Arrivare al successo oggi, nel campo della musica, è davvero un enorme percorso ad ostacoli; se per un giovane è infatti vero che il mondo talent ha aperto alcune porte che possono regalare l’effimera notorietà, su cui provare a costruire una carriera concreta, la contrazione del mercato fisico ha distrutto le attese delle scommesse, le prove e gli errori da poter concedere ad un artista prima che questo si affermi, mentre l’ampliamento della fruizione musicale mediante i sistemi digitali o di streaming audio/video, fa invecchiare talmente in fretta i brani e gli artisti stessi che già ce n’è un altro pronto a prendere il posto loro. Come si combatte tutto questo? Con il sistema più vecchio del mondo: la gavetta.
Ne sa qualcosa Claudia Megrè, l’artista che oggi incontro per voi, e che, dopo oltre un lustro sul mercato, ma quasi venti on the road, sta raccogliendo finalmente le prime soddisfazioni che arrivano, guarda caso, anche queste da un circuito vecchio quale la radio. Eppure Claudia di anni ne ha solo ventinove, ma non avete letto male; è in giro per il mondo da quando ne aveva undici ed ha imparato a suonare il piano ad appena cinque anni e la chitarra a sette, tanto che mi viene da chiederle subito, tra grasse risate, se proprio le facessero schifo le bambole:
No che non mi facevano schifo, ci giocavo anche io. Però la creazione mi ha affascinato da subito, da quando la nostra vicina di pianerottolo, insegnante di piano, chiese ai miei se poteva farmi provare. Ed io, che sono una testarda e lo sono sempre stata, mi sono innamorata di quel suono, nonostante ricordi ancora oggi il dolore che provavo per allungare le mani e riuscire a suonare . Da li chiaramente è arrivato il solfeggio fino a quando un amore più forte è scoppiato per la chitarra!
E che hai fatto, hai tradito il piano?
No che non l’ho tradito. Ho continuato a studiarlo, ma mettendolo uno scalino più dietro. Difatti poiché mi piace essere obbiettiva con me stessa, non posso assolutamente ritenermi una pianista, mentre con la chitarra… Sai cosa? La chitarra è uno strumento più carnale. Se ci pensi bene già mentre la suoni la stai abbracciando.
Ed oggi da cosa parte il tuo lavoro di composizione?
Dipende da come sto e la cosa è quasi automatica. Se mi sento romantica, pensierosa, dolce, allora senza nemmeno che me ne accorga mi dirigo al piano e lì i pensieri diventano melodie. Se invece sono allegra, energica, con la voglia di spaccare il mondo, nulla mi viene più naturale che abbracciare la chitarra.
Non succede mai che un brano creato magari al piano e quindi più melodico diventi invece scatenato o viceversa?
Certo. Questa è la resa finale a cui per fortuna non lavoro solo io. E’ bello confrontarsi con la band, la produzione e anche accorgersi che a volte un testo che hai scritto rende meglio arrangiato in altro modo. Le linee che si combinano in maniera differente, fattori diversi che si sposano. La musica è meravigliosa per questo. Ognuno può leggerci ciò di cui ha bisogno, a seconda del momento che vive.
Sin da quando avevi 11 anni hai iniziato ad andare in giro con la band, passando per Castrocaro, vari premi in giro per lo stivale ed anche per The Voice of Italy dove però, da cantautrice, ti sei trovata in difficoltà perché non potevi cantare pezzi tuoi…
Ho davvero calcato tantissimi palchi ed in tantissimi modi; sono stata a suonare nei pub, nelle cantine, nei locali di qualsiasi rango, su palchi importanti e l’ho fatto con la band al completo, in acustico, sola con la chitarra. Sentivo che fare esperienze era importante e che questa gavetta, per quanto faticosa, mi rendeva viva e mi regalava momenti da raccontare nella vita e nelle mie canzoni. The Voice mi ha messo a dura prova, è vero, ma di quelle che ti fanno crescere. I pezzi assegnati per me rappresentavano un ostacolo da battere e partivo sempre analizzandone il testo, cercando di capire in che modo potesse appartenere anche a me. Portare i Pink Floyd e vedere tra gli altri un mostro del rock come Piero Pelù girarsi e complimentarsi non ha avuto pari. Difatti come coach scelsi lui che, va detto, non ha mai lesinato sui complimenti come autrice delle mie cose.
