Le polemiche sono finite e per fortuna si può tornare a parlare di canzoni.
Capita che ti viene data la possibilità di ascoltare il nuovo disco di Ermal Meta Non abbiamo armi, in uscita proprio oggi 9 febbraio, con qualche giorno di anticipo.
Sia chiaro, questa non è una recensione, dare voti o a raccontarvi se la cassa è in quattro non è propria roba mia, io faccio quello che ho fatto per tutta la vita, lavorativa e non, ascolto di pancia e petto. Per la canonica recensione di questo disco abbiate pazienza ancora qualche giorno e arriverà Fabio Fiume…
Tornando a noi, capita che questo famoso ascolto sia in uno studio di registrazione… tutti seduti con davanti l’autore e interprete di tutti i pezzi del disco… ecco, non c’è via d’uscita… lui con lo sguardo entusiasta come quello di qualcuno che può finalmente rivelare un segreto al mondo, e tu lì di fronte “nudo” perché, a meno che tu sia un ottimo attore, la faccia e gli occhi dicono tutto mentre ascolti la sua musica… tradiscono ogni emozione, positiva o negativa che sia e, nel mio caso, se una cosa non mi piace è impossibile celarlo, che l’artista mi piaccia o no poco conta.
La vera fortuna è Non abbiamo armi è un disco che ti spiazza. È, per citare un precedente album dello stesso Meta, un album Umano. Puoi ascoltarne la cura con cui è stato prodotto. I suoni, scelti con precisione chirurgica, e mai in modo “paraculo”, passatemi il termine. Puoi constatare quanto è bello quel Charlie in quel pezzo ma, alla fine, tutto questo è solo il vestito, mentre Non abbiamo armi è un disco nudo e colmo di verità. Un album che racconta la vita che si sa, può essere triste e felice allo stesso tempo.
E questa vita la racconta nell’attimo stesso in cui stai vivendo un momento determinate del tuo percorso umano, perché a volte solo scavandoti dentro, e scrivendo in quel preciso momento, potrai cogliere quelle emozioni nella loro cruda interezza. Farà male, ma non saranno mai più così nitide e vere.
È questo che rende eccezionale Non abbiamo armi… la capacità di cristallizzare le grandi emozioni risvegliando le emozioni del tuo vissuto, anche quelle più nascoste… e lo fa usando le parole giuste al momento giusto, tante parole diverse e ben incastrate tra di loro… che scrivere bei testi è quasi un lavoro metodico, come quello di un sarto, ma scrivere verità e renderle testi è tutt’altra storia…
“Questo disco è nato diverso dagli altri” afferma Ermal “è un album che mette insieme i miei precedenti lavori proiettandomi verso il futuro. È il terzo disco in tre anni ed è nato in movimento, grazie ai numerosi stimoli ricevuti in giro, conoscendo gente nuova e le loro storie. Quando sono in giro appunto tutto sul cellulare ovunque io sia, in viaggio sul furgone, in hotel… ecco qui…” ci mostra una serie di note vocali sul cellulare scorrendo il dito, una lista che sembra non aver fine… “queste sono tutte le canzoni che ho scritto negli ultimi cinque anni”.
“Io ho sempre il bisogno, l’urgenza di scrivere…” aggiunge “è come un’autoterapia costante con cui imparo a conoscermi meglio. Dopo che ho buttato giù un testo lo leggo ad alta voce, da solo, nella stanza, e mi accorgo di come le cose dette ad alta voce siano diverse. È che io oggi non ho paura a dire delle cose o di usare certe parole… non ho paura delle etichette musicali perché quello che conta è l’attitudine… del resto Johnny Cash faceva rock con una chitarra acustica. L’attitudine è quello che ti distingue.
Sui testi per me fu fondamentale un incontro con Mogol che lui probabilmente nemmeno ricorda… era il 2005 ed eravamo al Cet in attesa di andare a Sanremo con gli Ameba 4. Gli feci leggere un mio testo, lui lo lesse due volte. Ricordo che era una cosa super complicata, con mille schermi a proteggermi, una di quelle canzoni dove dici quel che vuoi dire ma ti proteggi allo stesso tempo. Lui mi disse – ok, ma cos’è che volevi dire? …E dillo! – fu illuminante, aveva ragione, bisogna dire le cose come le pensi, la musica deve essere a presa rapida, non banale, ma bella, diretta”.
“A questo giro ho pensato che la cosa più importante per me fosse la “nudità”… volevo mettermi a nudo completamente, perché non puoi ingannare la gente, le persone sono come un animale preistorico, sentono la puzza, sopratutto della “non verità”… da questo presupposto nasce Non abbiamo armi”.
E qui parte l’ascolto delle canzoni di questo disco…
Non mi avete fatto niente
Il primo brano è la canzone presentata a Sanremo con Fabrizio Moro, Non mi avete fatto niente. Un pezzo incalzante che unisce le verità di due cantautori tra i più ispirati del momento e le rende un’unica verità, una cruda realtà, il terrorismo, la paura che vogliono instillarci e il coraggio che riusciamo a trovare ogni giorno per continuare a vivere.
Le strofe sono un percorso geografico ed emotivo che portano al ritornello, un inciso che è quasi un mantra di speranza.
Qualcuno potrebbero pensare ad un pezzo che vuole giocare facile… ma può essere facile parlare di terrorismo in una canzone e, soprattutto, farlo senza cadere nella retorica?
Dall’alba al tramonto
Un’uptempo sulla fiducia che aspira a diventare singolo… “Sposteremo il mondo, insieme rotolando, solo se ti fidi di me…”.
Il cantato del brano è serrato, incisivo. La canzone era già pronta per il precedente disco, ma non era quello il suo posto. Oggi lo ha trovato.
