Questo week end sono stata al mare. In realtà il mare l’ho visto solo dal finestrino del treno, le mie ali non gradiscono l’acqua e neanche la salsedine che le rende pesanti. Quel treno Intercity Milano-Viareggio, quel treno sul quale due bambine hanno giocato agli squali per due ore, saltando da un sedile all’altro al buio (agli squali piace la luce, così hanno anche chiuso le tende) per tutto il tratto da Genova fino a destinazione, mentre madri incuranti, continuavano a leggere sonnacchiose Novella 2000. Ho sfoderato il mio miglior sorriso finto sincero mentre riponevo in borsa il mio ebook da vecchia zitella incallita.
Sono finita, un po’ incoscientemente, al Carnevale di Viareggio dove le due bambine si sarebbero vestite una da pagliaccio e la seconda da clown (hanno tenuto a specificarlo ed io, testualmente, lo condivido con voi).
Ma che c’entra il carnevale con la musica? Più di quel che sembri… più dei carri dedicati a Freddy Mercury e John Lennon, delle opere gigantesche di carta pesta, davvero spettacolari per chi, come me, non aveva mai visto niente di simile.
Ma che c’entra la musica? Il Carnevale di Viareggio non è solo la celeberrima sfilata dei carri, il carnevale è soprattutto la festa che c’è nelle strade, la festa dei rioni, con bancarelle, palchi, spettacoli e musica. Ed è lì che senti il calore delle nostre tradizioni, il calore dei canti popolari che ti rimbombano in testa per giorni, così, anche dalla grigia Milano, ti ritrovi da solo a canticchiare “Vola coriandolo” e non sai neppure il perché.
In uno di questi rioni, mi sono ritrovata, quasi come una groupie, sotto il palco di una band che cantava le canzoni tipiche della festa che uno si aspetta di ascoltare brani alla “Romagna mia Romagna in fiore” mentre la gente, in un uno stato di euforia generale, balla scoordinata e fuori tempo la tarantella. Invece NO. Invece, mentre io ero assorta ad ascoltare i testi delle canzoni che alternavano discorsi sugli organi genitali maschili a quelli sui femminili, particolarmente distratta dai profondi pensieri generati, il frontman invita la gente a calarsi (non le braghe, per fortuna) e tutta la piazza di accovaccia, giovani e vecchi, ginocchia sane e ginocchia malandate, tutti giù e la musica carica carica carica e poi, con un balzo felino – almeno nell’intenzione – tutti su che, se il grado alcoolico è quello giusto, si parte di pogo e tu, malaugurato turista impreparato all’evento, ti ritrovi come una salamella – o salsiccia che di si voglia – schiacciata tra due Burlamacchi.
Ecco cosa manca a Milano, ma non solo a Milano. Ecco cosa manca nelle nostre città: manca la musica in strada, la musica come momento aggregativo e non come isolarsi dietro alle cuffiette del proprio lettorino mp3, fuori dal mondo, soli con la propria musica. Manca lo stare insieme, manca il saltare per il gusto di divertirsi anche con degli sconosciuti, di tutte le età. Manca quella musica che è l’evoluzione della cultura italiana, noi popolo di poeti che oggi mette in musica la propria arte perché possa stare sempre vicina alla gente.
Spero che presto la musica torni ad essere anche questo.
E non può esserci immagine più giusta del carro di Viareggio di John Lennon e le sue mani che chiedono aiuto.