Ecco finalmente la seconda parte dell’intervista realizzata dal nostro Federico Traversa al critico musicale più seguito e contestato degli ultimi anni… Michele Monina. Un profondo conoscitore della musica a 360° che nel corso della sua carriera ha scritto libri e realizzato alcuni degli articoli più interessanti della storica rivista musicale Tutto Musica.
Per una vita hai scritto di musica, diretto egregiamente il mensile Tutto (ah bei tempi), aiutato tanta musica ad emergere dalle cantine, scritto libri ragionati che hanno regalato una bella testimonianza dei tempi. Ma quelli erano anni dove non esisteva il contraddittorio. Oggi invece gli artisti, e i loro fans, possono replicare sui social e urlare la loro rabbia contro il critico che tanto ha osato. Una cosa parecchio fastidiosa per chi fa questo lavoro, tu invece sembri divertirti un mondo… sei masochista?
Premesso che di Tutto Musica ero firma, non direttore (anche se firma piuttosto caratterizzante, va detto). No, non sono affatto masochista. Anzi, sono pure piuttosto vendicativo. Il fatto è che sono tornato a scrivere di musica da adulto, tre anni fa, quindi senza avere niente da dimostrare a nessuno e con le spalle abbastanza larghe da affrontare le pressioni di questo mestiere. Per cui sin dal primo articolo, col quale mi sono approcciato ai fan di Emis Killa, mi sono ritrovato a avere di fronte un panorama antropologicamente interessantissimo. L’essere uno scrittore, quindi avere una visione, giusta o sbagliata che sia, mi ha aiutato a leggere questa situazione per quel che è, un grande romanzo epico in cui io sono, più che voce narrante, il protagonista. Oggi, lo confesso, sono in quella fase in cui seppur con l’odio dei fan, i cantanti tendono a cercarmi, perché ho hype, perché ho lettori, perché ho ascoltatori. Per cui, in realtà, sono passato velocemente dall’essere quello da mandare a fanculo su Twitter all’essere quello con cui fare il simpatico. Ne abuso serenamente, scrivendo altri capitoli di questo romanzo. Prima o poi, magari, lo pubblicherò davvero.
Ah proposito, lo sai che prima o poi verrai picchiato dai Club Dogo? Perché li hai fatti così incazzare a Gué e gli altri? Lo sai che in fondo son bravi ragazzi, di buona famiglia…
Quando vedo un talento che galleggia nell’acqua del cesso mi spiace sempre.
So che anche con la Pausini vi amate da pazzi… però Miche, Lester Bangs litigava mediaticamente con Lou Reed, tu con Laura e Biagio. Quanto ti fa male questo?
Ora, Lester Bangs ambiva a diventare uno scrittore. E per farlo scriveva di musica. Io ho fatto un percorso esattamente opposto. Quando scrivevo, infatti, Lou Reed mi ha scelto per tradurre il suo libro in italiano, Ho camminato nel fuoco. Anche Bertoncelli, per restare in Italia, suggeriva cosa fare a Demetrio Stratos e io lo faccio con Renga, ma sono nato nel 1969 in Italia, non posso certo crucciarmi di questo. O meglio, mi posso crucciare di tante cose, ma non del mio lavoro. Quello con la Pausini, invece, è un frammento molto divertente, quasi erotico. Ci mandiamo a cagare violentemente, ma è evidente, che in fondo ci stiamo simpatici.
Sai che se invece che di musica scrivessi di politica avresti fatto la fine di Pecorelli?
Prova a pensare a tutto quello che sto facendo dal punto di vista di uno scrittore. Mi mando a cagare con artisti di fama internazionale, flirto con altri, sono odiato dai miei colleghi, vengo preso sul serio dai media tradizionali. Sono uno scrittore, non un giornalista. Non mi interessano le notizie, ma i personaggi e le trame. Non avrei mai potuto fare il lavoro di Pecorelli. Non saprei farlo. E se ho scoperchiato vespai è sempre stato fatto con la penna dello scrittore.
Come ti sei appassionato alla scrittura?
Durante il servizio civile, negli anni Novanta. Prima ero semplicemente un grande lettore. E un buon musicista. Poi ho capito che io funziono bene da solo, e ho iniziato a scrivere. Ho incontrato Nanni Balestrini, che era il mio autore preferito, che mi ha incoraggiato a continuare, e da lì la scrittura è diventata il mio mestiere. Quando ho capito che non avrei campato di romanzi mi sono messo al servizio della musica, come scrittore, lavorando ai libri degli altri, portando il mio apporto nella critica musicale, e continuando a scrivere i miei libri, fuori dalla narrativa.