9 primavere
Perla di un disco che di perle in realtà ne custodisce diverse.
Una ballad che fotografa un preciso momento di una storia d’amore, che è quello in cui capisci che non si torna indietro, e non per tua volontà.
“Sono solo lacrime e non è proprio niente di speciale, una per ogni passo fatto insieme…” e a me la lacrima qui, mentre ascolto, scende sul serio.
Non abbiamo armi
Una canzone scritta lo scorso anno con Angelica Schiatti dei Santa Margaret. Un brano di speranza che, in qualche modo, si collega e porta avanti in nuove direzioni e prospettive il discorso di Non mi avete fatto niente. Ermal canta con voce ariosa e la speranza si sente tutta… “non abbiamo armi contro il cambiamento… ma adesso tu mi puoi proteggere dentro ad un abbraccio”.
Io mi innamoro ancora
Parte il pezzo, arriva il primo inciso ed il discografico mancato che è in me non può fare a meno di pensare… “hit, singolo estivo… bomba!”
È una canzone tirata, ha ritmo e dopo un solo ascolto ti ritrovi già a canticchiare l’inciso:
“E alla mia macchina io gli voglio bene
E a questa vita io gli voglio bene
E alla mia squadra, anche se non vince mai….”
È stata scritta con Matteo Buzzanca e Domenico Calabrò.
Le Luci di Roma
Ballata d’amore. Ti riporta, dopo l’entusiasmo nato dal precedente pezzo, ad un certo stato d’animo e per questo ti spiazza. Eppure ti prende subito ed è un attimo che ti ritrovi tra le strade di Roma, così bella romantica e per questo quasi assassina, quando al tuo cuore manca qualcuno.
“Dimmi se c’è una ragione per correre ancora anche senza di te…”
Caro Antonello
È il brano che non ti aspetti con quel titolo che sembra quasi voglia estrometterti dal discorso e che poi, quando l’ascolti, invece ti accorgi di quanto in realtà Ermal ti ci ha portato dentro a questo pezzo. Seconda lacrima…
Il brano nasce dopo una telefonata di confidenze con Antonello Venditti, e da qui il titolo, perché in fondo Venditti con le sue canzoni d’amore perfette ci ha preso un po’ tutti per il culo, perché poi quando togli le cuffie ed esci di casa, quell’amore lì, così perfetto sembra non esistere.
Ermal la canta in modo soffuso, attaccato al microfono e lo rende in tutto e per tutto un brano intimo in cui le parole si appoggiano su di una bellissima melodia arrangiata alla perfezione al punto che, nonostante tu stia ascoltando gli stessi accordi che si ripetono, sembra che la canzone cambi in continuazione.
“Caro Antonello ti sto ascoltando ora e anche se mi uccidi ti voglio bene lo stesso…”
Il Vento della vita
Dopo le suggestioni dei precedenti due brani si torna ad una canzone ariosa, sulla carta decisamente radiofonica. Un inno alla vita e alla forza di lottare…
“Non ho perso tempo, ho preso vento…”
Amore alcolico
Uptempo dal testo decisamente ironico in cui Ermal si inventa anche un nuovo termine… “inammazzato” come antitesi ad innamorato. Un brano che, nonostante nasca da un momento drammatico, riesce a stemperarlo, a renderlo leggero… quasi sopportabile.
“Bere fa male, il fumo uccide… qui mai nessuno ti dirà che è peggio amare
Crea dipendenze pericolose, mi servirebbe un po’ di amore alcolico…”
Quello che ci resta
La canzone parte piano e voce, per poi aprirsi, così come si apre Ermal nel testo, mostrandosi in tutta la sua fragilità…
“Se ci fosse anche per me una carezza per ogni mio errore, avrei un cuore bellissimo sì, senza un graffio e senza nemmeno paure…”. Ci sono canzoni così intime che non andrebbero nemmeno raccontate.
Molto bene, molto male
Sul finire del disco, quando quasi ti sei abituato a questo ondeggiare tra ballate che ti schiaffeggiano (o accarezzano a seconda dei casi), e brani che ti scuotono con una risata o uno strattone, arriva un pezzo cattivo, rockeggiante, in cui la batteria la fa da padrona. E ancora una volta sei dentro a questo disco, incapace di uscirne, anche se volessi farlo…
“La tua pelle sarà il tuo scudo che avrai, un abbraccio sarà il posto in cui dormirai…”
Mi salvi chi può
È un’abitudine di Ermal già consolidata con le precedenti Schegge e Voce del verbo. I suoi dischi si chiudono sempre con una finestra su quello che verrà, sul prossimo disco che, in questo caso, è già tutto scritto.
Composta nel giorno di Natale, ancora una volta ti lascia esterrefatto, perché il percorso che ti sei fatto in testa ascoltando l’album non prende mai la direzione che ti aspetti, continua a deragliare finendo per stupirti continuamente.
In questo caso con un brano sinfonico, suggestivo, d’atmosfera, che ti porta in una dimensione sognante e poi, di colpo, ti risveglia all’improvviso, cambiando quasi anima. L’impressione che ho sentito addosso è quella di essere in “un sogno che fa parte del mio incubo” perché, come canta Ermal: “E mi sembra di rubare quando guardo negli occhi della gente, ma qualcosa manca sempre…”.
Questo brano è il canto del cigno del disco e in fondo ne riassume l’essenza, dopo aver attraversato l’inferno… “Mi salvi chi può perché da soli fa male…”
Ed è tutto vero. Tanto quanto è vero che canzoni così ci fanno sentire meno soli e forse, almeno a noi che le ascoltiamo, tutto questo dolore fa un po’ meno male. Perché Non abbiamo armi ma una dozzina di belle canzoni. E non è poco.
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