E qualche anno che conosco, almeno telefonicamente, Roberta Bonanno e nonostante abbia già avuto modo di intervistarla o di interagire con lei in alcune trasmissioni radiofoniche, non siamo mai riusciti ad incontrarci di persona. Non accade nemmeno adesso, quando in occasione del suo ritorno sulle scene con un nuovo singolo, una nuova produzione, nuove idee e scopriremo in quest’intervista proprio una nuova Roberta, mi ritrovo a chiacchierarci amabilmente ma nuovamente ahinoi al telefono. Ed è una telefonata lunga e simpatica, come quella tra due amici che vivono lontani e hanno tante cose da raccontarsi, tra una risata e l’altra, una confidenza non riportabile e l’altra e nel mezzo tanta storia che Roberta mi racconta per voi, senza peli sulla lingua, così come ce la ricordiamo nel talent che l’ha scoperta, ormai ben nove anni fa, partendo proprio dagli inizi, da come era prima di approdarvi.
Ero una normalissima ragazza di periferia, che amava la sua vita fatta di famiglia, amici, lavoretto nonostante frequentassi l’università di Lingue e Tecnologie della comunicazione e pure con un certo profitto. Benché fossi figlia unica ed i miei non mi facevano mancare nulla, io volevo proprio lavorare per potermi permettere sfizi che una ragazza di vent’anni vuole togliersi; trovai così un lavoro da cassiera in un grande centro mobili… svedese!
Ed in tutto questo vissuto, che posto trovava la musica?
Per me la musica è sempre stata due cose fondamentali: il divertimento e l’urgenza di comunicare. Unendo così le due cose ho iniziato a lavorarci su, esibendomi in localini con i classici piano bar, in cui devo ammettere che gli studi, di comunicazione appunto, mi hanno molto aiutata ad attirare l’attenzione. Sai quando canti in un posto dove la gente è in realtà lì a far altro, la prima cosa cui devi mirare è che ad un certo punto si giri verso di te.
E come si fa? Dacci nozioni base.
Devi innanzitutto ricordarti che non sei nella tua cameretta a cantare per te sulla cassettina del karaoke, ma che stai cantando appunto per altri. Poi costruendo scalette interessanti cantando cose che sai che puoi far tue, interpretarle a tuo modo e variare anche con lo stile, perché tra quella gente c’è chi ti apprezzerà se canti un brano black, chi invece se gli dai energia rock, chi se riesci a farlo ballare, fino a quello che vuole la melodia italiana. Così io passavo da A natural woman di Aretha Franklin ad I will survive di Gloria Gaynor, dal repertorio di Giorgia a You shook me all night long degli Ac/Dc.
Nel 2007 arriva Amici ed è la prima grande opportunità. Mi dai tre aggettivi per descriverla?
Per primo direi faticosa. Tanto, davvero, anche se da casa non sembra. Da li vedi il prodotto finito, ma noi davvero si faticava per ore ed ore. Poi direi proprio divisoria; uno sparti acque tra la Roberta e che ero prima e quella che sono diventata poi, non come persona ma sicuramente come cantante. Infine direi memorabile per due aspetti diversi e contrapposti: il primo è proprio quello delle serate live. Vedi noi eravamo in diretta all’epoca e sfido chiunque ad immaginare dove potesse arrivarmi il cuore quando partiva la sigla e stava per aprirsi il sipario e dovevi uscire ed iniziare. Qualcuno dice in gola, io rispondo no! Il cuore mi era al posto del cervello proprio. Il secondo aspetto è stato quello del convivere con gli altri ragazzi. Noi facemmo davvero squadra in casetta e le nostre serate, le risate, resteranno memorabili appunto per sempre.
Chi ricordi con maggior affetto dei tuoi compagni?
Con Pasqualino Maione mi sento telefonicamente moltissimo. Ci consigliamo, ci raccontiamo. Poi con Susy Fuccillo è rimasto un bellissimo rapporto. Sono anche stata al suo matrimonio. Anche con altri dell’altra squadra come Cassandra De Rosa e, nessuno se lo aspetterebbe mai, Marco Carta.
E’ vero! Ricordo che eravate sempre a battibeccare…
Si ma solo perché contrapposti. Come il programma è finito e non eravamo più perennemente l’uno contro l’altro, abbiamo capito, rincontrandoci, che non c’era nessun fondamento nella nostra rivalità e che in realtà ci volevamo bene.
Il tuo primo disco s’intitolava “Non ho più paura”. Certo è un’affermazione importante?
All’epoca fu scelto solo perché rappresentava bene le canzoni ed in particolare quello era il titolo di una di queste. Magari è un titolo che userei più oggi, per un disco del presente, perché all’epoca in realtà di paura ne avevo, eccome!
Alla produzione c’era un guru come Mario Lavezzi. Hai avuto modo di poterti confrontare con lui, oppure era già un po’ tutto preparato su di te, come si dice spesso dei dischi dei reduci dai talent?
