Morirò d’amore, morirò per te
Socchiudo gli occhi e le tue mani mi accarezzano
Quelle parole urlate poi dall’eco rimandate
Che dal cielo cantano.
L’ultima apparizione di Giuni Russo sul palco del Festival di Sanremo ha cambiato la mia vita. Avevo 14 anni allora, forse pochi per comprendere la grandezza della sua Arte, la profondità di quel brano. Morirò d’amore arriva solo settimo nella classifica finale, un affronto nei confronti di un capolavoro che con la sua controversa storia delinea a suo modo anche la carriera di Giuni.
Scritta alla fine degli anni Ottanta dalla stessa Giuni insieme alla fidata e amata Maria Antonietta Sisini e Vania Magelli, viene presentata a Sanremo nel 1989. Rifiutata. Stessa sorte qualche anno dopo, nel 1997, quando addirittura il provino viene giudicato stonato.
All’arrangiamento lavorano Franco Battiato e Roberto Colombo e nel 2002 Baudo le dà la “grazia”, facendola entrare nel cast dei Campioni. Lei sale sul palco già malata, ma fiera di cantare al pubblico anche la sua malattia, in un look iconico che in qualche modo impreziosiva l’aura di un brano che, a mio parere, rientra fra i più belli mai incisi in Italia.
La storia di Morirò d’amore, come già scritto, delinea con le sue controversie tutta la carriera di Giuni. Bistrattata più volte, fraintesa, costretta a scendere a compromessi, infine accantonata. Perché troppo brava, genuinamente anticonformista.
Fra le più innovative interpreti e cantautrici degli anni Ottanta, grazie soprattutto al connubio miracoloso con Battiato, dovette fare i conti con la le economie della discografia per far breccia nel pubblico, fino a legarsi a brani che non le rendevano giustizia. Nonostante ciò, e nonostante la natura essenzialmente frivola degli stessi, divenuti veri e propri cult grazie alla sua Voce. Inimitabile, indimenticabile.
Sto per scrivere un’affermazione molto forte: l’Italia non merita(va) Giuni Russo. Siamo un paese che si spende moltissimo nel piangere, anche ipocritamente, le vittime del mondo dello spettacolo, eppure di Giuni ci si dimentica spesso. A undici anni dalla morte, che cade proprio quest’oggi, secondo il mio parere non abbiamo ancora avuto la fortuna di assistere ad un tributo fatto come si deve. Come lei merita(va).
Forse abbiamo dimenticato, o più semplicemente non sappiamo, quanto Giuni abbia saputo dare alla discografia italiana. Morirò d’amore ha cambiato la mia vita, scrivevo, perché mi ha spinto, negli anni, ad approfondire la carriera di Giuni, ascoltando tutti i suoi album. Ho scoperto perle incastonate nel nostro bagaglio culturale, a partire dalla magnifica triade L’addio/Una vipera sarò/L’attesa presente nell’album Energie del 1981, passando per Post-moderno (Vox, 1983), Una sera molto strana e Keiko (Mediterranea, 1984), Illusione (Giuni, 1986), Anima pagana (Album, 1987) fino ad arrivare al capolavoro La sua figura, che non ha bisogno di parole, solo di un ascolto di cuore.
Giuni, mi manca la presenza della Tua figura.
L’estate appassisce silenziosa
Foglie dorate gocciolano giù
Apro le braccia al suo declinare stanco
E lascia la tua luce in me
Stelle cadenti incrociano i pensieri
I desideri scivolano giù
Mettimi come segno sul tuo cuore
Ho bisogno di te
Sai che la sofferenza d’amore non si cura
Se non con la presenza della sua figura
Baciami con la bocca dell’amore
Raccoglimi dalla terra come un fiore
Come un bambino stanco ora voglio riposare
E lascio la mia vita a te
Tu mi conosci non puoi dubitare
Fra mille affanni non sono andata via
Rimani qui al mio fianco sfiorandomi la mano
E lascio la mia vita a te
Sai che la sofferenza d’amore non si cura
Se non con la presenza della tua figura
Musica silenziosa è l’aurora
Solitudine che ristora e che innamora
Come un bambino stanco ora voglio riposare
E lascio la mia vita a te
Mi manca la presenza della sua figura