Due giorni fa è uscito Blackstar, il nuovo disco d’inediti di David Bowie. Il sommo artista inglese ha scelto il giorno del proprio sessantanovesimo compleanno per licenziare il ventisettesimo album in studio di una monumentale carriera. Sciapò.
Sono curioso di vedere come si piazzerà la prossima settimana nell’italica classifica FIMI, al momento guidata da Adele, seguita da Mengoni e i Modà.
Se penso a un podio? No, anche se me lo auguro, sarebbe un bel segnale.
Il nuovo disco del duca ha qualità, spessore, una giusta miscela di mestiere e sperimentazione, più un pezzo assassino come Lazarus, il secondo singolo estratto.
Sette canzoni suggestive e spiazzanti che, già al primo ascolto, ti allontano oppure ti conquistano. Al solito il biondo ama far subito selezione all’ingresso.
Leggendo le recensioni dei miei colleghi in rete vedo che l’album sta dividendo la critica specializzata, e questo è sempre un bene. Piacere a tutti quanti, nel 99% dei casi significa essersi arresi all’arte accondiscendente. E Bowie questo non l’ha mai fatto, realizzando nella sua lunga carriera lavori più o meno ispirati, ma senza mai scendere a eccessivi compromessi.
Personalmente Blackstar mi è piaciuto. Non quanto il precedente Next Day – un’ autentica gemma, forse il miglior disco registrato da Bowie negli ultimi 20 anni – ma decisamente più di altri album considerati maggiormente significativi nella discografia dell’artista inglese. Ma poi, dai, che facciamo? Ci mettiamo a discutere Bowie? Noi italiani, poi? Noi che rispondiamo alle reunion dei Guns, ai dischi del Duca oppure al pop garbato di Adele proponendo ai primi posti della classifica gente imbarazzante?
Lo so, lo so, siamo su All Music Italia, e dobbiamo parlare anche di musica tricolore. E lo facciamo volentieri. A tale proposito mi stavo chiedendo: esiste, con le dovute proporzioni, un equivalente italiano di Bowie? C’è qualche artista nostrano, insomma, che possa esser paragonato all’uomo dagli occhi di diverso colore?
Il gioco è carino, lo facevamo sempre con gli amici del bar dopo il terzo giro di bevute. Volete un esempio?
Il Bob Dylan italico? De Gregori. No, cazzo dici, è De André. E giù bottigliate.
Il nostro Mick Jagger? Piero Pelù. Ciao vado a dormire!!!
Il Neil Young de noiartri? Omar Pedrini. Ma che fai, bestemmi? Rissa e sputi.
I Pink Floyd della prima repubblica? Gli Aerea del grande Demetrio Stratos. Rispettoso silenzio.
I nostri Clash? I CCCP. Bah, sporchi comunisti! Cosa sei di destra? Ti ammazzo!!! Altre bottigliate.
Lo Slim Shady del belpaese? Fabri Fibra. Bicchieri rotti e rutti a profusione.
Bob Marley all’amatriciana ne abbiamo? Certo, i dread di Alborosie. Qualcuno tira fuori le cartine. Serata finita.
Tenendo presente che si sta giocando, e facendo, lo ripeto, le dovute proporzioni, il passatempo può andare avanti all’infinito.
Ma con Bowie la cosa si fa più complicata. In Italia non c’è nessuno che neanche lontanamente lo ricordi… se vi viene in mente aiutatemi, io proprio non ci arrivo. Però con un pizzico di fantasia e miscelando un po’ di artisti diversi qualcosa viene fuori. Dai proviamo a creare il nostro Davide Bouiona.
Ecco la ricetta: un terzo di conoscenza musicale, predisposizione alla sperimentazione e cultura di Franco Battiato. Un altro terzo di immaginario cyber-rock con pizzicate glam e new wave di Alberto Camerini e Garbo. E l’ultimo terzo? Beh, probabilmente Morgan con i suoi Bluvertigo. Cristo santo, mi sa che più che il Bowie italiano ho creato una mostruosa entità che medita ascoltando canti gregoriani, si trucca il viso e sfumazzando crack di pessima qualità mastica catanese con inflessioni bergamasche.
Missione fallita. Ma questo piccolo esperimento qualcosa ci ha insegnato. L’arte, quella pura, è difficilmente riproducibile. Certi personaggi sono talmente unici che corrono solo contro se stessi. E viva Dio che sia così.
Buon sessantanovesimo compleanno Mr David Bowie.