Intervista a Massimiliano Longo, direttore di All Music Italia, seconda parte. A cura di Fabio Fiume.
A distanza di qualche giorno dalla pubblicazione della prima parte dell’intervista che, follemente, ho deciso di fare al nostro direttore, ecco il continuo della nostra chiacchierata.
Nella seconda parte dell’intervista ci siamo staccati dall’argomento All Music Italia, almeno per il momento, e ho voluto conoscere, e farvi conoscere meglio come è nato il rapporto di Massimiliano Longo con la musica e con gli artisti con cui ha lavorato. Da Gianluca Grignani a Syria passando per Niccolò Agliardi.
La domanda che mi sono posto è: come si arriva a lavorare con grandi artisti e, in seguito, si trova un proprio posto alla luce in un mondo ricco di ombre come quello della musica?
Cominciamo questo viaggio scoprendo il Massimiliano Longo ascoltatore…
Intervista Massimiliano Longo seconda parte
Direttò, ma ti ricordi come è entrata la musica nella tua vita da ascoltatore?
Son sincero, non nasco in una famiglia che dava tanto peso alla musica. I miei la ascoltavano ma in famiglia non era considerata una cosa “necessaria”, mettiamola così.
Ho un nitido ricordo della musica legata ai viaggi in macchina per andare in vacanza sul Lago di Garda. Mio padre metteva sempre le stesse cassette miste dove partivano Adriano Celentano, il suo preferito, i Dik Dik, Camaleonti, gli Alunni del sole…
Ci sono delle immagini specifiche che lego ai ricordi d’infanzia. Per esempio rimasi letteralmente folgorato da Fiorella Mannoia che interpretava Margherita di Cocciante. E poi ricordo i Festival di Sanremo, ero attratto soprattutto dalle Nuove proposte. Ricordo perfettamente, per esempio, le vittoria di Mietta e di Laura Pausini, e il fatto che avevo scommesso con tutta la famiglia sulla loro vittoria.
E tua madre ascoltava musica?
Certo. Lei, da buona casertana, mi sparava con lo stereo, quello con i cassettoni giganteschi, la musica napoletana. Carmelo Zappulla, Nino D’Angelo e soprattutto… Mario Merola.
Mario è un evergreen. Lo scorso anno sono andato a vedere la classifica personale che Spotify realizza con i tuoi ascolti a fine anno e, tra un Blanco e un Marracash, mi sono ritrovato Merola.
Non capivo… Poi ho scoperto che mia madre aveva imparato a usare Google Nest per ascoltare musica con il mio Spotify.
In ogni caso, io quella musica lì, quella neomelodica, me la ricordo a memoria ancora adesso. E ricordo anche tutti i film, perché a quei tempi questi cantanti facevano un sacco di film. Tipo “Lo Zappattore“… non ti saprei nemmeno dire quante volte l’ho visto.
E quando andasti a cercare realmente la “tua” musica?
Ricordo che le prime cassette che comprai, rigorosamente originali perché ho sempre avuto un senso del rispetto per il lavoro altrui, furono Destinazione paradiso di Gianluca Grignani, La Donna, il sogno e il grande incubo degli 883.
E fu Grignani il primo artista a fulminarmi realmente. Lui è stato il mio Lucio Battisti.
Tu hai avuto un approccio con la musica che è stato quanto più vario possibile. Sei entrato come assistente di alcuni artisti, poi sei stato manager, produttore…
Aspetta, ti fermo. Io la gavetta l’ho fatta proprio tutta, lo ribadisco con fierezza: Io sono entrato nella musica come fan. Un fan che ci sapeva fare forse (ero il re dei backstage, riuscivo sempre a entrare), che poi ha iniziato a gestire dei fan club e questi, grazie ai risultati raggiunti con le persone scelte al mio fianco, sono diventati fan club ufficiali.
Da lì il passo a lavorare con gli artisti è stato breve.
Tengo a ribadire di essere partito come fan sfegatato perché credo che la particolarità con cui svolgo il mio lavoro sia dovuta anche a questo. Sono stato da tutte le parti della barricata: al di là della transenna come ascoltatore, oltre la transenna a lavorare ed ora di nuovo al di là della transenna ad ascoltare e documentare.
