Alborosie è tornato con un nuovo disco, Freedom e Fyah, che noi di All Music Italia abbiamo recensito in maniera entusiasta (potete rileggere la recensione qui).
Oggi per approfondire la nuova musica di uno degli artisti italiani più osannati all’estero vi proponiamo l’intervista che Federico Traversa ha realizzato in esclusiva per noi qualche giorno fa in occasione del concerto di Albo a Genova.
Alberto, innanzi tutto bentornato a Genova, ti aspettavamo giovedì poi il diluvio ha bloccato il tuo live.
Sì, è la seconda volta in pochi giorni che vengo in città, speriamo non succeda di nuovo il finimondo
Stai portando in tour Freedom and Fyah, il tuo nuovo disco di inediti. Un album al solito molto roots, di quelli alla vecchia maniera, ma che presenta anche diverse contaminazioni nuove e si prefigge di portare avanti il tuo messaggio a favore di chi non ha voce, per scuotere non solo i culi ma anche le coscienze. È così?
Certo, è così. Fedeli alla linea da oltre 20 anni.
Ancora ricordo i tuoi esordi con i Reggae National Tickets con cui in Italia ottenesti un discreto successo. Poi a un certo punto hai mollato tutto, ti sei trasferito in Giamaica per vivere e proporre laggiù la tua visione del reggae. Una decisione apparentemente assurda: un italiano che va in Giamaica per sfondare col reggae, più facile vendere frighi agli eschimesi. E invece ce l’hai fatta e dopo 15 anni sei una delle reggae star più famose al mondo, con date dal Sud America all’Australia. Un miracolo, insomma. Come ci sei riuscito?
Diciamo che faccio semplicemente il mio lavoro. Ho sempre tenuto i piedi per terra, e quella mentalità tutt’ora funziona. Non avevo l’intenzione di diventare una star internazionale, sono partito solo con l’idea di cambiare, poi il telefono ha incominciato a squillare, ti chiamano e la situazione cambia…
La spiritualità è un valore pregnante della tua musica. Una volta Michale Franti mi ha regalato una maglietta con scritto: “God is too big for one religion”, che credo racchiuda un po’ tutto, soprattutto l’antidoto per affrontare il momento particolare che stiamo vivendo…
La spiritualità deve essere positività e unione, mai divisione. Oggi come oggi ci sono delle interpretazioni di Dio che possono spingere l’uomo a fare del male nel nome di certi credi distorti… ma questo è assurdo, la spiritualità è meglio dell’uomo, lo spiritualismo è più bello dell’uomo, il fuoco e l’energia spirituale sono più belle dell’uomo. L’uomo uccide, l’uomo distrugge, invece la spiritualità crea, costruisce ed unisce.
Questo è un momento storicamente difficile, ci sono gli attentati, c’è una scia d’odio che serpeggia nell’aria, non sono certo bei periodi. Sabato ero al concerto di Luca Carboni e ci ho trovato i carabinieri col mitra, controlli a tappeto, la gente spaventata a ogni minimo rumore. Una situazione paradossale. Tu che giri il mondo e calchi il palco ogni sera, come stai vivendo questo momento?
Beh, abitando a Kingston sono abbastanza abituato agli stati di tensione, diciamo che ci convivo quotidianamente. Siete voi adesso che dovete addattarvi a uno stile di vita un po’ diverso, io sono già rodato in questo senso. A Kingston non ci si muove mai da turista, bisogna sempre avere quattro occhi, quattro gambe e tanta attenzione, quindi sono abituato a vivere stati d’allerta. Parlando della situazione attuale e di cosa ne penso, beh, non penso nulla. Siamo in guerra e quando si è in guerra quelli a essere più sicuri sono i leader mentre il popolo è lì a pagare le conseguenze, sia da una parte che dall’altra. Ecco, questo ci tengo a precisarlo. Quello che succede di qua succede anche di là, la sofferenza è per tutti… la guerra è guerra e non è mai una soluzione.
Un saggio indiano una volta mi disse: “Perchè la foresta sia verde, tutti gli alberi devono essere verdi…” e, questo lo aggiungo io, finché esisteranno cittadini di serie A, B, C, D, E e addirittura F sarà dura che questo accada…
E finché i cittadini di serie A non la smetteranno di andare a rompere le scatole ai cittadini di serie Z… sai la violenza è la prima cosa a portata di mano e, come ti dicevo prima, alla fine chi paga le conseguenze siamo noi, i politici sono al sicuro nel loro bunker.
Entrambi siamo diventati papà da un paio d’anni, e il mondo che stiamo lasciando ai nostri figli è tutto fuorché un posto sereno e tranquillo… e poi c’è la politica, sempre più corrotta, corporativa, lontana dai problemi della gente…
La politica è business, un meccanismo malato, non per niente noi la chiamiamo babylon. Il mondo oggi ha bisogno di politica sana e non ce n’è, anzi va sempre peggio. Guarda cosa sta succedendo negli Stati Uniti, con lo spettro di due candidati presidente di cui uno è veramente…(Albo pensando a Donald Trump si ferma e scuote la testa .Ndr).
Abbiamo bisogno di leader che siano persone intelligenti, di leader che siano costruttivi e non distruttivi, di persone colte e non ignoranti. Da qui si deve cominciare, perché poi sono loro che fanno il bello e il cattivo tempo. Noi facciamo quello che dobbiamo fare, paghiamo i contributi, eccetera, ma loro sono quelli che ci devono mettere in pace con il mondo. Deve partire da loro perché noi il nostro già lo facciamo. Io educo mio figlio come un rastaman, e questo farà sì che lui crescerà come un righteous man. Tu fai meditazione e vivi una profonda realtà spirituale, quindi tuo figlio sarà una persona orientata verso la luce. Queste persone invece sono dei mostri, per questo la prima cosa da cambiare è la politica. Nel mio mondo siamo tutti brava gente, nessuno di noi va a sparare, a rubare, niente del genere. Invece i politici queste cose le fanno, fanno danni alle nostre spalle e noi nemmeno lo sappiamo. Credimi, ho conosciuto tanta gente e questo mi ha insegnato una cosa importante: nella vita quello che succede in piccolo, nel quotidiano, capita anche su larga scala. Che cosa voglio dire? Che se tu vai a rompere le scatole al vicino poi il vicino te le rompe a te e allora si scatena tutto un meccanismo che non finisce mai.
Chiudiamo con una domanda per i puristi del reggae: tu avessi ricevuto la tua Ambush in The Night poi ci saresti salito su quel palco?
E chi ti ha detto che non l’ho mai ricevuta?
Scoppiamo a ridere, l’intervista è finita. Chiacchieriamo ancora un po’ a microfoni spenti, fra amicizie in comune, musica, i nostri figli piccoli che stanno crescendo; poi Alberto è chiamato sul palco. Lo osservo mentre si prepara, la sua è una mistica quasi religiosa: silenzioso, separato dalla band, gli occhi verso l’orizzonte, i lunghi dread illuminati dalla luna. Un respiro, due respiri, gli occhi socchiusi, tre pugni sul petto e via sul palco, a invadere la città di buone vibrazioni e testi che aiutino a pensare. Non c’è che dire, il natural mystic flow è tornato in città.