Intervista a Sabrina Salerno a cura di Fabio Fiume.
Chiariamo subito una cosa: per un giornalista che sul finire degli anni 80 aveva circa 10 anni, intervistare Sabrina Salerno significa intervistare un mito assoluto.
La cosa è ancora più esaltante se, la suddetta artista, accetta di essere intervistata senza un motivo promozionale, ma solo perché, avendo avuto l’occasione mediante il suo manager e mio amico, Luca Giudice, l’ho specificamente richiesta per una delle mie “interviste story”, quelle in cui permettere un vero e proprio racconto di una carriera e di vita attraverso la stessa.
Intervista a Sabrina Salerno
Ne è venuta fuori una chiacchierata assolutamente rilassata, piena di risate, di curiosità, di voglia da parte mia di conoscere e da parte sua di raccontarsi senza fretta e di dimostrare di essere una persona squisita, morbida, simpatica, tale che la prima cosa che mi viene in mente è perché lei non si ritenesse tale:..
In verità è merito, se lo vogliamo chiamare merito, del mio manager storico, che mi ha dipinta così in giro, resa irraggiungibile, portatrice un’arroganza che poi chi mi conosceva davvero, fortunatamente, non mi ha mai riconosciuto.
Sabrina sappi che non mi sono preparato nessuna domanda, voglio andare a braccio, basandomi su quel che conosco di te e permettendoti di raccontarmi, per la curiosità di chi ci legge, quel che non conosco, ti va?
Vai, ci sto!
Partiamo dalla tua infanzia vissuta a Sanremo: quanto vivere nella città della musica ha condizionato i tuoi sogni artistici da bambina?
Sai che non mi ero mai posta questa domanda? Sicuro il vivere a Sanremo era un po’ un sogno e quel periodo li, quello del Festival, la musica la respiravi proprio.
Però in realtà non credo mi abbia influenzata alla partenza, anche perché non ho iniziato con la musica.
Posso dire che in seguito, quando poi ho iniziato a muovere i primi passi nella discografia, arrivare su quel palco ha iniziato a stuzzicarmi davvero. In fin dei conti è il sogno per chiunque faccia musica.
Infatti nella tua vita, attraverso dei concorsi di moda e bellezza, è arrivata prima la televisione: eri giovanissima..
Giovanissima ed anche fortunata, perché sono entrata senza saperlo dalla porta principale in tv, lavorando con i grandi dello spettacolo senza sapere all’inizio nemmeno come muovermi, cosa fare.
Però con tali maestri non puoi non imparare in fretta e bene.
Johnny Dorelli, Andrea Giordana, Amanda Lear, Sandra & Raimondo… davvero hai lavorato con i migliori..
Però scordi Gino Landi. Lui è un regista strepitoso, lui è la televisione e mi ha dato insegnamenti impagabili. Non solo lui comunque e non solo i personaggi che hai indicato. Ci sono stati coreografi, maestranze, le migliori possibili.
D’altronde erano anni in cui l’allora Fininvest si stava affermando come alternativa televisiva potente e gli show di prima serata, i varietà, erano un fiore all’occhiello da curare in ogni minimo dettaglio.
Ricordi dei grandi professionisti che affiancavi?
Senza fare nomi, sai che alcuni non erano così generosi? Ho avuto il piacere di lavorare con chi si affezionava e ti riempiva di consigli e chi invece era di una cattiveria assurda dietro le quinte. Anche questa è esperienza.
Come è venuta fuori, già da allora, già da giovanissima, l’immagine da sex symbol?
L’ha dettata la mia insicurezza. Sai che esiste la teoria che quando ti senti fortemente insicura, per non far trasparire la cosa, fai esattamente l’opposto e cerchi di mostrarti addirittura aggressiva?
E’ così! Mi sono mostrata un leone per non avere paura di subire attacchi.
Nel 1986 c’è l’improvviso balzo nella musica, arriva Sexy Girl prodotta da Claudio Cecchetto. Ma come è accaduto questo passaggio?
Lo devo sempre alla tv. Quando sono approdata agli show di prima serata, mi si chiedeva di fare la showgirl, la soubrette; una figura che praticamente oggi non esiste più.
Oggi o fai la conduttrice o sei una valletta. All’epoca invece c’era questa figura artistica bellissima.
Di cui si sente anche la mancanza, diciamolo pure!
Ma sì, perché alla fine la showgirl cantava, ballava, faceva da spalla in momenti specifici, intratteneva in altri e venivano fuori le personalità ed anche delle specificità.
Torniamo alla domanda iniziale però?