Mi incuriosisce il fatto che, nonostante siano dei lavori molto ambiti da chi si occupa di spettacolo, di musica in particolare, poi tu alcuni di questi lavori li hai spontaneamente abbandonati. Ora, sperando che tu non lasci anche All Music Italia, non è che a farti lasciare sia stato lo scoprire che gli artisti avevano anche una parte meno luccicante rispetto a quella che si vede?
Ne ero consapevole… Magari su alcuni artisti credevo, anche ascoltando i testi delle loro canzoni, che fossero maggiormente sensibili nei confronti degli altri, ma in realtà ho sempre tenuto a mente che un artista non è altro che un essere umano quando scende dal palco. Esseri umani che a volte, per una sorta di ipocrisia del pubblico, che li vorrebbe perfetti, sono costretti a mostrare solo una parte di sé, il che capirai che è innaturale.
C’è una frase che Grignani ripete spesso. Gianluca diceva sempre che l’artista non ha qualcosa in più degli altri, anzi, ha qualcosa in meno. Proprio per questo mentre le altre persone vanno al parco, si divertono, si rilassano etc… l’artista ha sempre questo impulso nel dover buttare fuori qualcosa, nel comunicare e cercare di farsi capire.
Ecco questa credo sia una grande verità.
E allora cosa ti ha fatto prendere altre strade?
Del sano egoismo. Vedi, quel tormento di cui parlavo sopra non appartiene secondo me solo agli artisti. Può far parte di chiunque di noi e di conseguenza cerchiamo il modo per buttare fuori quel dolore, quel senso di inadeguatezza, quel bisogno di comunicare.
Io da quando avevo dieci anni scrivevo poesie e stati d’animo; le feci leggere anche a Gianluca prima di iniziare a lavorarci. Non c’era nulla di artistico in quello che scrivevo, ma era la parte più nascosta della mia anima.
Quando ho capito che, lavorando con gli artisti, spesso non puoi essere così perché viene visto quasi come un voler essere protagonista in alcuni momenti, allora ho capito che non faceva per me.
Era un lavoro che, visti anche i risultati con All Music Italia quando hai iniziato a fare “da solo”, ti tarpava le ali insomma…
Esatto. Come assistente, se avevi un’idea, prima di riuscire a farti ascoltare dovevi rimanere ore con la mano alzata come a scuola; quando ci riuscivi e la ascoltavano, non era mai merito tuo, o quasi mai… A un certo momento ho sentito che il mio mantra lavorativo, l’impegnarmi non a brillare ma nel dare luce a una stella, forse era diventato troppo. Ero arrivato ad un punto in cui non avevo più ambizioni.
All Music Italia rappresenta la rinascita. Da quel momento nessuno mi ha più detto “non sei in grado“, “Non ce la farei“, “Non c’è futuro per te…” anzi, AMI mi ha permesso di ricevere anche più attestati di stima rispetto a quelli che forse merito.
Gianluca Grignani, Syria, Niccolò Agliardi sono gli artisti che hai seguito come assistente. Mi viene da chiederti una cosa su Agliardi… finissimo autore, musicista stimato da tutti nel settore, persona che ha fatto tutti i tipi di gavetta possibile, oggi autore per tanti nomi importanti… Ma, secondo te, cos’è mancato alla sua carriera perché esplodesse come artista di prima linea, di faccia?
Niccolò per me è un grande artista. La mia considerazione personale è che, nonostante ci abbia anche provato, in realtà non sia stato mai realmente interessato ad essere “in prima linea”.
Potrei sbagliare, ma ho quasi sempre avvertito la sensazione che lo facesse, ci provasse, più per dimostrare qualcosa a qualcuno che per quella reale “fame” che il lavoro di “artista in prima linea” richiede. Forse era un voler dimostrare qualcosa a se stesso figlio del rapporto complicato che molti di noi hanno avuto con la famiglia. ma, ripeto, è solo un mio pensiero
In ogni caso lui ha fatto tutto e lo ha fatto bene: i dischi, il lavoro di autore, il talent scout, il conduttore radiofonico e quello televisivo, le colonne sonore, lo scrittore. lo oggi lo avverto sereno, anzi felice. Ha trovato la sua dimensione e questo lo ha portato a ritagliarsi il ruolo che più gli accende la luce negli occhi, quello del padre. Un ruolo che ha raccontato nel libro Per un po’.
