È un cantautore maturo, ma anche uno scrittore saltuario e un appassionato di arti grafiche: la storia di Francesco Tricarico è senz’altro esemplificativa di cosa voglia dire essere artisti in Italia negli anni duemila.
Di tempo ne è passato da quel primo singolo con struttura di filastrocca, Io sono Francesco, che permise a un giovane ragazzo di Milano di scalare, seppur esordiente, la top ten italiana fino a raggiungere l’ambita vetta: la canzone traghettò l’album di debutto Tricarico a un solido disco di platino e lo tenne in classifica per quasi sette mesi consecutivi. Fu anche incisa per il mercato di Spagna, nella veste iberica di Yo soy Francesco!
Ma quello fu solo l’inizio: in 15 anni di carriera, il cantautore ha continuato a raccontarsi e a raccontare la realtà attorno a sé, con nuovi album che hanno portato in luce sfaccettature diverse del suo mondo musicale, dove l’essenzialità dei testi si accompagna a una variegata ricchezza di contenuti e di suoni.
Grazie alla squisita disponibilità dell’artista, con una lunga chiacchierata durata poco meno di un’ora, abbiamo realizzato per voi l’intervista che state per leggere. Tanti gli spunti che sono emersi tra una domanda e l’altra, con l’intenzione di rendere le righe che seguono, un ritratto fedele e definito di Francesco Tricarico: naturalmente, grande spazio si è riservato all’attualità, all’ultimo disco Invulnerabile, alla tournée in atto (QUI le tappe) e ai progetti ancora in cantiere. Buona lettura!
Buongiorno, Francesco, benvenuto su All Music Italia! Sappiamo che stai lavorando al nuovo album. Tuttavia hai voluto dare nuova linfa a questo tour, che prosegue da due anni e che, oltre che Invulnerabile, si potrebbe intitolare “inesauribile”!
Buongiorno! È stata una scelta artistica dettata dal fatto che la musica si suona e rimane per noi artisti un lavoro, senza prescindere quindi dall’aspetto pratico ed economico. Naturalmente, realizzare lo spettacolo per me è meraviglioso, mi permette di capire molte cose, oltreché di affinare la sintonia con i miei musicisti, Marco e Michele (sono Marco Guarnerio alla chitarra e Michele Fazio al pianoforte, ndr). Ho la fortuna di essere riuscito a fare della mia più grande passione una professione e vorrei che questo tour non finisse mai: il piano artistico va di pari passo con quello logistico, certo, ma il live resta l’unica dimensione naturale della musica. E da qualche tempo mi pare si stia tornando a quella dimensione, “alla musica che si suona”.
Quali sono le nuove idee per le date del 2015?
Come sempre non mancheranno le mie canzoni più popolari, potrei dirti qualche titolo: Io sono Francesco, Vita tranquilla, La pesca, Amo; ma per rendere la scaletta interessante, inseriremo anche altri brani che ci piacciono molto e che non ti anticipo. La cosa bella è che ogni concerto ha la sua variabile, rappresentata dal pubblico: in ogni posto in cui suono, incontro persone nuove e l’atmosfera è unica, mai uguale alle altre. Sono curioso di vedere ciò che succederà, mi diverte scoprire quale legame si crea con chi è venuto ad ascoltarmi.
C’è una canzone che più di altre, ti permette di creare questo legame durante il concerto?
Ma no, direi di no, non ce n’è una specifica. Come ti dicevo, ogni concerto è diverso, dipende dalla serata.
Stai preparando anche un nuovo spettacolo per il teatro.
Sì, l’idea è nata dal modo in cui si stanno evolvendo i miei live, dove molto spazio viene dato all’improvvisazione. Ecco, vorrei realizzare uno spettacolo in cui non ci sia solo la canzone, ma anche la storia. Non posso anticiparti altro perché tutto ancora è in via di costruzione.
Dicevamo poc’anzi del nuovo album: sarà più concettuale o più antologico? Sei in pre-produzione?
No, ora è il momento della raccolta: sto raccogliendo idee, sto appuntando alcune cose per iscritto, ci rifletto su. Dopo aver vissuto tante esperienze, anche intense, in questi anni, arriva il momento più bello e più faticoso, quello della sintesi. Ancora non so quale sarà il leitmotiv del prossimo album, deve prendere forma… In tutti i casi, senza retorica, prevedo che sarà concettuale, come i miei precedenti lavori: avrà un messaggio di fondo.
Dalle tue parole si deduce che non dovrebbe uscire entro questo 2015.
Non è detto… È possibile che esca entro l’anno, anzi me lo auguro.
Invulnerabile è il tuo ultimo album, lo hai pubblicato un paio d’anni fa. Ti è capitato di riascoltarlo di recente? C’è qualche brano che potendo, aggiusteresti con qualche modifica?