Eh si! Anche questo lo devo ad un altro grande personaggio con cui ho lavorato: Augusto Martelli. Fu lui che mi faceva cantare, con cui facevo tutte le prove vocali.
E poiché io sono una che quando fa una cosa non si accontenta, dissi a me stessa ed anche a lui, che se dovevo cantare lo dovevo fare per bene, dovevo fare proprio un disco.
E cosa c’entra Claudio Cecchetto in questo?
Che lo scelsi io povero Claudio, lui mica se lo aspettava? Si vide solo arrivare sta matta all’improvviso! ( ride ndr )
No, non te la cavi, me la devi spiegare per bene!
Il mio manager mi presentò a Claudio. Andai nel suo ufficio, entrai e dissi semplicemente: “Io voglio fare un disco”!
Lui mi guardò e rispose: “ma se non so nemmeno come canti”? Ed allora io iniziai a cantare Wild Boys dei Duran Duran, li a cappella, con lui che mi guardava esterrefatto.
Noooo!
Ti giuro, è proprio così. Però la cosa, la mia caparbietà ed anche questa finta sfrontatezza che avevo, lo spinse ad accettare la sfida.
Disse che doveva trovare il brano adatto a me ed esattamente una settimana dopo ero in studio ad incidere Sexy Girl che è arrivata in classifica ed è stata sigla del Festivalbar.
Poi dopo un po’ di cose nell’estate del 1987, sempre sotto la produzione vigile di Claudio Cecchetto, esplodi letteralmente con Boys. Dimmi la verità: te lo aspettavi un simil successo?
Ma io credo non se l’aspettasse nemmeno Claudio! Certo sapevamo di avere un pezzo forte, trascinante, ma questo a volte non vuol dir nulla. Non hai idea di quante volte si è convinti di fare il botto e poi non succede nulla, quindi non puoi mai saperlo per davvero.
Numero uno in Francia e Svizzera, podio in Spagna, in Inghilterra ( cosa davvero impensabile ) ed ovviamente in Italia. Quanto credi abbia contato il video… come lo vogliamo definire? Birichino?
Ah tantissimo! Perché negarlo? Anche se, pure in questo caso, dare il merito al video che all’epoca fece scalpore e fu addirittura censurato in Uk…
Censurato?
Si si, fu censurato! Ma sai erano anni chiaramente molto diversi da questi.
Comunque la cosa non impedì il successo del brano pure li ed il ché testimonia quanto stavo per dire e cioè che lo strepitoso successo fu la mistura dei fattori.
Parliamoci chiaro: Boys è una canzone vincente per quanto semplicissima nella sua struttura. E’ allegra, riconoscibile, fa subito estate come la senti ed ancora oggi, a distanza di 33 anni, riempie le piste da ballo come parte. Non può essere certamente solo merito del video.
Una delle classifiche di quelle settimane recita: n°1 Who’s that girl – Madonna, n°2 I Just can’t stop loving you – Michael Jackson, n° 3 Boys – Sabrina. Che effetto fa pensarci oggi?
Felicità grandissima, anche perché io caratterialmente sono una che combatte, che cerca sempre il meglio. In quel momento essere in classifica sul podio con loro indubbiamente lo era.
Che ricordi hai, li hai conosciuti?
Purtroppo no. Michael l’ho sfiorato ma non sono riuscita a conoscerlo. In compenso ho conosciuto bene la sorella, Janet. In quegli anni ci siamo incontrate molte volte.
Di Madonna invece nutro una grande stima; lei non è solo un’artista, ma una manager assoluta di sé stessa. Mi spiace l’aver avuto occasione di lavorare col suo primo discografico Seymour Stein, che voleva lavorassi ad un album con lui ed invece il mio manager di allora, ecco che ritorna, non volle farmici lavorare.
E’ stato un lustro perfetto per te con una decina di brani che hanno contraddistinto la tua carriera in Italia e all’Estero. Sexy Girl, Boys, Hot Girl, My Chico, All Of Me, Like a Yo-Yo, Gringo, Yeah yeah, tra le altre, ti hanno portato ad oltre 22 milioni di copie vendute…
L’estate successiva a Boys, quella del 1988, ero addirittura simultaneamente in classifica con due brani, con My Chico che raggiunse il n° 1 e All Of Me, che incalzava poco dietro.
Non hai lavorato con Brey, ma All Of Me ti vide al lavoro con lo storico team di produzione Stock Aitken & Waterman che all’epoca dettava le leggi delle produzioni dance europee da Rick Astley a Kylie Minogue, passando per Mel & Kim, Samantha Fox, Jason Donovan, Mandy, e persino Donna Summer. Ma come ci sei arrivata?
