In Sala Stampa Lucio Dalla arriva Mirkoeilcane.
Il suo disco, Secondo me, esce il 9 febbraio ed è prodotto da Steve Lion (Depeche Mode, Cure).
Dal 4 maggio partirà il tour da Milano. Per ora sono fissate 5 date.
La tematica del vedere le cose con gli occhi di un bambino, come pensi si possa risolvere questo problema scottante?
Una soluzione non sono io a doverla trovare. Io faccio il cantautore, mi prendo la responsabilità di dire cose che gli altri non vogliono dire. Io mi comporto come credo, ma la soluzione non è compito mio trovarla. Non credo nemmeno esista. Stiamo parlando di persone che potrebbero essere parenti di ognuno di noi, forse la soluzione sarebbe iniziare da qui.
Hai pensato che ti hanno dato l’ultimo posto perché la gente non vuole sentire quello che canti perché fa male? O non ti è importato.
Mi è importato, ma sono fiducioso che quel risultato sia una parte di una vastità che ha capito. Gli altri hanno canzoni molto belle.
Tu parti con un flow alla Silvestri, per poi arrivare al calcio di rigore di De Gregori. Ti senti la responsabilità di portare la romanità?
Io mi prendo tutta la responsabilità del cantautore, mi prendo la responsabilità che si porta un trentunenne a Sanremo a portare queste cose. I due che hai citato sono tra i miei riferimenti musicali, ma anche di Fossati, Lucio Dalla. Mi piace avere la possibilità di proseguire la tradizione musicale romana.
Ti senti legato ad una figura come Giorgio Faletti?
Tutte le volte che me lo nominano, se avessi un cappello me lo toglierei per prostrarmi davanti a chi ha dato tanto a così tante arti. Mi piace l’accostamento. Il problema è che qui mi si dice in maniera carina e positiva, c’è invece pensa “eccone un altro”.
Il tuo nuovo album sarà tutto a scopo sociale?
L’album è incentrato sui problemi della nostra società. Si chiama Secondo me perché ho pensato di dire la mia su tutto ciò che non mi sta bene.
Com’è esibirti sul palco dell’Ariston senza chitarra?
È molto molto difficile, ma in questo brano la chitarra era l’ultimo dei protagonisti. Me la sono portata lo stesso, la saluto prima di uscire dall’albergo e l’abbraccio quando ritorno.
Mirkoeilcane la faccia sono io, ma contano anche i tre musicisti dietro di me.
Dopo l’esibizione entri in loop di ansia per la classifica?
No, assolutamente. Io ho finito di cantare Stiamo tutti bene, ho superato la tenda che separa il dietro palco dal palco e la classifica era l’ultimo dei miei pensieri. Era più importante capire perché non riuscissi più ad articolare le ginocchia per arrivare al divanetto.
Il tuo racconto è frutto di un’esperienza vissuta o della tua immaginazione?
La persona che mi ha raccontato questa storia è un ragazzo allegro e simpaticissimo che parla malissimo italiano, ma sta imparando. Ha un sorriso molto grande e ce l’aveva anche quando mi raccontava come stava seduto sulla barca. Io l’ho immaginato bambino. Lui si è seduto sul muretto per farmi vedere come stava messo sulla barca.
Sanremo è un trampolino di lancio o un traguardo raggiunto?
Mi sono detto che non dirò mai le parole: punto di arrivo, punto di lancio ed emozione grandissima. Essere qui a Sanremo lo riconosco verso me stesso e verso nessun altro. Mi metto da una parte e mi dico: “Trentun anni, i venti con una chitarra addosso sono serviti a qualcosa”.
La conferenza stampa viene interrotta perché Mirkoeilcane è stato convocato in Sala Roof per la consegna di un premio.