Esce oggi, 26 maggio, in esclusiva su Netflix Il Divin Codino, il film che racconta la leggenda calcistica di uno dei nostri più grandi campioni, Roberto Baggio. E se il brano portante della pellicola è stato firmato da Diodato (vedi qui), l’intera colonna sonora è a cura dell’autore e compositore Matteo Buzzanca.
Per l’occasione All Music Italia ha deciso di raggiungere Matteo per farsi raccontare questa nuova collaborazione col mondo del cinema.
Vi ricordiamo che il personaggio centrale del film, ovvero Roberto Baggio, è interpretato dall’attore Andrea Arcangeli, già noto per la partecipazione alla serie tv Romulus.
Nel cast troviamo anche Valentina Bellè, Antonio Zavatteri, Thomas Trabacchi e Andrea Pennacchi. A interpretare il personaggio di Carlo Mazzone, tecnico di Baggio al Brescia, è il noto attore comico Martufello.
Intervista a Matteo Buzzanca
Credi che il cinema sia un’occasione per un musicista di sperimentare più liberamente?
Certamente c’è una grande libertà, almeno sino a quando c’è fiducia da parte del regista, ma questa libertà rappresenta anche una responsabilità perché la musica può orientare la visione del film in una direzione piuttosto che un’altra.
Credo che il cinema consenta di abbracciare un orizzonte creativo molto ampio infatti l’autore di colonne sonore deve possedere una cultura musicale ricca che gli permetta di padroneggiare generi e tecniche compositive differenti.
Comporre per il cinema è un’esperienza che sento gratificante perché mi permette non solo di usare la mia conoscenza musicale in maniera profonda ma anche di uscire dalle zone di conforto per cercare nuove vie che mi permettano di evolvere come musicista.
Com’è stato tradurre l’immaginario legato a un personaggio reale e autentico ma allo stesso tempo circondato da un alone mitico come Roberto Baggio?
Il film tratteggia la parte più umana, più intima di Baggio ed è stata una scelta che ho apprezzato molto. Ho lavorato su diversi elementi; il misticismo che Baggio insegue attraverso la fede buddista, il senso di predestinazione che accompagna il giocatore sin dai suoi esordi e la semplicità di una storia di provincia con i suoi valori e le sue regole immutabili. Infine il tema della solitudine che ho trovato il più interessante da tradurre musicalmente, ho cercato di dare voce a quei conflitti che hanno reso Baggio un solitario, un calciatore vincente ma anche ai margini, con una forte carica spirituale.
Quali sono stati i tuoi maestri nello sviluppo della tua idea di musica per il cinema?
Potrei definirmi un esperto di musica per il cinema e credo sarei addirittura pronto per una puntata di “Lascia o Raddoppia” sul tema. A parte gli scherzi sono davvero tanti i maestri che ho amato e che sono stati fonte di ispirazione e di approfondimento.
Pensando al passato mi vengono in mente Bernard Hermann, Henry Mancini, Elmer Bernstein, Jerry Goldsmith, Vangelis, Thomas Newman, John Williams ed Ennio Morricone per il quale ho davvero nutrito un profondo amore sin da giovanissimo. A parte i grandi mi hanno sempre colpito gli autori la cui partitura nasce da un pensiero profondo, da una chiave concettuale che innesca l’intero discorso musicale. Si sente quando questo avviene. In tal senso tra i compositori meno noti vorrei citare Giovanni Venosta che scrisse una toccante colonna sonora per il film “Brucio nel vento” di Silvio Soldini. L’ho amata.
Per la colonna sonora de “Il Divin Codino” hai immaginato delle idee musicali prima di vedere il film o hai scritto tutto dopo dopo averlo visto?