Influenze principali, a parte Nanni?
Direi il cosiddetto avant-pop, quindi autori come Foster Wallace, Rick Moody, Douglas Coupland, ma anche il massimalismo, da John Barth a Donald Barthelme. Poi i gonzi, da Tom Wolfe a Hunter S. Thompson. Oltre i padri, scontati, da Don De Lillo a Hubert Selby Jr. Nessun italiano, avrai notato.
Come nasce il progetto MATM? Ti senti il Zack de la Rocha della critica musicale italiana?
Il nome funzionava. Me l’ha suggerito non ricordo chi su Facebook. Io sono un uomo libero in un mondo non così libero. Sono per mia natura anarchico, anche se a questo progetto sto lavorando in squadra. E mi piace molto l’idea di stare dentro la macchina e combattere la macchina. Diciamo che se questa idea funziona in parte è merito mio e di chi lavora con me, in parte demerito di chi sta dietro la macchina a spingerla, sperando prima o poi di salirci a bordo.
Come sai ho sempre stimato sia la tua penna che gran parte dei tuoi gusti musicali. Ultimamente però scrivi spesso di musica parecchio dozzinale. Parafrasando Masini… perché lo fai? Con la tua esperienza e notorietà potresti permetterti di parlare di gemme nascoste invece che recensire certi dischi…
Mi spiace contraddirti. Ma io continuo a spingere la musica che mi piace tanto quanto a sparare su quella che mi fa cagare sangue. Solo che le stroncature diventano molto più virali dei pezzi in cui parlo bene di qualcuno. Scrivo per quotidiani generalisti, per cui ovviamente vogliono che mi occupi del mainstream, ma io forte della mia firma forzo la mano e ci piazzo sempre qualcuno che ritengo debba essere messo in evidenza. Facessi solo quello che scova i diamanti, a voler essere onesto, non mi leggerebbe nessuno, perché da me ci si aspetta un po’ di sangue, sempre e comunque. Lo so e ne prendo atto, enfatizzando il bello tanto quanto evidenzio la merda.
C’è qualche penna, fra quella dei tuoi colleghi, che ti piace?E qualcuno che proprio non reggi?
Chi non reggo, direi, è piuttosto noto. Esiste una letteratura a riguardo. Chi mi piace, esclusi i presenti, anche. Mi piace come scrive Mattia Marzi, anche se non condivido buona parte dei suoi gusti musicali. Mi piace come scrive Grazia Sambruna. Mi piace l’antropologa prestata alla musica Elena Nesti. Tra i più vecchi, si fa per dire, Gianni Sibilla, Gianni Santoro, Eddy Cilia, Rossano Lo Mele. Ma in realtà non credo di fare il mestiere di queste firme, perché io sono prevalentemente uno scrittore.
Parliamo di musica italiana seria, ora, giusto per darci un tono. Chi preferisci e perché fra:
Dalla e Battiato.
De André e Guccini
Vasco e Battisti.
Azz, qui mi chiedi se voglio più bene a mamma o papà. Impossibile rispondere. Posso dirti che di questi nomi quello che sento meno vicino al mio immaginario è Guccini, ma sto giusto facendo un esercizio di stile. Per il resto come fai a scegliere tra tanto ben di Dio? Li adoro tutti. In maniera viscerale. Dalla è stato uno dei primi cantautori che ho seguito, grazie a mio fratello che ne era fan negli anni Settanta. E a Vasco devo in parte l’aver affermato il mio nome in questo campo. Se vuoi, però, ti dico che il nome che più amo, in questa fase della mia vita, ma forse in assoluto, è Ivano Fossati. E che anche Enrico Ruggeri è molto molto vicino alla mia idea di perfezione. Nel caso di Fossati è stata una delle interviste più importanti della mia vita (mi ha accolto dicendomi: “ma lo sai che ogni volta che si pronuncia il tuo nome nel nostro ambiente dicono “il temutissimo Monina”). Nel caso di Ruggeri è diventato un mio caro amico, e tanto mi basterebbe.
A proposito di Vasco, anni fa hai scritto una bio su di lui di grandissimo successo. L’hai più visto? Cosa pensi dell’ultimo Vasco?
