In otto edizioni X Factor non ha particolarmente brillato nella ricerca di gruppi vocali da lanciare sul mercato. Le classifiche hanno prediletto gli interpreti solisti lanciati dal talent, ma due band in particolare sono riuscite comunque a costruirsi il loro spazio nella scena musicale. O meglio, ad ampliarlo.
Mi riferisco ai The Bastard Sons of Dioniso, i tre amici trentini, secondi classificati nella seconda edizione, riusciti negli anni a pubblicare cinque album quasi tutti da indipendenti, e agli Street Clerks.
Il quartetto fiorentino pop-folk formato da Alexander Woodbury (chitarra e voce), Valerio Fanciano (chitarra e voce), Cosimo Ravenni (contrabbasso e voce) e Francesco Giommi (batteria e voce),entrato nel cast della settima edizione, guidato da Simona Ventura, non è andato oltre la metà del programma, ma si è rivelato in breve tempo una delle scoperte più felici dello stesso.
Tanta gavetta, prima e dopo il talent, con un traguardo importante raggiunto: la partecipazione allo show di Alessandro Cattelan E poi c’è Cattelan, in cui li rivedremo anche quest’anno.
Tutte le esperienze live degli Street sono confluite in un album, intitolato Fuori, pubblicato proprio quest’oggi. Ecco cosa mi hanno raccontato sul progetto e non solo…
Avevo già avuto modo di intervistarvi e per me è un piacere risentirvi, questa volta per All Music Italia. Partiamo forse dalle cose più scontate, ma utili per capire il fulcro del progetto. Quando si incontrano gli Street Clerks e perché decidono di fare musica insieme?
Ci siamo formati nel 2007, inizialmente eravamo in tre poiché Francesco aveva un altro progetto. L’idea degli Street Clerks parte da Cosimo, che iniziando a suonare il contrabbasso ebbe l’idea di creare un gruppo rockabilly. Per i primi due anni abbiamo suonato rock and roll anni ’50 per locali e localini, anche in casa della gente, fra Emilia Romagna e Toscana. Poi con l’entrata di Francesco il genere si è evoluto, siamo andati verso i Beatles, i Beach Boys.
Essendo autori abbiamo poi voluto fare il salto da cover band a musica inedita e, anche se ci piacciono i suoni semi-acustici del folk e del rock and roll, la nostra scrittura è diventata man mano sempre più moderna. Abbiamo quindi pubblicato un primo EP, Il ritorno di Beethoven, che è molto piaciuto e da qui abbiam deciso di tentare l’avventura di X Factor.
Ormai ciò che c’è dietro i casting di X Factor è noto un po’ a tutti in giro per il web. Per questo motivo vi chiedo: siete stati contattati dagli autori o avete deciso spontaneamente di partecipare ai provini?
Abbiamo deciso spontaneamente. Ci è arrivata la notizia da uno studio di registrazione fiorentino, contattato dall’agenzia che si occupa dei casting di X Factor, alla ricerca di nuovi talenti, in particolare di gruppi. Dopo averne parlato un po’ assieme abbiamo deciso di tentare, inizialmente proprio per gioco. Non avevamo preso sul serio l’opportunità di diventare uno dei dodici finalisti del talent show; erroneamente pensavamo che il nostro progetto non sarebbe rientrato nei canoni del programma, anche se a dir la verità non lo avevamo seguito molto nelle precedenti edizioni.
Ci siamo buttati in questa avventura perché ormai da sei anni suonavamo insieme, eravamo pronti a qualsiasi esito. La nostra idea era arrivare ai provini davanti ai giudici, trasmessi in tv, così da ottenere quel pochino di visibilità che ci avrebbe fatto comodo.
…Poi arrivati agli home visit, quando sono stati svelati i giudici e avete scoperto che la vostra categoria sarebbe stata guidata da Simona Ventura, a mio parere avrete pensato: “Non entreremo”, mi sbaglio?
Abbiamo pensato “Andiamo a casa ma è stato bello arrivare fin qui!” (ridono). E invece no! A quanto pare abbiamo colpito anche lei. Fortunatamente all’ultimo casting c’era anche Boosta, tastierista dei Subsonica.
Questo secondo voi ha influito sulla scelta finale di Simona Ventura?
