Con un post social, Il Cile – pseudonimo di Lorenzo Cilembrini – ha voluto condividere con i propri fan una pagina tanto fragile quanto dolorosa della sua vita. Il cantautore, chitarrista e compositore ha infatti raccontato del suo rapporto con l’alcool e di quella diagnosi che gli parve una liberazione: “lei ha una pancreatite acuta“.
“La prima volta che bevvi avevo quindici anni. Mi ricordo bene: notte di ferragosto sulla spiaggia del mare adriatico di Torrette di Fano e mezzo litro di ‘limoncé’ caldo, che vomitai dopo pochi minuti. Il giorno dopo promisi a me stesso che non avrei più bevuto. Non è andata esattamente così”.
Queste le prime parole de Il Cile, che ai social affida anche alcune riflessioni sulle possibili cause del suo alcolismo:
“Io credo che il motivo primario del mio alcolismo sia la timidezza mista all’insicurezza. Ho sempre usato gli alcolici per abbattere quella barriera di incapacità comunicativa e terrore del giudizio altrui che mi porto dentro dall’adolescenza. In più sono un alcolista atipico: sono un ‘binger’. Posso stare settimane senza bere, ma quando bevo posso andare avanti anche due giorni e continuativamente”.
Il racconto entra poi nei dettagli e Lorenzo condivide con il suo pubblico un episodio che lo ha particolarmente segnato:
“Due anni fa, in estate, ero a Garda con una ragazza che ha alimentato a dismisura il mio lato autodistruttivo. Poi a Gardaland, da quanto avevamo bevuto, ci addormentammo durante le torri gemelle (vi giuro è vero). Tornati in hotel continuammo, mentre lei sì limitò. Dopo cena finimmo in un bar dove il proprietario mi propose la sfida di bere un beverone gigante con praticamente una bottiglia di Jeagermaister dentro. Mi ricordo di essermi risvegliato in ospedale, mentre tentavo di strapparmi il catetere, con la dottoressa che intimava la ragazza alimentatrice della mia autodistruzione di bloccarmi, se avesse voluto ancora avere una vita sessuale con me”.
Si arriva dunque alla diagnosi e a quella pace che si sperimenta quando si è in grado di dare un nome a ciò che ci fa soffrire:
“Il referto fu: ‘pancreatite acuta’. Uscito di lì ressi tre mesi all’incirca da sobrio, poi ricominciai a bere quando e come volevo. Per due anni interi, con i soliti casini che ne conseguono professionalmente, nella sfera umana, in quella dei sentimenti e in quella della pace interiore. Nella vita in tutte le sue sfaccettature, insomma.
Sabato 31 agosto 2023 mi è stato detto che (se non voglio morire e, sebbene le mie canzoni spesso non ispirino euforia, vorrei ancora scriverne un po’) non dovrò più toccare alcool a vita. Ed anche se può sembrare stupido e surreale, quando il dottore mi spiegava tecnicamente di pancreas e cronicità, usando termini che mi rimandavano al mondo ospedaliero, io mi sentivo liberato da un peso enorme.
Perché scrivo qui queste cose? Perché vorrei spiegare ai ragazzi che ogni sostanza va immaginata come un elastico che fai allungare con il pollice e il polpastrello delle tue mani. Puoi tirarlo tanto, anche tutta la vita, ma potrebbe succedere che un pollice ed un polpastrello cedano e, più l’avrai tirato, più dolore sentirai nell’altra mano. Non abbiate paura di chiedere aiuto se vi sentite schiavi di qualunque sostanza. Siamo umani e, finché non siamo sottoterra, abbiamo diritto a stare il meglio possibile”.