Su Vasco ho scritto altri libri. E ci siamo tenuti in contatto, ma a distanza. Ma capiterà di nuovo, lo so. Oltre a stimarlo, come è normale che sia visto quel che ha scritto e fatto, provo una specie di affetto per lui. L’ultimo Vasco di studio mi sembra sempre di livello, ma ovviamente con meno potenza lirica di un tempo (anche se ogni album regala qualche perla). Dal vivo rimane imbattibile.
Ok ora torniamo a pensare in piccolo. Come mai in questo paese passa per rock uno come Ligabue?
Per lo stesso motivo per cui passano per rock i Nickelback, credo. Si tratta di power pop, o di pop rock, ma per il pubblico mainstream è in effetti qualcosa di accostabile al rock. Io sono cresciuto con gli Husker Du, la mia band preferita di sempre, e poi coi Jane’s Addiction, i Soundgarden, diciamo che ho un’idea un po’ meno soft, ma stiamo parlando di categorie buone più che altro per la stampa generalista.
Vero. Cambiando genere, molti non sanno che tu hai fatto tanto per l’affermazione della seconda ondata di rap italiano, sei stato uno dei primi a scriverne e a supportarlo. Tra l’altro, oltre che su Tutto, anche con un riuscito romanzo che mescolava rap, islam e integrazione, e questo in anni non sospetti Alla luce dell’oggi ne sei pentito?
Pentito mai. Già allora mi era evidente di essere una anomalia, perché non sono mai stato parte della scena che seguivo e provavo a raccontare. Ma credo sia stato un momento importante della nostra recente Italia. Credo che raccontare i cambiamenti sia importante. Ho avuto la sorte di poter raccontare quella scena e anche l’underground (cioè il rock alternativo prima dell’indie). Per intendersi, i vari Afterhours, La Crus, Subsonica, CSI, Cristina Donà e affini. C’ero e li ho portati a pubblicare libri per Mondadori, li ho raccontati su Tutto Musica. Ora ci becchiamo Dente e Thegiornalisti, mi è andata meglio allora.
C’è qualcuno che ti piace ancora dell’attuale scena rap?
Adoro, letteralmente, Rancore, che ritengo un talento assoluto, al pari del Neffa della Bologna del passato, epoca Sangue Misto e subito dopo. Non mi spiace Salmo, ma non mi immolerei per lui. Il resto lo trovo meno potente. Continuo a seguire quelli più vecchi, rimpiangendo il passato.
Ahi ahi, dalla lista manca il tuo compaesano…
Beh, ma Fibra è uno dei vecchi a cui faccio riferimento. Diciamo che si muove da un pezzetto sulla scena.
Quindi il Monina sa anche essere statista… Anyway: preferiresti svapare marijuana con Fedez e Jax o ballare mezzo nudo a un party con Gue Pequeno e Marracash?
Ecco, diciamo che l’accoppiata Fedez e J Ax la trovo quanto di peggio ci sia in circolo al momento. Pura merda, non d’artista, per citarmi. Anche gli altri due non scherzano, anche se proprio dovendo scegliere, con un bazooka nel culo, sceglierei loro. Tra i quattro quello che mi sembra un po’ interessante è Marracash. Guè sarebbe pure bravo, stilisticamente, ma non ha proprio un cazzo da dire. J Ax a quarant’anni parla come ne avesse dodici, peccato, è stato bello crederci.
Comunque non fumo e non ho mai fumato, e se proprio devo ballare nudo lo farei con una compagnia meno imbarazzante.
E del fenomeno Rovazzi cosa ne pensi?
Non so, è un comico, un po’ come Salvi quando faceva “C’è da spostare una macchina”. Con la musica non c’entra niente. La madre abita esattamente davanti a casa mia, mi dicono, se lo sapevo, magari, lo finivo da piccolo, così mi evitavo una rottura di coglioni adesso. Tipo Terminator, senza neanche bisogno di viaggiare nel tempo.
Siamo quasi alla fine, permettimi una piccola divagazione per soddisfare una mia curiosità personale: perché tifi per il nostro immenso Genoa CFC? Non sei di Ancona?