Devo dire di no, non ho nessun interesse a riascoltare Invulnerabile attraverso il CD, però se vogliamo, il riascolto lo faccio ugualmente quando lo porto in giro nei concerti, suonandone alcuni brani.
Ogni canzone ha un suo perché, non ne modificherei nessuna, ma ti posso dire che in questi anni mi è capitato di pubblicare due versioni diverse di uno stesso pezzo: è questo il caso di Solo per te e Amo, e ancora di Drago e Il drago verdolino.
Hai detto che il titolo, preso da una delle tracce del disco, è in realtà un augurio.
Esiste un modo per essere davvero invulnerabili, secondo te?
Conoscere se stessi. Amarsi. Una persona invulnerabile per me non subisce i cambiamenti, le influenze, il giudizio degli altri, ma se li lascia scivolare di dosso; non affida la sua vita ad altre persone e non è succube delle proprie emozioni ed esigenze. Nel tempo mai nulla resta uguale, ma chi è invulnerabile sa adattarsi, non per questo rinunciando a se stesso e ai propri propositi.
Tornando a parlare di Invulnerabile, so che il disegno in copertina è di tuo pugno!
Sì, è un mio disegno e rappresenta un uomo con un quadrato in mano da cui escono cerchi: quel quadrato non è una scatola, vuole significare più semplicemente un posto che non si conosce. Mi venne in mente mentre stavo pensando al titolo dell’album: in quel momento avevo intenzione di utilizzare un altro titolo… Quello schizzo raffigura il concetto di un qualcosa invisibile che poi diventa visibile. Anche le canzoni nascono così, c’è un atto creativo: un pezzo prima non c’è, poi c’è. E a quel pezzo – indipendentemente dal fatto che sia un capolavoro o una composizione mediocre – corrisponde comunque uno sforzo di tirar fuori qualcosa che prima non esisteva ancora.
Ho sempre disegnato, è una cosa estremamente affascinante per me. Mi piace molto, non è solo tempo perso. Dipingo un po’ anche, con materiali semplici: matite, acquerelli, pennarelli. Mi auguro che anche questo aspetto di me, l’arte grafica, prenda una sua strada. Alcune cose son già state fatte: cinque miei quadri sono stati esposti in galleria De Magistris a Milano con Luca Beatrice, un grande curatore.
Mi piacerebbe parlare in modo più approfondito dell’ultimo album, partendo dalla seconda traccia. Le conseguenze dell’ingenuità sono ferite a volte sgradite, a volte sono sottovalutate ma – canti come un riscatto nel finale della canzone – se si scambia l’oro per il sole, non è detto che poi sia un errore.
Il brano è legato a un episodio particolare della tua vita?
La scintilla me la offrì la constatazione di un errore che vidi fare, non lo feci io personalmente in quel caso, e che costò la vita a una persona. Fu per ingenuità, rimasi molto colpito di come un errore inaspettato potesse cambiare così drasticamente le cose. In tutti i modi, quello fu solo lo spunto, perché il concetto è estensibile a tutto. Alle volte siamo imprudenti, agiamo senza renderci conto delle conseguenze… Però è anche giusto così, perché come fai a prevedere tutto e a non sbagliarti mai?! Dovresti vivere chiuso nelle quattro mura di casa. Nella frase finale, dico in sostanza che puoi scambiare l’oro per il sole, ma va bene così perché, alla fine, non esiste altra strada se non la tua.
Perché hai scelto questo brano per la colonna sonora di reCuiem, corto di Valentina Carnelutti in cui tu stesso interpreti un ruolo?
In quel periodo stavo ultimando il disco, proposi a Valentina alcuni brani e fu lei a scegliere Le conseguenze dell’ingenuità, forse perché ne rispecchia bene il tema. Ha fatto un lavoro certosino e sono contento che reCuiem le stia dando tanti successi: voglio molto bene a lei e a quel cortometraggio, anzi consiglio caldamente a tutti di guardarlo.
Tricarico è un persona ingenua?
Mah, io sono molto istintivo, dò subito fiducia alle persone, ma non sono sicuro che sia ingenuità questa, è piuttosto un buon atteggiamento verso la vita, da cui mi aspetto molto: rifletto molto sulle cose, in questo senso anzi sono un calcolatore, non un ingenuo. Certo, se mi rendo conto che la mia fiducia è mal riposta, mi chiudo immediatamente. Essere ingenui è un buon modo di rimanere aperti all’imprevisto e pensare che quest’imprevisto sia positivo.
Nel brano La natura affermi: «Non ci si accontenta neanche quando è già troppo, eppure la soluzione va trovata al più presto.»