Quindi nonostante tu non sia arrivata in finale (per mano proprio sua tra l’altro), gli avevi già fatto sentire cose tue?
Ovvio. Quando inizi la fase dei live già ci si comporta come se si fosse tra i finalisti e quindi prepari l’inedito che poi canterai in semifinale e finale, nel caso ci arrivi. Io, in questo senso, sono stata fortunata, perché scrivendo di mio, non aspettavo che arrivasse il pezzo giusto, ma ne avevo già di pronti. Per questo Piero, a cui li avevo fatti ascoltare, sottolineava il fatto che gli piacesse la mia scrittura. E non poteva che onorarmi con questi complimenti.
Dal 2011 in poi sono iniziati ad uscire i tuoi pezzi; partendo dal primissimo “Dimmi che” , ti sei subito distinta per l’attenzione maniacale alla parte grafica dei progetti, con foto, scritte stilizzate, colori…
E’ una cosa che mi fa piacere si colga perché ci tengo molto. Credo che ogni canzone abbia la sua veste e che debba calzarle alla perfezione, anche nel colore scelto, nella grafica, nel tipo di immagine che devo avere nella foto. Già guardando una copertina devi intendere cosa ascolterai. Sono molto attenta e cocciuta in questo.
E’ la cocciutaggine che ti ha fatto anche collaborare con tanti artisti come Edoardo Bennato, Clementino, Guè Pequeno, Tony Maiello, Solis String Quartet etc?
No, il termine che userei per questo è determinazione; una determinazione educata però. Ho lasciato che la mia gavetta, le mie canzoni parlassero per me e mi presentassero a questi grandi nomi.
Eppure sono tutti artisti con un approccio completamente diverso alla musica!
E questo è il bello! Vedere che due signori del rap come Guè e Clementino, abbiano, ascoltando un mio brano, deciso di regalarmi delle loro liriche, di cantarle e di incastrarle alla perfezione nel pezzo donandogli una veste più urban, non può che onorarmi. Approcciarmi ad un grande del rock come Bennato ed in questo caso rifare assieme una sua canzone che sentivo molto mia oppure incontrarmi con un giovane artista che ha grandi capacità di scrittura come Tony, risultando più melodica, ti porta dove stavamo prima. La musica è meravigliosa perché con essa, se la rispetti, puoi essere sempre diversa.
Nel mezzo ti sei concessa anche un progetto importante per il penitenziario di Nisida. Che esperienza è stata?
Un’esperienza con la E maiuscola. Si è trattato di un progetto che univa non solo i reclusi, ma anche i giovani delle scuole. Ero con il rapper Lucariello in questo progetto. Li mi sono accorta di come la musica possa cambiare gli umori delle persone e di come ci sia tanta voglia di esprimersi con essa. Abbiamo anche scritto un pezzo per l’occasione.
Il 2012 è stato l’anno della svolta perché in radio sono approdati consecutivamente ben 3 pezzi tuoi: “Liù”, cover degli Alunni del Sole (rock), “Chi non s’arrende” con Guè Pequeno (pop & rap ), “E se questo fosse amor” (tango). Tre Claudie diverse in appena 12 mesi…
E’ frutto senz’altro della tanta musica che fagocito da sempre. Ascolto di tutto, tutto mi da stimolo. Credo sia normale quindi che riesca a dare intenzioni diverse alle mie cose. Liù ad esempio la amo molto; è stata un’intuizione geniale del mio produttore di allora Rosario Castagnola che mi è valsa l’entrata in alcuni importanti circuiti radio e soprattutto, cosa che mi ha riempito d’orgoglio, i complimenti degli Alunni del Sole.