Per quanto mi riguarda, e parlo quindi per esperienza personale, solo su di una cosa sono d’accordo con quel che si dice sui dischi dei reduci dai talent e cioè che si fanno in frettissima. Il tempo a disposizione per lavorare non è granché, quindi devi fare subito e bene in pochissimo tempo. Per il resto invece ti dico di no. Io sono stata messa in condizione di stare sempre non solo con Mario, ma anche con Fabrizio Palma, che seguì il progetto da vicino. Tutto è stato molto naturale. E poi lavorare con Lavezzi mi ha aperto le porte anche ad altre grandi firme oltre la sua, come Bungaro e Niccolò Fragile.
Da un mostro della musica a due mostri della comunicazione come Maurizio Costanzo ed Enrico Vaime attraverso l’esperienza teatrale Portamitanterose.it. Che differenza hai trovato tra l’essere sul palco come cantante ed invece quella di attrice di musical?
Notevole. La differenza iniziale è proprio tra il pubblico. Quando sei lì per cantare sei tu che devi catturare l’attenzione, ma il pubblico, se non tu non sia una grande star e quindi ha pagato un biglietto per te, non è lì esattamente per ascoltare te. Quando invece sei in teatro con una compagnia, è l’insieme che deve funzionare; non sono lì per vedere te nello specifico è vero, ma hanno però pagato un biglietto per vedere uno spettacolo e quindi ognuno deve impegnarsi al massimo per rendere giusta quella spesa. Inoltre il pubblico di teatro è più esigente perché di diversa età media e poi perché spesso è abbonato e quindi vede tantissimi spettacoli, anche di grandi attori. Ultimo, ma non da ultimo, ti trovi magari a recitare parti al fianco di una persona con cui magari non hai chissà che, rapporti fuori. Non è sempre facile e non dipende quindi solo da te.
Tra il 2010 ed il 2011 la tua musica si è spesso incontrata con la pubblicità. Com’è nato questo connubio?
Fortuna direi. L’inaspettato interesse per il brano che fu il primo ad essere utilizzato per uno spot, cioè Sorelle d’Italia fece iniziare i lavori ad un nuovo album. Poi l’agenzia di produzione aveva dei buoni legami con il mondo della pubblicità per cui alcune cover si prestarono facilmente alla cosa come quella di Mina Devi dirmi di si o quella che la gente crede sia di Bjork, cioè It’s oh so quiet ma che in realtà l’artista islandese ha già coverizzato di suo.
Com’ è che per le cover non hai paura del confronto con queste signore grandi della musica: Mina, Bjork, Franklin…?
Perché in realtà ho sempre ragionato per singola canzone. Difficilmente mi sentirai dire mi piace quel cantante piuttosto che quell’altro, perché in realtà mi piacciono le canzoni. Mi può piacere in linea di massima il modo di far musica di uno ma non condividere per nulla la scelta dell’ultimo brano su cui sta puntando, o non piacermi quasi mai un altro ed invece impazzire all’improvviso per un suo pezzo. Ragionando in questo modo non penso alla carriera dell’artista e quindi non mi sento in riverenza. Penso al pezzo. Lo so fare mio? Bene, lo faccio.
Finito il contratto con la Major hai iniziato i lavori con un’indipendente, la Rusty records…
In realtà con la major era solo il primo disco, Non ho più paura. Poi già il resto era con etichette indipendenti. Nomini la Rusty, ma in realtà poi con loro non ho potuto fare chissà che. Sono state altre le piccole etichette con cui ho davvero prodotto, come quella in cui sono adesso.
Prima di arrivare a parlarne, mi spieghi che differenza hai trovato tra il lavoro in una major ed un’indipendente?
L’indipendente lavora su di te e per me che sono un’egocentrica di natura, è una bellissima cosa. Hai sicuro meno porte aperte e te le devi aprire quasi esclusivamente con il lavoro, con quel che produci, però hai libertà ed allo stesso tempo dedizione al lavoro da parte di chi ti segue. Con una major sei solo un nome tra tanti. Di porte aperte ce ne sono di più, è vero, ma lo è anche che la maggior parte di queste viene occupata da grandi nomi, con cui tu non puoi confrontarti e che ovviamente preferiscono al posto tuo, sia perché garantiscono numeri, sia perché hanno investito di più nei loro lavori e devono quindi assicurarsi il ritorno.
Roberta ma come te lo immaginavi il mondo della musica prima di farne parte e come lo hai trovato una volta dentro?
Bella domanda davvero! Il mondo della musica è un po’ come un libro nuovo. Siamo sinceri: la maggior parte dei libri si acquista perché ti colpisce la copertina e quel po’ che c’è scritto dietro come sunto. Il mondo della musica attrae tanto perché da fuori è scintillante, sembra persino una cosa facile da affrontare, come se il fatto di saper cantare o suonare fosse sufficiente. Purtroppo o anche per fortuna non è così. Quando ci entri, soprattutto com’è accaduto a me che sono approdata subito in una major, quel libro è sempre affascinate ma quando lo apri, ti accorgi che ci sono scritti solo i primi due o tre capitoli. Per gli atri devi fare da te e quindi lavorare davvero duro.
