nostro Paese.
Lui è già pronto, figuriamoci, e avrebbe in mente una vera e propria rivoluzione che partirebbe dall’inserimento di più musica italiana nelle radio, pari al 50% del totale come avviene in Francia, aggiungendo che ci vorrebbero più De Andrè, Tenco ecc… e meno canzonette internazionali. Morgan ha anche detto altre cose su altri temi ma io sono un radiofonico, faccio radio da più di dieci anni, ho studiato e mangiato letteralmente pane e acqua per fare questo lavoro a differenza sua che ha studiato per fare un altro mestiere e, dunque, è inevitabile che il mio focus sia su questa enorme (scusate il francesismo) stronzata. Ora vi spiego, tecnicamente, perché la considero tale. Anzi, perché E’ tale.
COME FUNZIONA UNA RADIO
Partiamo dalla composizione di uno staff all’interno di una radio: la scala gerarchica parte dall’Editore, banalmente colui che mette i soldi, e prosegue con il direttore artistico/station manager che ha il compito di prendere le decisioni artistiche sul palinsesto e su come deve andare in onda la radio. Via via ci sono i vai compartimenti che si occupano dei vari aspetti gestionali, economici, promozionali. Gli ultimi, o quasi, anche se farete fatica a crederci, siamo noi conduttori.
Tra tutti questi reparti ce n’è uno denominato Ufficio Musica. Nello specifico, l’ufficio in questione si occupa della programmazione musicale nelle 24 ore. Ora dopo ora, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo. Già.
La composizione di cosa caspita deve succedere in una singola ora di programmazione, poi ripetuta a nastro per tutte le altre 23 ore, si chiama ‘CLOCK’. Il clock, per noi radiofonici, è la Bibbia. O, almeno, dovrebbe esserlo (ho lavorato in alcune radio dove il clock neanche sapevano cosa fosse, ma parliamo delle prime esperienze e in radio così piccole da non ricordarmi neanche il nome).
In pratica, con l’ausilio di software specifici, l’omino dell’ufficio musica sta tutti i santi giorni davanti al computer e inserisce, modifica e/o conferma tutto ciò che deve succedere in una radio e che, poi, voi ascoltate quando siete in macchina.
Se, per dire, alle 13:37 il software decide in automatico di inserire una canzone che dura 3 minuti e mezzo ma alle 13:40 deve partire il cosiddetto cluster pubblicitario, l’omino dell’ufficio musica dovrà andare lì con il suo bel mouse, cancellare il brano da 3 minuti e mezzo e metterne un altro che duri un massimo di 3 minuti per far combaciare i tempi al millesimo di secondo.
No, non è un’esagerazione, funziona così. E, attenzione, non è che il brano che viene inserito può essere a casaccio. No, deve rispettare dei parametri specifici che vengono decisi a monte, dall’editore e dallo station manager.
Non starò qui a spiegarvi ogni singolo format radiofonico, è troppo lunga la storia, però sappiate che esistono dei diversi ‘modelli’ da seguire e ognuno di questi deve rispettare, per forza e non si scappa, delle regole specifiche.
Se, ad esempio, parliamo di Radio Italia, la regola da seguire è che all’interno del clock dovranno, per forza, essere inseriti un tot di brani italiani, intervallati da un tot specifico di secondi in cui un conduttore può parlare e da due cluster pubblicitari. Solo brani italiani.
Qui arriva la parte che ci interessa di più, i brani. Come detto, l’Editore, per i meno avvezzi il capo supremo della baracca, decide cosa caspita vuole fare dei suoi soldi ma, anche lui, segue dei parametri specifici. Mettiamo caso che viviamo in una città di 100 abitanti e 90 di questi sono ricchi uomini d’affari abituati a lavorare all’estero e ad ascoltare poca musica italiana, l’editore che stupido non è, sa che per farsi ascoltare dovrà inserire dei brani che piacciano a quei 90.
Perché succede questo? Perché così gli omini che si occupano di andare in giro a ‘vendere’ la radio a degli investitori possono dire “Oh guarda che su 100 abitanti ci ascoltano in 90, se investi i tuoi soldi nella pubblicità da noi stai certo che poi questa gente viene da te e compra i tuoi prodotti”.
Gli stessi investitori, poi, non è che sono persone semplici con cui trattare. Se il tuo spazio pubblicitario costa, per dire, 10 euro (nelle grandi radio costa moooolto di più) e a loro non sta bene, partono le trattative classiche per abbassare il prezzo e venirsi incontro.