E poi nel 2013 decidi di iscriverti al conservatorio. Come mai?
Perché sono pazza? Ho praticamente cestinato una quasi finita facoltà di Giurisprudenza. Mancavano pochissimi esami, ma io nulla! Mi ero messa in testa che volevo studiare al conservatorio, che era importante come musicista ed ho seguito il cuore.
E come fai?
Questa è la parte più faticosa perché non puoi permetterti di disertare granché le lezioni. Ad alcune devi proprio esserci. Diciamo che mi aiuta il fatto che diversamente da quel che si dice degli artisti, ed io sono veramente ancora nulla, vivo molto bene di giorno. Mi piace il sole e godo nell’occupare le mattine. Non mi piace sprecarle a dormire.
Posso dirti una cosa sincera? Stiamo parlando da 40 minuti e mi hai detto non so quante volte (molte non scritte) di essere ancora in gavetta, di sentirti la più piccola tra gli artisti. Claudia, ma ti sei resa conto che sei tra i 30 singoli italiani più suonati con “Tu non puoi”?
E con questo? Cosa ho fatto? Nulla! Ne ho ancora di strada da fare e l’affronto con la consapevolezza che mentre la percorro se ne materializza altra davanti a me. Non sono abituata a fermarmi. Ho sempre un altro traguardo da raggiungere.
Come dice però Tiziano Ferro: “E’ assurdo pensare che giunti a un traguardo, neanche ci arrivi, diventa un ricordo”…
Ha ragione anche Tiziano. Ma s’intenda non è che io non goda dei traguardi, ma è importante dopo un quell’attimo rimettersi zaino in spalla e ripartire.
Questo successo in radio come lo vivi? Che effetto fa ascoltarsi girando le stazioni?
I lettori ci crederanno se dico che mi emoziono? In realtà mi emoziono di tutto, sono molto ricettiva. In questo periodo, ad esempio, una delle cose che mi da più gioia è scoprire durante i live che la gente inizia a ricordare le mie canzoni, che canta “Chi non si arrende” piuttosto che “Tatuami” o “Un punto e poi a capo”. Non c’è cosa più bella.
“Tu non puoi” è il preludio ad un album completo?
A cui sto lavorando da un anno e mezzo e di cui sono già venuti fuori anche altri pezzi. E’ in realtà il mio vero primo album e ci stiamo lavorando meticolosamente.
Quando dovrebbe uscire?
In inverno? Dipende anche da alcune scelte promozionali e dalla scelta tra cose che abbiamo già provinato e cose che invece dobbiamo ancora registrare.
Dobbiamo? Con chi stai lavorando?
No, parlavo della mia band da cui non mi separo mai. Sono gli stessi che suonano live con me e li voglio anche nel disco, sono la mia forza ed insieme a loro mi viene ormai naturale lavorare, decidere.
Lasci intendere che hai scritto tantissimo?
Si è un periodo prolifico. Per questo devo ringraziare anche Giuseppe Di Tella che scrive assieme a me e la produzione di Nicolò Fragile che supervisiona il tutto senza troppa fretta, aiutandomi anche a scegliere tra i brani. Alcuni ad esempio hanno bisogno di più tempo e tornano nel cassetto, altri invece magari finiscono nel cestino.
In virtù di cosa adoperi questa decisione?
No, per carità! Per fortuna non tocca a me. Per me e credo anche per gli altri autori, le canzoni sono tutte come figli e tutte belle. Ho bisogno di chi mi dice: “Claudia questa è proprio brutta” e la mette via. A me al massimo succede il contrario, cioè di intuire quando un pezzo è particolarmente forte. Così è stato per Tatuami; sapevo che sarebbe andata bene.
Adesso sei impegnata con una serie di live, ma in studio per il disco quando ci vai?
Non me ne parlare! Il vero problema in questo periodo è andare in conservatorio. Ma tutto si fa. Con la passione si può.