Lavorare con loro in quel periodo fu una cosa proprio forte. Mi cercarono loro dopo il successo di Boys in Uk.
Come fu quell’esperienza?
Anche in quel caso il lavoro avrebbe dovuto proseguire per un album intero e sempre per lo stesso motivo invece la collaborazione terminò li, anche se però, almeno in quel caso, negli studi della loro Hit Factory, a lavorare ed incidere ci sono potuta andare.
Stock e Aitken erano due menti artistiche pazzesche, mentre Waterman era il cosiddetto business man del trio, quello che pensava più al lato degli affari. Pensa che nel suo ufficio aveva delle Ferrari.
Poi c’è stato il nostro grande Giorgio Moroder che ti ha prodotto Like a Yo-Yo…
Quella è una delle cose della mia carriera per cui ho molti rimpianti.
In che senso?
Perché stavo mutando. Volevo fare qualcosa che suonasse meno dance, virare verso un pop rock.
Ed invece?
Like A Yo-Yo era proprio quel che volevo. Ascoltai il provino e mi piacque subito, proprio per come era arrangiata.
Quando si trattò però d’inciderla mi arrivò un’altra cosa, quella che poi conoscete e che mi lasciava esattamente li dove stavo, non c’era quella mutazione che volevo. Era stata trasformata. Si voleva sostanzialmente che rimanessi dove stavo, sfruttare sicurezze acquisite.
Di tutti i pezzi famosissimi tuoi, che hanno trovato posto nelle classifiche di tutta Europa, c’è qualcuno che ti fu imposto che non avresti voluto realizzare?
La risposta non è Like a Yo-Yo, che nella sua iniziale natura, come detto, mi piaceva molto. Risponderei piuttosto Yeah Yeah forse proprio perché una sorta di brano di chiusura di un ciclo, una scelta easy, troppo easy in un momento in cui volevo fare altro.
Inizio anni 90, Sabrina cambia; torna in tv anche come intrattenitrice, inizia a cantare in italiano mentre alcune produzioni dance, arrivano in alcune chart europee ma non entrano più in quelle italiane. Il vento cambia e sembra che l’adattamento sia difficile?
Complicatissimo. Ammetto di averla vissuta proprio male, da farne quasi un tarlo.
Non accettavo di non essere più percepita come una cantante ma è stata un po’ anche colpa mia; il fare troppe cose diverse, il tornare in tv, recitare in alcuni film, ha disorientato il pubblico.
E poi i dischi in italiano, persino quello in cui ho lavorato col grande Massimo Riva, Maschio Dove Sei, non andò come speravamo. E poi c’è anche in questo caso un altro rimpianto, quello di non aver realizzato l’album con Nile Rodgers.
Nile Rodgers? Parliamo dello stesso Nile? Quello degli Chic, di Diana Ross e di tutti i grandi fino agli ultimi Daft Punk?
Si proprio lui. Lo contattai dopo aver fatto Sanremo perché volevo assolutamente lavorare con lui. Mi resta però il ricordo del suo assoluto si.
E ma scusa com’è che non se n’è fatto nulla?
Sempre il mio manager. Ero troppo giovane per impormi e ci ho messo un po’. Poi quel giorno è arrivato ma il vento era cambiato. E poi mica ho perso solo queste occasioni?
Quali altre?
Avevo un pezzo di Prince che ho inciso ma che non è mai uscito, un altro scritto dal produttore ( ed allora marito se non ricordo male ) di Cyndi Lauper…
Col senno di poi, credi che il vento sia cambiato con Siamo donne ed il Sanremo 91 fatto in coppia con Jo Squillo?
Se me lo avessi chiesto un po’ di anni fa ti avrei detto probabilmente di si. Oggi però ammetto che ho fatto pace con tutta quella situazione, soprattutto grazie alla canzone.
Siamo Donne è diventato evergreen, molto e più di altre canzoni che in quel festival andarono meglio di noi ( il brano arrivò tredicesimo e fino al n° 11 della classifica singoli ndr ).
Ma come nacque l’idea e davvero non volevi farlo?
Certo. Me lo avevano chiesto varie volte, ma io venivo dalla dance e Sanremo non c’entrava molto con la mia proposta. Poi arrivò Jo con quel brano e coincise con la mia voglia comunque di fare altro.
La prima risposta, quando me la fece ascoltare, fu: “ma sei impazzita? Andiamo a farci prendere per il beep, io e te che cantiamo oltre le gambe c’è di più”… Lei però ci credeva e mi fidai di lei. E poi, come dicevo, il tempo è stato galantuomo nei confronti di quel brano.