Sono di Ancona e tifo profondamente Genoa, tutto vero. La faccenda è semplice, e dice molte cose riguardo la mia attitudine, forse spiega addirittura il progetto Monina Against the Machine. Negli anni Settanta, quando ero un bambino, ho iniziato a giocare a Subbuteo. Giocavo anche parecchio bene, sono arrivato alla finale di un campionato nazionale, quando ancora non c’era una vera e propria federazione. Comunque, all’epoca tutti tifavano per la Juventus, anche nella mia famiglia. Parliamo dell’epoca di Bettega, di Causio, di Cabrini, Gentile, quella gente lì. E a Subbuteo tutti i miei amici avevano la Juventus. Un’altra squadra che andava per la maggiore era quella dei ciclisti, la Samp, proprio per quella ridicola maglia. Io, che sono un outsider di natura, anarchico e bastian contrario, a otto, nove anni, ho deciso di voler tifare per la squadra che potesse essere più distante dalla Juventus, la squadra vincente e della mia famiglia, e dalla Samp. Ho così scelto il Genoa. Per lo stesso motivo, poi, nel campionato inglese ho scelto il West Ham. È stato vero amore. Poi è arrivato Ian Peters, e lì ho capito che la narrativa sarebbe stata il mio futuro. Con Pato Aguilera e il biondo Tomas quasi ho sfiorato la fantascienza…
E con questa ti sei aggiudicato il mio amore a vita. Don Gallo, anche lui grande genoano, mi diceva sempre: “Fede non possiamo che tifare rossoblù e lo sai perché? Perché tifiamo per gli ultimi e camminiamo in direzione ostinata e contraria”. Musicalmente possiamo vedere in quest’ottica anche il tuo recente appoggio a Syria e alla Turci, nobili artiste costrette ai margini da una discografia bubble gum?
Diciamo che sono da sempre appassionato di musica al femminile, tanto per tornare anche alla domanda di prima in cui mi chiedevi perché non mi dedico a evidenziare il bello. Ho fatto il megaprogetto Anatomia femminile, che voleva mappare il cantautorato femminile, ho lavorato con molte cantautrici, a partire da Cristina Donà, con cui ho scritto un libro e fatto un tratto di strada assieme. In questa ottica, ora, mi sto occupando della desessualizzazione del pop femminile italiano, e a breve uscirà il mio prossimo libro, per Skira, dal titolo Venere senza pelliccia. In quel libro ho parlato di Syria e Paola Turci, tra le altre, ma anche di Paola Iezzi, per dire, e di altre cantanti che hanno messo il loro corpo nelle canzoni e nell’immaginario. Partendo dal presupposto che le carriere di tutti questi nomi non è andata avanti in parallelo, perché, per dire, Paola Turci è sicuramente rimasta molto più spesso nel mainstream, ritengo che in un paese normale talenti come i loro verrebbero portati molto in alto. Da noi, invece, si tende a rincorrere i personaggi televisivi usa e getta, lasciando che il talento, quando c’è, o affoghi o per uscire debba faticare parecchio. Io son qui per provare a far saltare in aria questo meccanismo. Contro la Macchina, appunto.
Per chiudere: ma che musica ascolta Monina per puro piacere, mentre si strofina i riccioli sotto la doccia? E soprattutto qual’è il disco della sua vita, quello che si porterebbe anche se lo mandassero su Plutone a scrivere di fisica quantistica?
Eh, di musica ne ascolto tanta, anche varia. Da Jackson Browne ai già citati Husker Du, passando per Tom Waits, Marisa Monte, gli Stone Roses. Se però devo scegliere solo un album, allora direi Sign o’ the times di Prince, senza se e senza ma.
Però forse farei altro, mi porterei qualche giovane artista per farmi suonare qualche canzone live. Penso a una Chiara Dello Iacovo, alla già citata Alice Paba, a Chiara Vidonis, a Giulia Anania, a Ilaria Porceddu. C’è davvero l’imbarazzo della scelta. Scusa, manca la vera bomba, che ancora non ha tirato fuori il coniglio dal cilindro, Gabriella Martinelli.
Bella Miché, è stato piacevolissimo fare questa cosa con te. Stammi bene, continua a tifare il Grifo, non farti sparare da nessuno e, soprattutto, non lasciare quella santa di tua moglie per la Pausini. Ne soffrirei tantissimo. Un abbraccio.
Ci stavo seriamente pensando, ma se me lo chiedi tu, mi spiace per la Laurona nazionale, ma resto a casa. Abbracci e grazie della bella chiacchierata.