Assolutamente sì. Abbiamo visto che lui era molto convinto del nostro progetto, e convincente, Simona seguiva molto i suoi consigli, quindi grazie Boosta! (ridono)
Quando vi ho ascoltati in tv sono andato subito su YouTube a cercare qualcosa di vostro, perciò sapevo cosa aspettarmi dagli Street Clerks. Tuttavia a volte capita che all’interno del programma alcuni concorrenti vengano snaturati. Questo con voi non è successo…
Simona Ventura ci dava sempre carta bianca per l’arrangiamento delle basi, erano create totalmente da noi, questo quindi ha diminuito il gap che c’era fra come siamo realmente e come siamo apparsi. Era un contesto televisivo, quindi doveva esserci molta “televisione” in quello che facevamo, ad esempio le scenografie molto pompate. Bellissime eh, però ci riguardavano poco perché a noi bastano quattro strumenti, quella è la nostra “scenografia”.
Tra l’altro lì non avevamo neanche gli strumenti, sul palco ci limitavamo a cantare e “suonare in playback”, per questo motivo eravamo lontani dal nostro essere, però arrangiando le basi ci avvicinavamo a quello che era il nostro mondo. C’è stato un compromesso che non ci ha danneggiati più di tanto.
Proprio grazie ad X Factor Alessandro Cattelan vi ha notati, forse faceva un po’ il tifo per voi, tanto da scegliervi per il suo show “E poi c’è Cattelan”, in cui vi rivedremo presto…
Sì, siamo già a Milano a lavorare per il programma. Si parte il 29 gennaio, saranno in tutto 12 giovedì in onda sempre su Sky Uno. Siamo contenti che sia stato riconfermato, vuol dire che è andato bene.
Con Alessandro si è instaurato un buon rapporto già ad X Factor, avevamo lo stesso senso dell’umorismo. La cosa buffa è che durante il programma, non potendo suonare, non aveva capito musicalmente chi fossero gli Street Clerks. L’occasione è arrivata appena dopo la finale, durante la festa di fine produzione, in cui ci siamo esibiti.
Lui ci ha visti suonare lì e subito dopo il party ci mandò un sms con su scritto “Succederanno grandi cose“. Noi lo avevamo preso come un augurio per il futuro, invece poi ci ha chiamati per il programma. Dobbiamo ringraziarlo per tutta la vita!
Quindi dopo “Grazie Boosta”, “Grazie Cattelan”!
Esatto! Ma dovremmo ringraziare tante persone: Paola Folli, Samantha Iorio che dopo X Factor ci sta assistendo come management, Sony Music che ha deciso di distribuire il nostro album, Cosedimusica che si occupa del booking. Senza dimenticare chi ci ha seguiti in questi sette lunghissimi anni. Alla fine sono loro che ci hanno accompagnato sempre.
Avrete un nuovo ruolo nel programma o il vostro apporto sarà lo stesso della prima edizione (la band si occupava principalmente degli intermezzi musicali, ndr)?
Il lavoro sarà più o meno lo stesso ma cercheremo, per quanto possibile, di pubblicizzare gli inediti inclusi nell’album.
Parliamo finalmente dell’album. Si intitola “Fuori“, esce proprio oggi nei negozi di dischi e in digitale. L’ho già ascoltato, e pur non essendo un fruitore vicino al genere che voi fate, mi è piaciuto tantissimo.
Ascoltando in particolare il primo singolo estratto, “Fuori“, mi sono venuti in mente degli accostamenti musicali, forse un po’ scontati, ma senza dubbio i più immediati: Mumford & Sons, Of Monsters and Men, Sheppard, The Lumineers. Sono corrispondenze in cui vi riconoscete?
Sì, certo. È il filone a cui veniamo accostati e ci sentiamo parte di esso. Ciò che ci avvicina a questo genere sono le sonorità con cui nascono gli Street Clerks. Il rock di matrice anglosassone in primis, ma anche l’amore per le cose semplici, per il semi-acustico, la chitarra acustica, i suoni caldi come quelli del contrabbasso. Qualcosa che sta tornando in voga e si sente anche in altri generi, come la dance.
Nel brano che apre l’album, “Lungo i nostri sentieri“, c’è una frase che ho voluto sottolineare: “Potessimo far tutto come ieri, lontano dai pensieri“. Gli Street Clerks che approcciavano ai provini di X Factor sono gli stessi di oggi o son diversi? Vi chiedo questo perché in questi mesi avete avuto molte esperienze dal vivo nei contesti più disparati.
