La notizia della scomparsa di Ernesto Assante mi ha lasciato malinconicamente esterrefatto… non ho altri termini per spiegare come mi sento alla notizia della dipartita di uno dei miei maestri.
Ernesto Assante era napoletano come me e la cosa non è un dettaglio, ve lo assicuro. Perché quando ti approcci ad un mestiere bellissimo ma anche insidioso, come il giornalismo musicale, che ti mette alla prova costantemente con te stesso, con il costruirti una credibilità, la prima cosa che fai è sempre cercare dentro casa chi prima di te ce l’ha fatta, capire come ha fatto, rubarne qualche segreto. Almeno questo è quel che ho fatto io.
E se la firma autorevole del quotidiano per eccellenza della mia città, Il Mattino, era ed è Federico Vacalebre da cui ho imparato leggendolo la sagacia, la critica costante alla strada facile del pop che, s’intenda, non significava minimamente popolare è stato uno dei miei punti di riferimento, così lo è stato, soprattutto nei primi tempi il collega Carmine Aymone, col suo essere sempre on the road. Osservandolo ho provato ad affinare le mie presentazioni.
In televisione invece uno degli esempi più validi di come si parlasse di musica per me è sempre stato Ernesto.
L’ho conosciuto, televisivamente parlando, che nemmeno ancora avevo intrapreso questo percorso, vedendolo in vari programmi musicali, spesso da lui scritti ed in qualche caso pure condotti. Poi ancora come firma autorevole della critica durante i Festival di Sanremo. La prima cosa che mi è arrivata del suo parlare di musica è stato incredibilmente il suo sorriso.
Era il critico che faceva simpatia, il cui sorriso gli prendeva tutto il volto e che aveva un’educazione anche nel porgere le critiche più severe, di non fartele mai arrivare come una bocciatura su tutta la linea e meno che mai come un’antipatia che a volte, devo dire, è presente nei rapporti fra artisti e giornalisti.
Quel suo modo l’ho fatto un po’ mio e ricordo con piacere che quando un artista in particolare, che non nominerò, mi disse che facevo questo lavoro con la gioia negli occhi, in quel preciso momento pensai proprio ad Ernesto Assante e al fatto che io questa cosa dettami, la vedevo in lui e da lui l’avevo forse rubata.
E poi l’ho conosciuto, pur incontrandolo non più di 4/5 volte in questi miei 17 anni nel mondo della musica, anche se, oltre la prima presentazione e poi cordialissimi saluti a larghi sorrisi, non siamo mai andati oltre 2 parole di rito in un paio d’occasioni.
E di questo faccio pubblica ammenda però, perché in realtà questo sono proprio io, che quando piombo in dei contesti, mi tengo sempre un po’ a distanza dagli agglomerati di persone, mi cerco il mio posticino sicuro, le persone con cui ho già un minimo di confidenza e li sto, quasi a non voler esser di fastidio.
Mi è bastato? No! Avrei voluto avere modo di chiacchierare tanto, di sentirlo parlare più che altro, come quando beccavo il programma che conduceva con Gino Castaldo e mi sembrava di sfogliare un’enciclopedia musicale. Mi han fatto conoscere dischi e carriere che ignoravo, anche per un fatto anagrafico. E magari, perché no, chiedere consiglio anche per la mia veste autorale, visto per quanti programmi è stato anche autore, o per la radio che ormai da diversi anni faccio anche io e che tante, tantissime volte lo ha visto protagonista.
Diceva qualcuno più saggio di me: “non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi” ed ecco, non avrei dovuto rimandare Ernesto. Avrei dovuto prendere quel tuo sorriso di saluto o la tua stretta di mano per fermarmi e partire da un “come si va“? “Ti è piaciuta la canzone di tizio o che ne pensi del concerto di caio”?
Avrei dovuto, avrei dovuto… come se non mi conoscessi e non sapessi che la prossima volta sarà uguale e starò sufficientemente lontano dai colleghi; solo che la prossima volta non ci sarai più tu e la tua faccia sorridente da cercare con lo sguardo.
Ciao Ernesto.