Cosa non funzionò del disco lavorato con l’entourage di Vasco?
Non saprei dirlo con esattezza. Massimo in particolare mi vedeva molto rock ed io ero ben felice di questa sua idea.
A volte penso che non sia stata data credibilità al progetto perché entrambi eravamo in quel periodo visti in altro modo. Io quella che provava a cambiare pelle e lui sempre un po’ come un vice Vasco, cosa che lo ha accompagnato sempre.
Ad un certo punto, ad inizio 2000, sei approdata in teatro. Anche qui lo hai fatto con dei grandi professionisti, sia alla regia che tra i colleghi.
Ed è stato subito amore. Credo sia una delle cose più belle che ho fatto nella mia carriera.
Ma se dovessi scegliere?
La musica resta sempre il grande amore, è chiaro. Però il pubblico del teatro sa essere molto più emozionante di quello di un concerto, pure se io ho fatto concerti finanche davanti a 40.000 persone, cosa per un teatro chiaramente impossibile.
Il perché è proprio nel girovagare: si crea un rapporto speciale ed immediato col pubblico ma la cosa varia da regione a regione, da città a città.
Una battuta che funziona a Napoli, magari passa inosservata a Milano e viceversa. Le comicità sono diverse e quindi anche il testo a cui partecipi, devi sapere che sarà percepito in maniera diversa, con delle emozioni diverse, lasciandoti carico di un’esperienza unica di volta in volta.
Sabrina negli anni più recenti sei tornata spesso alla musica ed a tour europei importanti. Spesso le nuove produzioni sono state delle cover, come con Call Me assieme alla tua antagonista degli ottanta Samantha Fox o come Ouragan di Stephanie di Monaco che ha riacceso in maniera strepitosa il tuo pubblico in Francia…
Più che quella canzone è stato un tour, Stars 80, a cui ho iniziato a partecipare pensa il giorno del mio 40isimo compleanno e da allora ripeto ogni anno.
E’ incredibile il successo che abbia questo progetto che ci ha portati in stadi pieni e grazie al quale ho rincontrato artisti che non vedevo da anni e con cui, viaggiando anche per mesi assieme, sono nate bellissime amicizie.
Chi hai rivisto con particolare piacere?
Jimmy Somerville è stato un incontro davvero bello, una ritrovarsi piacevolissimo. Non lo vedevo davvero da più di vent’anni. E poi con Liò, non so se la ricordi…
Certo; lei in Italia è famosa per un’unica grande hit. ( Amoreux Solitaire del 1981 ndr ).
Mentre invece in Francia è sempre rimasta popolarissima, non solo come cantante ma anche come attrice, presentatrice. La popolarità è rimasta costante.
Ecco, lei posso dirlo a gran voce che è una mia grande amica.
E per non farti mancare nulla c’è stato anche il lavoro con Rick Nowels ( produttore ed autore storico tra glia altri per Belinda Carlisle, The Corrs, Madonna, Kim Wilde e tanti altri )
Si, per Colour Me. Anche lui mi voleva per un disco completo. E’ stato molto carino con me davvero. Lavorare con lui è stata un’altra grandissima esperienza.
Quest’anno hai calcato il palco dell’Ariston in veste di co-conduttrice per due sere. Quanto tempo hai impiegato a dire si?
Nulla, subito. Quando mi ha chiamato Amadeus ho subito detto di si. Lui fu chiaro sul cosa voleva da me e per me non poteva che essere un’occasione di partecipare in maniera rilassata.
Inizialmente dovevo esserci solo per una serata. Quando poi mi ha informato che ci sarei stata per due sere sono stata ancor più felice. Ho fatto bene a farlo.
Ma come cantante, lo rifaresti?
Con una canzone giusta si. Forse non sarei così rilassata, ma assolutamente si.
Sabrina come chiedo alla fine delle mie interviste a tutti gli artisti, cosa vuoi dire ai nostri lettori, che non ti ho chiesto?
Nulla a dire il vero. Mi è piaciuta molto questa chiacchierata.
E allora te la faccio io l’ultima domanda. Ripensa a questi tuoi 35 anni di carriera, falli scorrere velocemente nella mente: mi dici quale è stato il momento più bello che hai vissuto?
Non ci crederai ma l’attimo esatto in cui ero quest’anno dietro il palco dell’Ariston, che stava per aprirsi. Quello ce l’ho proprio scolpito nella mente.
Foto di Alberto Buzzanca