È evidente, buttiamo via risorse in continuazione, eppure c’è già abbastanza. Dobbiamo trovare una soluzione: muoiono le api, i fiori non vengono impollinati e tra un po’ schiattiamo tutti. Poi tra milioni di anni qualcuno si chiederà, come facciamo noi per i dinosauri, come mai gli esseri umani si sono estinti. Magari la risposta è che abbiam fatto fuori le api. Bisogna stare attenti alla natura, a gestire le risorse che già possediamo, comprendendo quando è il momento di fermarci se c’è già quanto ci occorre.
Ti sottopongo un ultimo stralcio, da Il tuo coraggio: «Chissà perché quando dici “ora basta”, succede qualche cosa e ritorna la speranza. È successo a me, è successo a te, ma perché bisogna sempre arrivare a questo punto in cui ormai si è dato tutto?»
Hai trovato la risposta?
Il senso del brano è: mi domando perché io non realizzi mai quel che vorrei, per poi realizzarsi da solo nel momento in cui mi arrendo. La risposta è: perché hai smesso di cercarlo. Non stai più cercando ma trovi, finché cerchi non puoi trovare. Quando hai dato tutto, non puoi più dare niente: a quel punto le cose accadono.
Una curiosità. Riguardo al videoclip del singolo Riattaccare i bottoni, mi piacerebbe sapere: perché hai scelto di parodiare Taxi Driver?
In quel momento non avevo risorse economiche e dovevo girare un video di tre minuti, mi son chiesto: cosa fare davanti a una telecamera? Mi venne in mente quella scena famosa con Robert De Niro, la provai e la trovai divertente. Poteva essere qualsiasi cosa.
Hai conosciuto in questi anni il mondo dell’arte e della musica. Se i tuoi due figli volessero intraprendere lo stesso percorso un giorno?
Affari loro! Se ne fossero contenti, ne sarei contento anch’io. Mi auguro che ciò che sceglieranno di fare, li porti alla felicità.
Molti si perdono e affondano. Qual è il segreto per restare a galla?
Di solito affondi quando conti sugli altri. Lo dicevamo prima, bisogna essere invulnerabili: tu sei la tua strada, sei quello che vuoi, non c’è ragione di affondare. Se sei onesto con te stesso e porti avanti un progetto che per te è importante, quest’importanza viene riconosciuta e intorno a te si crea un entusiasmo che è contagioso: tutto parte dalla tua energia, dalla luce che hai, dall’amore che ci metti.
Nella mia zona c’è un panettiere: pur essendoci tanti forni a fargli concorrenza, tutti vanno da lui, perché è un fuoriclasse, gli piace ciò che fa e lavora con passione. Il segreto è tutto lì: capire chi si è e portarlo fuori, alla luce del sole, con lavoro e impegno, come canto ne Il tuo coraggio. Fare un mestiere che non piace, non ha importanza, non ha senso… Ti fai del male e basta. E poi affondi.
C’è un posto prediletto dove componi normalmente?
No, cambia. Posso essere in macchina o in giro col libretto per gli appunti. Di solito, quando sono a caccia di idee, porto con me un registratore e lo uso mentre mi sto muovendo: in altre parole, il mio luogo prediletto è un non-luogo.
Il 6 gennaio 2015 sulla tua pagina Facebook, riporti in bacheca un aforisma dal film L’arte del furto: «Fai qualcosa che valga la pena leggere o di cui valga la pena scrivere.»
C’è una tua canzone con la quale sei in disaccordo e che in questo momento non scriveresti?
Eh bella quella frase, mi ricordo che la postai! No, non ci ho mai pensato, non avrebbe senso. Il passato non mi interessa, è morto, va tutto bene nel passato. Sono sempre concentrato sulla scrittura e sulle nuove canzoni, anzi quello che devo scrivere e che non ho ancora scritto mi mette agitazione: la composizione è un momento difficile.
Chi ascolti del panorama musicale italiano? C’è qualche artista che ti piace tra le nuove leve?
Sono un po’ preso dalla mia vita e non seguo molto il nostra panorama musicale, non ho voglia né tempo di ascoltare altri artisti. Non saprei dirti.
Una canzone che ruberesti volentieri al repertorio di un collega cantautore.
Di Battisti mi piace una canzone… Anche per te vorrei morire ed io morir non so. (intona Anche per te, ndr) Poi di Lou Reed, Perfect Day… Non vorrei averle scritte, ma sono canzoni molto belle.
C’ è qualcosa di cui hai timore? Come cantante e come uomo.
Sì, sì c’è qualcosa di cui ho timore… Ma non te lo dico.
Che mestiere avrebbe fatto Tricarico se non fosse diventato cantautore?