Sei quindi delusa?
No. Credo solo che siano piuttosto le attese a rovinare tutto. Sia le tue ma ancor più quelle degli altri. Alla fine è un lavoro che è soggetto al giudizio del pubblico e non dipende solo da te. Non puoi sapere come il pubblico recepirà il tuo impegno, quindi le aspettative, qualunque esse siano, sono sempre sbagliate a priori.
Veniamo al tuo presente. Sei fuori con un nuovissimo singolo, “Ad un passo”, che come già segnalato su queste pagine, è un cambio radicale. Come ci sei arrivata?
Ci sono arrivata, come ti dicevo prima, anche grazie al lavoro della mia nuova etichetta, l’indipendente Advice music dove ho trovato davvero una libertà particolare. Non solo scrivo, ma mi trovo a collaborare con autori con cui chiacchiero, mi racconto e mi accorgo che dai miei racconti è nata una nuova canzone. E’ un’esperienza bellissima, perché hai tempo per veder nascere le tue cose e perché quel che nasce sono davvero io, una donna di trentuno anni con le sue esperienze, capace come in Ad un passo di raccontare anche che ha il semplice desiderio di un bacio, di sesso, che poi sia per un giorno solo o per la vita non importa, è la normalità dei fatti. E’ un’audacia che posso permettermi.
E’ un po’ quindi come segnalato nella recensione del singolo: Roberta canta finalmente qualcosa che rappresenta la sua età…
Infatti, sono stata contentissima di essere stata inquadrata nella maniera giusta. Quel che volevo arrivasse, è arrivato. Per questo ti dico che adesso davvero non ho più paura, perché adesso sono davvero me. Sono una donna nuova, sono una cantante nuova.
Sei quindi felice anche della gestazione di questo nuovo lavoro, cosa che spesso irrita gli artisti?
Eccome! Sono sempre in studio, felicissima. Discuto di tutto. Non mi permetto di metter bocca sugli arrangiamenti, però partecipo alla scelta, ai vari tentativi, a quel suono da metter piuttosto che quell’altro. E’ una vera libidine e mi sono resa conto che a me il lavoro di studio, in questi ultimi due anni, era proprio mancato.
In questi due anni allora qual è stata la cosa più bella e quella più brutta che ti sono accadute in carriera.
La più bella è stata approdare all’Advice Music dove non lo dico per piaggeria, ma mi è stata regalata questa nuova giovinezza musicale. La più brutta forse è stata vedere quanti numeri di telefono sono cambiati; quanti quelli che ti hanno incontrato e detto: “dobbiamo fare questo assieme”. Poi li richiamavi e non ti rispondevano più. Questa è sicuramente stata la cosa davvero brutta.
Sei in fase di lavorazione all’album. Quando pensi che possa veder la luce?
Se tutto procede come sembra, credo che per Settembre dovrebbe esser pronto. In realtà dobbiamo ancora decidere se fare altri singoli, se pubblicare un ep, oppure un album completo. Ci sono molti provini incisi da arrangiare ancora e talmente tante cose scritte e pensa che alcune devo ancora provinarle. E poi non manca l’idea di tentare Sanremo, che ho già provato due volte. Ho diversi brani, per non dire tutti quelli che fin qui ho registrato, che mi sembrano particolarmente adatti per tentare quella strada.
Chi vorresti scrivesse per te, aprire la posta elettronica e trovare una mail con scritto: “Ho pensato a questo brano per te”.
Il primo cui penso purtroppo è una persona con cui questo non può più avvenire ovvero Giancarlo Bigazzi. Ho conosciuto sua moglie Gianna, una persona eccezionale e sono entrata in contatto con tantissime cose scritte da lui che nemmeno sapevo fossero sue. Che meraviglia, che pezzi. Se dovessi dirti invece due nomi attuali il primo che ti direi è indubbiamente Tiziano Ferro, che per me è il miglior autore di questi ultimi anni.
Roberta cantare Tiziano è complicatissimo, perché molto personale…
Beh proprio per questo potrei davvero impegnarmi oltre modo. Sarebbe un onore.
Nessun altro comunque?
Ah certo! Come ho potuto dimenticare? Fabrizio Moro. Quanto mi piace!
C’è qualcosa che non ti ho chiesto in questa lunga chiacchierata (in cui Roberta ha i capelli bagnati dalla doccia da cui l’ho interrotta) che non ti ho chiesto?
Di non credere mai che esista la fine. La fine reale è una sola. Tutte quelle che capitano durante il percorso delle nostre vite non sono reali fini, ma solo nuovi inizi.