Personalmente mi piacerebbe che la faccia la potesse rimettere in Dimmi di te, il programma su come nascono le canzoni, che, oltre ad essere stato un programma di successo, era molto interessante. Se la Rai legge….
Vorrei un pregio e un difetto di alcuni degli artisti con cui hai Massimiliano Longo lavorato. Partiamo da Gianluca Grignani…
Il pregio di Gianluca lo racchiudo nella parola “sorprendente”. Musicalmente ma non solo.
Per la musica basta andare a vedere la sua discografia che, a mio avviso, ha nei primi quattro dischi di inediti, ma non solo, delle vette altissime. E sorprendente soprattutto come persona, nel bene e nel male. Gianluca è uno capace di gesti e parole, quando meno te lo aspetti, che ti curano l’anima.
Il difetto? È complicato ma quello che oggi, che non sono più un ragazzino, noto di più, ruota attorno alla parola: “Fiducia”. Credo che nella sua carriera, cominciata giovanissimo, Grignani abbia quasi sempre sbagliato le persone a cui affidarsi e quelle da ascoltare. Questo fattore ha influito molto in un percorso lavorativo già non facile, vista la sua irrequietezza.
Ci hai scritto anche un libro, Rockstar a metà, su di lui…
Sì, nel 2014. Sai che a volte me ne dimentico. Fu una cosa che mi venne chiesta dalla Chinaski Edizioni. Ho cercato di raccontare l’artista ma anche la persona e, al tempo stesso, il mio approccio nel lavorare con lui. Credo sia un libro particolare.
E su Syria, di cui tra l’altro ambisco da anni un’intervista story, che mi dici?
A parte che appoggio la causa perché sarei molto curioso di sentirti approfondire i vari incontri musicali della carriera di Cecilia come hai fatto con Noemi e Irene Grandi… Detto questo, per me in lei pregio e difetto combaciano. E si tratta dell’umiltà che, fidati, può anche essere un difetto.
La grande lucidità che Cecilia (Syria .ndr) ha sul peso da dare alle cose in questo ambiente è stata per me un grande insegnamento.
Per esempio, mi ha reso più distaccato, ma mai snob, verso certi meccanismi che rischiavano di influenzarmi, avendo io ho iniziato a fare questo lavoro nel periodo della nascita dei talent. Oggi li guardo senza esaltarli né denigrarli, cerco di andare oltre tutto questo.
L’umiltà di Cecilia la porta a studiare sempre, ad essere tanto curiosa, e questo mi ha spinto anche ad uscire qualche volta dalla mia comfort zone musicale per ascoltare mondi che ignoravo. Come del resto lei ha fatto anche in musica con il disco indie Un’altra me e con Ayris.
E come fa l’umiltà ad essere un difetto?
Lo diventa quando ti porta a riconoscere a pieno le tue qualità, quello che vali. Cecilia sta spesso un passo indietro per scelta. Eppure, secondo me, ha una delle voci più belle e riconoscibili del panorama italiano. Ma non solo, ha una capacità interpretativa rara… è una delle poche che ancora riesce a dare un peso specifico ad ogni parola che canta.
Ecco… Vorrei solo che si desse più meriti. I meriti non devono arrivare sempre dagli altri, anzi, a volte siamo noi a doverci fare una carezza.
Chiudiamo con Agliardi…
Non mi sento in grado… (ride .ndr). Siamo diversissimi, anche se credo simili nelle cose che contano. Forse è un po’ rigido nella visione di alcune cose. Per dire, lui è molto raffinato, elegante, preciso… Io il contrario. Quando ero suo assistente, mi ricordo che mi voleva caruccio, elegante, posato, vestito bene e con il cappelletto. Io ci ho anche provavo, ma alla fine mi sono arreso nel dirgli la verità, una cosa tipo: “Nicc, io non sono così, sono smandrappato, non potrò mai essere come te, e non sarei nemmeno credibile. Lassame fa’…”
Ci sarà una terza e ultima parte dell’intervista con Massimiliano Longo? Gli argomenti ci sono… dall’impegno dimostrato negli anni per gli emergenti a Milva passando per Area Sanremo. Fateci sapere se voi siete interessati a conoscere altro sul nostro direttore.