Mmh… Il sicario. (ride, ndr)
C’è l’idea che a volte per preservare la propria identità musicale, per restare pienamente se stessi, occorra rischiare e autoprodursi da artista indipendente, come hai fatto tu per Invulnerabile. Dal momento che in passato hai inciso per le major (Sony e Universal), vorrei chiederti: personalmente, che idea ti sei fatta a riguardo? È verità o pregiudizio?
Se devo dirti la verità, io ho sempre fatto quello che volevo: ho iniziato con Universal, successivamente ho avuto un contratto con Sony, poi ancora con Edel. Non mi sono mai sentito condizionato. Inoltre, bisognerebbe prima accordarsi sul concetto di essere se stessi, che è di per sé complesso: essere se stessi vuol dire essere uno ed essere un miliardo di cose.
«Duri e puri»: c’è questa linea indie ogni tanto che è di una tristezza mostruosa, non si capisce bene cosa voglia dire, non ha senso parlarne. Una major probabilmente ti offre, anzi ti offriva più possibilità e più mezzi di far sentire un tuo lavoro e questo, per chi vuole fare il mio mestiere, è solo positivo: se uno ha qualcosa da dire, è meglio che riesca a dirlo a più gente possibile… In ogni caso, adesso è diverso, le major hanno un po’ meno potere.
Ti porto la mia esperienza: tra un disco e l’altro, in questi anni non ho mai avuto particolari pressioni, nessuno mi ha mai detto: «No, questo non lo puoi fare.» Del resto, me le faccio già io le pressioni, sarà forse per questo che dall’esterno non ho mai ricevuto ulteriori moniti: sono molto critico verso i miei lavori, cerco di comunicare i concetti nella maniera più semplice e fruibile possibile, di portare i messaggi che sento. Alla base di un album, da parte mia, c’è sempre una grande voglia di rendere tutto semplice e bello, senza porre delle sovrastrutture. Tornando a quanto dicevo poc’anzi, è questo il meccanismo che non capisco di alcuni indipendenti: come se uno che fosse indie volesse rompere i coglioni a chi ascolta! C’è la preoccupazione di essere commerciali: se a più persone piace la mia canzone, allora non sono più… Ma “non sono più” che cosa? Entra in gioco un meccanismo morboso e perverso che non ho mai compreso a fondo, mi sento lontano da esso, insomma… Non mi torna.
Esaustivo, grazie per questa risposta! Ancora una domanda: il tuo primo libro è uscito nel 2009 e si intitola Semplicemente ho dimenticato un elefante nel taschino. Racconti cinque storie vissute da giovani protagonisti.
Ce n’è una in particolare che ti rispecchia in questo momento?
Me ne viene in mente una che mi piace molto, mi commuove ora che mi ci fai pensare. Parla di questo bambino, con un grande potere, cui capita un avvenimento molto importante: alla fine della storia, il bambino ritrova questo potere dopo averlo smarrito… Secondo me, è un bel racconto.
A quando il prossimo libro di Tricarico?
Spero presto, è in cantiere: vorrei raccontare un po’ tutto ciò che mi è successo finora, ma non sarà affatto un’autobiografia. Chi scrive, parla sempre di cose che conosce e in questi anni di esperienze ne ho vissute, mi piacerebbe racchiuderle in un romanzo, in un racconto più lungo che non parlasse di me, ma nel quale ritrovare un po’ di me stesso attraverso alcuni momenti della storia.
Sai, sono in un periodo in cui non riesco a raccontare come desidero, perché per tante cose non so come andrà a finire. Certo, anche scrivere: «Sto camminando» mentre cammini è raccontare, è vero, ma io di solito cerco un inizio e una fine. E adesso mi manca la fine, non della vita, ma di alcuni episodi che sto vivendo. (ride, ndr)
È stata una bellissima chiacchierata, Francesco, grazie infinite del tempo che hai dedicato ai miei quesiti. Ci salutiamo col consueto gioco rompi-disco, un must delle interviste di All Music Italia.
Allora, a chi rompi il disco: Marco Masini o Nek?
Beh, mi spiace rompere i dischi. Se mi dici che non posso essere diplomatico… Sto al gioco, diciamo Masini.
Fabrizio Moro o Cesare Cremonini?
Cremonini.
Pino Daniele o Francesco De Gregori?
De Gregori.
Negrita o Negramaro?
Li posso spaccare tutt’e due? (ride, ndr)
Loredana Berté o Ornella Vanoni?
Bertè.
Gianna Nannini o Fiorella Mannoia?
Fiorella Mannoia.
Bob Dylan o George Michael?
Beh, George Michael.
U2 o Depeche Mode?
U2.
The Beatles o The Rolling Stones?
The Rolling Stones.
All Music Italia ringrazia Marco e Nicoletta di Italia Eventi