Editore, Ufficio Musica, Ufficio marketing, Station Manager e tutti gli altri uffici, poi, si coordinano tra di loro e, in ultima istanza, qualcuno va dal conduttore e gli dice “amico mio oggi DEVI fare questo, questo e questo” e io, noi povere ultime ma felici ruote del carro, andiamo in onda sapendo già cosa dire, quando dirlo e come dirlo perché, magari, gli investitori vogliono che la loro pubblicità vada in onda a un orario specifico e se sgarri di cinque minuti poi parte il giro di chiamate e le classiche rotture di scatole che vogliamo sempre evitare per quieto vivere.
Si chiamano leggi di mercato, baby. Senza soldi non si mangia, senza mangiare non si vive.
Ora, è chiaro che vi ho fatto tutto sto pippone per spiegarvi quanto e quale enorme mole di lavoro ci sia nel backstage di una radio, non è che uno si sveglia la mattina, apre il microfono e dice quello che vuole come, invece, pensa la cosiddetta casalinga di Voghera (volgarmente chiamata così, in realtà parliamo di un qualsiasi non addetto ai lavori che, giustamente, non sa cosa sia e come funzioni una radio. Tipo Marco Castoldi, va).
Tornando a Morgan, sapendo adesso tutto questo (ma non abbiamo finito, ora vengono i dati che contraddicono il buon Marco Castoldi), secondo voi una legge che prevede più musica italiana in radio è anche lontanamente plausibile? No, perché se io editore voglio guadagnare quei 90 ascoltatori su 100 e nessuno di quei 90 ascolta musica italiana io, capo della baracca, metto soldi sapendo già che non tornano indietro e, di conseguenza, devo fallire. Persone che vanno a casa, progetti falliti, rabbia e depressione. Non proprio il sogno della vita.
Gli esempi che vi ho fatto riguardano radio con una percentuale di musica italiana che si avvicina allo zero, è ovvio, ma che sarebbero costrette a rivedere le loro strategie e a perdere ascoltatori abituati ad ascoltare altro, per una legge che sarebbe aberrante solo perché a Morgan piace quella roba lì, allora a tutti deve piacere quella roba lì. Molto democratica come cosa, non c’è che dire.
Nel caso di radio tematiche italiane (Radio Italia, Radio Zeta e molte altre), invece, questa sarebbe una legge totalmente inutile perché già loro trasmettono nel 99% della giornata musica italiana.
i dati airplay che smentiscono morgan
Passiamo, ora, alla parte ancora più interessante e che smentisce Morgan una volta per tutte: le classifiche di airplay radiofonico.
In pratica, esistono delle aziende che hanno lo scopo di rilevare il numero esatto in cui le canzoni vengono trasmesse in radio e, in base a quanto più o quanto meno vengono programmate da quei famosi omini dell’ufficio musica, viene stilata la classifica settimanale.
EarOne e Radio Monitor sono le due aziende nate con questo scopo, con classifiche sempre limpide e consultabili sui rispettivi siti.
Grazie a Umberto Labozzetta, Chief Marketing e Sales Officer di Radio Monitor Airplay Control Italia, abbiamo potuto vedere con i nostri occhi le classifiche dell’ultimo mese (ma la storia è uguale per gli ultimi cinque anni e anche più di programmazione).
Se guardiamo le TOP20, il quantitativo di brani internazionali non supera quasi mai gli 8 brani su 20, significa una percentuale sempre inferiore al 50%, con la musica italiana che stravince a mani basse. Il numero di brani di artisti italiani è aumentato esponenzialmente dal 2016 in poi, complice l’esplosione dell’indie, del rap e della trap. I meriti, oltre che degli addetti ai lavori capaci di intercettare il cambiamento epocale, sono tutti delle nuove generazioni che hanno avuto sempre più interesse verso un tipo di musica più vicina al loro mondo e al loro stile di vita.
Caro Morgan, per chiudere, ti invito a non scadere in facili populismi perché sei uomo di cultura e con un’intelligenza artistica fuori dall’ordinario perchè nel mio mondo, quello delle radio, c’è gente che fatica e suda da decenni ed è pronta, come hai potuto ben vedere, a controbattere alle tue fallaci dichiarazioni punto per punto. Sarei un pazzo a dirti come fare il tuo lavoro, non ho mai studiato in conservatorio, non sono un musicista e non mi azzardo neanche lontanamente a entrare in dinamiche tecniche di cui non so nulla.
Tu, però, non fare lo stesso perché se una lepre entra nella gabbia dei leoni è ovvio che può finire in un solo modo e, con questa mia interminabile quanto necessaria spiegazione, nel caso specifico penso tu abbia capito chi siano i leoni e chi la preda.
Uno non vale uno, mai.