Sicuramente X Factor è un esame molto grosso, dal punto di vista personale e musicale. In quel momento hai paura ma allo stesso tempo sei eccitato. Adesso siamo più tranquilli, ci sentiamo più forti e sicuri dei nostri mezzi, anche più felici. L’uscita dell’album, la conferma nel programma di Cattelan, sono tutti segnali che non è stato solo un fuoco di paglia. L’energia che mettiamo nella nostra musica non è importante solo per noi, ma a quanto pare arriva anche ad altre persone.
Traccia dopo traccia mi sembra di capire che siano tre i temi cardine dell’album (a parte l’amore che a mio parere c’è sempre nel mondo della musica, anche quando non è descritto come mero romanticismo): la natura, il tempo e la libertà. Trattasi di una scelta stilistica precisa?
Abbiamo superato i 25 anni, ogni tanto capita di fare qualche riflessione, ecco perché nei testi vi è forte la presenza del tempo che passa. Per quanto riguarda la natura, possiamo rifarci al discorso già affrontato del genere e del ritorno alle sonorità acustiche. Si sente molto in questo periodo un ritorno agli strumenti classici, quindi ai suoni naturali, caldi, non solo nel folk.
Anche analizzando a livello globale ciò che sta succedendo nel mondo, crediamo che la gente abbia bisogno di sentire la Terra sotto i propri piedi, di conoscerla meglio. Ad esempio vi è lo sviluppo dell’ecosostenibile, tema a cui teniamo tanto. Forse tutta l’evoluzione tecnologica ci ha allontanati da ciò che realmente conta, dal legame che abbiamo con la natura, fatta delle cose più vere che possiamo toccare con mano.
Passando alla libertà, sempre riferendosi al testo di Fuori, si tratta più di una libertà personale conquistata durante la vita. Uscire dai propri schermi mentali, allontanarsi dalle proprie paure può aiutare a conoscersi e agire in base ai propri bisogni e sogni.
Dal punto di vista emotivo, ciò che mi rimane dall’ascolto di questo progetto è molta malinconia, il ricordo del passato ma allo stesso tempo la speranza di raggiungere ciò che si è perso e la preoccupazione di scoprire cosa c’è nel futuro. Insomma, detta in maniera spiccia: c’ho capito qualcosa o non c’ho capito niente di queste canzoni?
Valerio: Hai ragione in tutto. Io che ho scritto la maggior parte dei testi posso dirti che effettivamente c’è un tuffo nel passato, per capire da dove veniamo e dove vogliamo andare. Stiamo diventando grandi e da quello che creiamo ci accorgiamo che c’è qualcosa di molto profondo che proviene dalle esperienze vissute. Però più che la preoccupazione per il futuro c’è l’eccitazione di capire cosa ci succederà.
Lo stralcio testuale che più mi ha colpito del disco è questo, lo riporto ai lettori perché merita: “Mi hai levato l’armatura ed ero nudo tra le stelle / mi hai letto la paura dentro gli occhi e sulla pelle / ma sapevi che eri tu la mia lacrima più antica / la mia guerra millenaria, la mia ultima parola“.
Valerio: Tratto da Storie, che ho scritto sempre io. Parla della mia storia personale, di quello che mi è successo nei primi dieci anni della mia vita. Andare indietro con la memoria, tornare emotivamente su episodi che magari sono stati spiacevoli da vivere, ma con una nuova consapevolezza, ti dà una grande forza. Quando ho scritto la canzone per me è stato come dipingere un quadro. Ho capito di aver assimilato quanto accaduto.
Storie parla anche di una persona che, tra virgolette, mi ha salvato nei momenti di difficoltà e di bisogno. Questa canzone è anche un gesto di ringraziamento nei suoi confronti.
Vi è poi una traccia che già dal titolo si pone come una domanda, che rivolgo a voi: “A cosa serve una canzone“?
Valerio: Questa invece l’ho scritta in un momento in cui mi interrogavo sulla condizione dell’artista in questi tempi. Ora una canzone si può ascoltare dappertutto, in radio, tramite mille dispositivi. Viene da chiedere davvero a cosa serva una canzone, perché quando noi ne scriviamo una ci sembra la cosa più importante del mondo, siamo concentrati solo su quello, sappiamo descrivere il mondo solo in questa maniera. Però poi ti accorgi di quanto sia difficile creare la tua strada e la tua storia con questi mezzi.
