Sono passati alcuni mesi dall’uscita dell’ultimo album di Irene Ghiotto Superfluo. Un disco libero, in cui l’istinto è il principale ingrediente. Un lavoro in cui è chiara l’autonomia con cui la cantautrice ha ponderato ogni scelta artistica.
Molti ricorderanno Irene Ghiotto per la sua partecipazione al Festival di Sanremo 2013 con il brano Baciami?, ma anche per la vittoria al Premio Bianca d’Aponte 2015 (ne abbiamo parlato Qui).
Abbiamo contattato Irene Ghiotto per parlare dell’album Superfluo e per una riflessione sul suo progetto musicale e non solo.
INTERVISTA A IRENE GHIOTTO SUPERFLUO
Qual è stato l’incipit che ha dato il via al lavoro per il nuovo album?
Ho innanzitutto messo nero su bianco le caratteristiche che avrei voluto che il disco possedesse: una possente struttura ritmica ma scarna quasi disumanizzata, dei riff di piano diretti e ferrosi, una chitarra elettrica asciutta e sincopata e soprattutto una sessione di ottoni usata come bordone, cappuccio, colla colorata e fiorita. Delineata la personalità del disco, ho proceduto nell’arrangiamento di brani che erano stati ‘provinati’ piano e voce e che possedevano già, in misure diverse, un impianto ironico, forzato, pungente.
Ascoltando “Superfluo” avverto una forte sensazione di libertà. Qual è la percentuale di istinto nella composizione dei tuoi brani?
L’istinto padroneggia su tutti i miei lavori. Però è un istinto guidato e forse mediato dall’esperienza di tutti gli istinti del passato, che sento convoglino in una forza creatrice moderata sulla scorta di tutti gli istinti, anche quelli fallimentari. Si modera, l’istinto, ma senza limitarsi. Crea confini che non sono però gabbie.
È corretto parlare di un concept album?
Non lo definirei un concept album. Non c’è un tema portante nei contenuti. Piuttosto c’è una personalità chiara, per quanto insolita.
Parlerei di Superfluo album.
La scelta dei suoni è davvero particolare e insolita. Da questo punto di vista quali sono i punti di contatto con il passato?
Il punto di contatto è l’approccio, ovvero l’autonomia decisionale con la quale mi sono mossa per portare alla luce i miei progetti, curando da capo a coda la realizzazione (anche nei casi in cui io abbia abbracciato le competenze dei collaboratori che si sono avvicendati).
Tra “Pop simpatico con venature tragiche” e “Superfluo” il legame più evidente è la ricerca nei testi. Com’è cambiato il tuo approccio alla scrittura negli anni?
L’approccio non è cambiato. Si è affinata/affilata la penna (credo). Ho ascoltato, letto, imparato e sperimentato. C’è più saggezza (forse?), sicuramente sono più vecchia. E questo mi sembra, in fondo, che mi avvantaggi.
Uno dei brani che meglio sintetizzano il lavoro è “Piccola Apocalisse”. Come è nato?
Sempre da un riff di chitarra, che mi dava un senso di accelerazione del battito cardiaco. Mi è sembrato di sentire il mio battito crescere, proprio come prima di un attacco d’ansia, il caro vecchio amico attacco d’ansia, che per qualche anno ha accompagnato i miei addormentamenti notturni. Il cervello mi si riempie di informazioni, immagini, preoccupazioni, fino a che molto lentamente ogni cassetto si chiude, ogni luce si spegne e le palpebre si distendono, costrette da dita invisibili. E allora accade il sonno, che mi porta via, non so dove.
Un pezzo degno di nota è “Preghiera per tutti”, che ha anticipato una sensazione molto evidente dopo ciò che abbiamo vissuto negli ultimi mesi…
Sì, è una preghiera laica generazionale. Tutte le preghiere, nei momenti di paura e vulnerabilità, funzionano da placebo per l’anima. La vita poi ci chiama a essere nel mondo quello che nelle nostre preghiere deleghiamo al caos, all’energia o a Dio. Dobbiamo rialzarci, disgiungere la mani e sollevarci da quelle ginocchia.
Anche “Gli ingegneri delle anime umane” può essere letto in una maniera più specifica in questo momento…
Gli ingegneri delle anime umane è la formula che veniva utilizzata nel regime sovietico per indicare gli scrittori o più in generale gli artisti. Posto che non credo affatto tutti i creativi siano artisti (perché l’arte è un valore sociale che deve essere riconosciuto – da pochi o da molti, nel presente o nel futuro), propongo #gliingegneridelleanimeumane come tag sostitutivo al #iolavoroconlamusica: la categoria ingegnere infatti non è storicamente escludibile dalla dignità della professione.
Che ricordo hai della tua esperienza al Festival di Sanremo?
Un ricordo lontano che comincia a prendere le tinte di una storia edulcorata, che racconto a me stessa, in cui alcuni dettagli spiacevoli sono omessi, poiché eliminati spontaneamente, e a essi subentrano fantasie, fascinazioni, gigantografie di dettagli che prendono il sopravvento. È come quando finisce un amore. Dopo qualche anno la memoria selettiva tiene in vita solo i ricordi piacevoli. Me la sono goduta da outsider, l’esperienza sanremese, quasi da fruitrice più che da partecipante. Ho visto salpare la nave ed ero contemporaneamente su di essa e sulla banchina. Salutavo una parte di me che se ne andava.
Che consiglio daresti a quella ragazza che nel 2013 si apprestava a salire sul palco dell’Ariston?
Scegliti i giusti collaboratori.
Stai già lavorando per il ritorno dal vivo?
Io e la musica dal vivo siamo giunti alle strette. Non so se ci lasceremo per sempre. Ma siamo a un punto di forte accanimento terapeutico. Il palco è sempre stato per me piacere e pena. L’allontanamento forzato dagli eventi mi ha mosso delle considerazioni non troppo languide sulla scena live dei piccoli e medi club – che è quella in cui mi muovo. Certo, mi manca parlare, vedere ed essere stimolata dal pubblico. Quello è un gesto insostituibile.