Durante lo spoglio dello script con la regista Letizia Lamartire, molto consapevole dell’aspetto musicale, avevo già alcune idee. Tendo a fare un grande lavoro di concettualizzazione sulla base della sceneggiatura e sulla visione delle prime riprese. Spesso il montatore si aiuta con brani presi da colonne sonore preesistenti per darsi un ritmo nelle prime fasi di editing. Queste temporary track però creano affezione diventando vincolanti per il compositore che deve scrivere del nuovo materiale.
Ho evitato questo realizzando subito delle bozze così da consentire il lavoro di montaggio già sulla mie tracce musicali. Poi, a immagini montate, ho rimodellato le composizioni per trovare le corrispondenze definitive. La soundtrack è una sorta di sottotesto che viaggia sotteso al racconto visivo, agisce celatamente, è quindi importante definire in tempo i concetti che si vogliono decrittare.
Ci sono punti di contatto tra la composizione di musica per il cinema e la scrittura di canzoni pop o sono due mondi completamente diversi?
Credo che siano mondi molto differenti, soprattutto oggi in cui la forma canzone mainstream si è “urbanizzata” sempre di più e cavalca stereotipi omologanti. Il cinema offre grandi opportunità per un compositore, la pellicola è un terreno fertile per creare e dare vita a mondi e visioni diversissimi, stili e repertori lontani.
Nella canzone pop attuale è molto difficile che questo avvenga, pensiamo solo che negli ultimi dieci anni abbiamo ascoltato in quasi tutte le produzioni moderne il suono della stessa drum machine come elemento ritmico portante. E’ una forma di appiattimento. In una stessa colonna sonora invece possono co-esistere orchestrazioni ispirate al classicismo viennese, la musica elettronica, la musica etnica e l’Hip-Hop. Per un musicista tutto questo è fantastico.
Hai scritto canzoni di successo per tantissimi artisti. Com’è il rapporto con loro? Come riesci ad entrarci in contatto e scrivere qualcosa che gli stia bene addosso?
Nonostante abbia scritto molti brani per interpreti di successo nella maggior parte dei casi il mio è stato un rapporto a distanza. Non ho avuto molte opportunità di entrare in contatto con gli artisti che hanno cantato le mie canzoni. Sembrerà strano ma il mercato discografico funziona anche così. Un pò mi spiace ed è per questo che ora preferisco lavorare ai progetti di lancio di artisti giovani con i quali è possibile più facilmente instaurare un rapporto diretto. Insieme al mio team Daddy Joke ho appena finito di produrre il disco di Tish per Sony Music. Un lavoro che mi ha davvero appassionato. Lo sentirete presto.
Parlando di scrittura di canzoni, chi sono i tuoi riferimenti?
Mio padre è stato dal ’68 all’83 un discografico dell’RCA ed ogni giorno portava a casa almeno un paio di dischi nuovi. Ho vissuto quindi sommerso da migliaia di vinili. Trascorrevo le giornate intere sul giradischi o attaccato al walkman passando dai cantautori italiani (erano quasi tutti dell’RCA!) al pop inglese, al jazz, al rock sino al country degli Alabama, qualcuno li conosce? Erano anni in cui ho ingurgitato ogni cosa, forse per questo che non ho mai avuto un riferimento preciso ma una costellazione di affezioni.
Voglio ricordare però Franco Battiato che ci ha appena lasciati. Ascoltai per la prima volta a casa di un amico “Orizzonti perduti”, fu uno dei primi album italiani che acquistai in un negozio per conto mio. Rimasi affascinato dalla sinuosità delle sue melodie, erano temi che a differenza degli altri cantautori avevano una qualità strumentale unica.
Guardando alla storia della canzone italiana, qual è secondo te la “canzone perfetta”?
Domanda difficile e pericolosa, se facessi un nome farei torto a tutto un repertorio meraviglioso di brani. Il concetto di perfezione comunque lo sento estraneo ad un genere come la canzone che possiede a mio avviso una carica soggettiva che ha la capacità di conquistare ognuno di noi secondo meccanismi personali spesso arbitrari e per questo un pò meno perfetti.