A mio parere una canzone deve tirare fuori la verità, ciò che di vero c’è dentro di te, che poi magicamente diventa quel qualcosa di vero che c’è in tutte le altre persone. Quando dicevi prima che secondo te c’è sempre l’amore nella musica, sembra una cosa banale ma non lo è, perché l’amore è ciò che risuona dentro ogni persona, in ogni parte del mondo. Riuscire a mettere l’amore in una canzone corrisponde alla magia dell’arte e dell’artista.
Passiamo ora alle tre cover, “Here there and eveywhere” dei Beatles, “Liberi” di Lucio Dalla e “Hide and seek” di Imogen Heap. Se non avessi conosciuto le versioni originali non avrei immaginato fossero pezzi reinterpretati, perché li avete stravolti e fatti vostri, ed è importante. Specialmente il pezzo di Dalla, è tutt’altra cosa. Come siete arrivati alla scelta di questi brani?
Abbiamo tantissime cover nel nostro repertorio, ci è sempre piaciuto giocare a stravolgere pezzi, specialmente quelli lontani dal nostro genere. Per esempio dal vivo facciamo un medley dance… suonato però dal contrabbasso e altri strumenti acustici.
In ogni caso la scelta dei Beatles e Imogen Heap è stata abbastanza semplice perché la prima canzone è un omaggio al gruppo al quale ci ispiriamo da sempre, la seconda è anch’essa molto bella e affascinante. L’originale è un pezzo a cappella, con un vocoder, uno strumento elettrico che modifica la voce e la armonizza. Noi abbiamo provato a darne una nostra versione.
Liberi è stata l’ultima ad essere selezionata. Per la prima volta ci siamo trovati ad arrangiare un brano in italiano non nostro, e anche in questo caso trattasi di omaggio, a un grande artista italiano a quasi tre anni dalla sua scomparsa. Come già spiegato poi la tematica si sposa bene con il concept dell’album.
Chiudiamo con un giochino che facciamo a tutti gli intervistati. Si chiama il rompidisco che poi è il gioco della torre… dovete scegliere chi salvare e a chi rompere il disco fra queste sei coppie:
Beatles o Rolling Stones?
Noi siamo grandi fan dei Rolling Stones, sono fra i miti del rock, però per noi come scrittura i Beatles hanno fatto qualcosa di assoluto, hanno saputo esprimere tutto nel pop. Probabilmente se qualcuno è più rockettaro ed “incazzato” sceglierà i Rolling Stones, noi siamo più puri, più puliti, ci piace la melodia, lo studio delle note e i Beatles in questo sono stati i più grandi maestri.
Mumford & Sons o Of Monsters and Men?
Salviamo i Mumford. Siamo più vicini a loro, ci piace l’ambiente musicale che creano, anche solo con chitarra e voce. Con semplicità ti arriva un messaggio assoluto.
Fabrizio De Andrè o Francesco Guccini?
Beh… se dobbiamo dare una risposta unica De Andrè!
Francesco: Io salverei Guccini, è una cosa personale. Nonostante De Andrè obiettivamente abbia più influito su questo genere, ho basato mezza adolescenza sulla musica di Guccini, in particolare in prima e seconda superiore ascoltavo solo lui, ha un valore affettivo. Ho dei bellissimi ricordi a lui legati.
Modena City Ramblers o Bandabardò?
Salviamo la Bandabardò anche perché ci conosciamo! (ridono) Abitano vicino a noi, abbiamo suonato e condiviso palchi con loro, ci siamo più affezionati.
Morgan o Mika?
Abbastanza facile per come è andata ad X Factor visto che al ballottaggio siamo stati eliminati da Mika, che riteneva non fossimo per niente adatti a quel programma lì. Sul lato personale scegliamo Morgan però in realtà forse Mika aveva ragione, quindi premiamo anche la personalità di Mika. Si può andare al pareggio?
Francesco: Io ho ascoltato molto più i Bluvertigo di Grace Kelly, quindi salverei Morgan!
Alla fine siamo tutti d’accordo sul salvare Morgan. Se consideriamo la musica italiana è stato uno dei pochi a salvare il rock nel nostro paese, portandolo in alto negli anni ’90 con altri esponenti come i Subsonica, i Negrita, i Verdena. I Bluvertigo tra l’altro vinsero anche agli MTV European Music Awards, era un po’ il genere di punta.
Lorenzo Fragola o Madh?
Mi sa che preferiamo Madh perché ha fatto qualcosa di veramente originale. Si è esibito con generi che forse difficilmente ad X Factor sarebbero entrati, oltre ad avere una personalità molto interessante. Anche Lorenzo Fragola ha la sua sensibilità, ma è meno originale di Madh.