Primo maggio: Taranto, cuore e coraggio!
Cronaca di un concerto.
È il primo maggio e, come accade da quasi 70 anni per ogni primo maggio, l’Italia è in festa: molti non capiscono bene il significato della giornata, forse sfugge il ricordo di una vecchia storia di gloria italiana, oppure è difficile trovare l’entusiasmo e la comprensione di una simile ricorrenza, se ad esempio il lavoro l’hai perso o ti è stato negato, perché al colloquio è emerso che “sei una persona troppo qualificata per avere il posto, ma complimenti per l’eccellente curriculum!”
Ad ogni modo, permettetemi di raccontarVi il mio primo maggio.
Bicchierone di latte di soja, giro largo per passare a prendere i compagni di viaggio e alle ore 12, mi trovo già in macchina, esattamente sulla Lecce-Brindisi, per raggiungere il luogo dell’evento, nel Parco archeologico delle Mura Greche, alle spalle della Concattedrale di Taranto. Il cielo non è granché misericordioso e ritiene che la mia macchina abbia bisogno di un servizio lavaggio di lusso: piove e piove, tant’è vero che tra un disco di Jeff Buckley e l’altro di Levante, ho già raggiunto la città, il parcheggio e… “ma riusciranno a fare il concerto oggi, con ‘sto tempo sciagurato?”
Sì, ed è un gran sollievo. Anche se alle 14:30, quando Caparezza apre le danze, comincia a sbucare fuori qualche piccolo guaio tecnico, quasi certamente provocato dall’acquazzone, che a dispetto dei pessimisti, da almeno tre quarti d’ora finalmente, ha smesso di tormentare la terra, già fanghiglia sotto le scarpe che affondano fino ai lacci. Ma a tutti i ragazzi che sono qui con me (sono già tantissimi), beh, non frega proprio un accidenti a dire il vero: un’attesa molto spessa si è cristallizzata, per poi frantumarsi in fragore e salti nel pantano, con il Capa che assicura al microfono: la fine di questa terra sotto le suole e della nostra Terra, nonostante tutti i manrovesci inflittile dall’uomo, con le sue deiezioni chimiche e tutto lo schifo rimesso nel cielo dalle canne fumarie delle industrie… “La fine di Gaia non arriverà“, e così nemmeno di Taranto, che certamente dei manrovesci di cui sopra, ha ahimè piena cognizione.
Ogni tanto il sole fa copolino fra le nuvole, dimodoché prima metti la felpa, poi ti svesti, poi la rimetti ancora: e il palco fa da specchio, vive anch’esso una balzana alternanza di stati d’animo. Alle mie spalle crescono le voci indistinte, i piedi che lavorano nel fango e le mani, pronte ad applaudire alle belle canzoni, certo, ma anche alle meno belle, ed è più che giusto, perché stiamo ascoltando artisti emergenti, che stanno vivendo un’ esperienza senza eguali, che si stanno donando con entusiasmo, nonostante la strizza di avere di fronte agli occhi migliaia e migliaia di ascoltatori, e non v’è dubbio che avranno speso chissà quante ore e quanto di sé nel preparare quel live di un quarto d’ora appena per ciascuno.
E quando il cuore si accorda sulle note della commozione, ascolti quelle mani diventare di un numero incalcolabile, te le immagini più grandi, più dense. Ed è perché si muovono con verità e con compartecipazione: tra le persone che intervengono sul palco – oltre ai quattro presentatori naturalmente, Michele Riondino, Luca Barbarossa, Valentina Petrini e Andrea Rivera – vi voglio parlare di Tina De Raffaele, malata di tumore e fondatrice della pagina FB “Crotone ci mette la faccia”, che in pochissimo tempo ha raggiunto quasi i 20mila Like.
La foto che Vi mostro è quella di Tina, foto che ha dato inizio a una lunghissima catena di altri scatti di denuncia lì pubblicati, i cui protagonisti sono persone che in maniera diretta o indiretta, si son trovati ad affrontare la terribile malattia. E han deciso di metterci la faccia, perché purtroppo non soltanto a Taranto, l’inquinamento ambientale e in definitiva, la mafia e i collusi stanno mietendo vittime innocenti e sempre più giovani.
Il sole è tramontato, mentre la Petrini ci informa che nel parco archeologico siamo ora in 100mila anime (e io voltandomi indietro, un’idea me l’ero fatta!): il pomeriggio è stato pieno, con qualche intervento comico anche dello stesso Rivera, davvero molto bravo con la sua verve a spezzare la serietà dell’evento, molto tangibile in alcuni momenti. C’è stato spazio anche per ascoltare un saluto telefonico di Gino Strada e per leggere due sms di adesione al concertone e al suo tema, “Sì ai diritti, NO ai ricatti. Futuro? …ma quale futuro?!”: uno è da parte dell’attore Elio Germano, il quale seguiva l’evento da Parigi attraverso il web streaming di jo.tv; l’altro del cantautore Alessandro Mannarino.
E sotto al palco siamo tutti pronti ad accogliere la fase clou della giornata.
Mentre Michele Santoro annuncia nell’aprire il suo “Servizio Pubblico” su LA7, che il vero Concerto del Primo Maggio sta accadendo in Puglia e non in Piazza San Giovanni a Roma, la nostra energia, che cresce dal basso scivolando su per i nostri indumenti imbrattati di terra, sta per materializzarsi: si condensa con Diodato (tarantino d’adozione) e la splendida donna della musica, Fiorella Mannoia – che conquista il pubblico, interpretando “Io non ho paura“, “Sally“, “Il cielo d’Irlanda” e l’immancabile “Quello che le donne non dicono“– per poi deflagrare con Vinicio Capossela che, accompagnato dalla Banda della Posta, esegue tra le altre, il pezzo “Uomo vivo (inno alla gioia)” con l’amico Roy Paci alla tromba, scatenando il pogo e il conseguente capitombolo di una fila intera di transenne, aggiustata poi per come possibile dalla protezione civile.
E’ una gran serata, non mancano all’appello, in ordine sparso, la gran voce di Paola Turci, Filippo Graziani, il rapper di casa Fido Guido, Après La Classe, 99 Posse, le grintosissime Mama Marjas, accompagnate dallo storico dj e produttore della scena reggae italiana Don Ciccio, Sud Sound System, Tre Allegri Ragazzi Morti e dulcis in fundo, gli attesissimi Afterhours, che, giunti sul palco quando è ormai l’una del mattino, hanno accompagnato il gran pubblico – mantenutosi coeso e numerosissimo benché provato dalle dieci ore in piedi ininterrotte – sulle battute conclusive del monumentale live di Taranto.
Tanto sporco quanto appagato – e per comprendere la misura della sozzeria in cui vertevo, Vi dico soltanto che, per non sporcare la tappezzeria della macchina, al ritorno ho dovuto guidare scalzo e con i calzoni arrotolati fino alle ginocchia – coi miei amici, muovo nuovamente verso Lecce e, tra una stazione di servizio e l’altra, penso di aver assistito davvero a qualcosa di unico e di aver raccolto un’emozione indelebile dentro di me.
Non saprei dire quale potrebbe essere la chiusura più giusta al mio racconto, ma vado per la via della semplicità, che è un passe-partout: perciò ringrazio Voi che avete letto il pezzo e la città di Taranto, in particolare il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, per aver permesso con grande impegno, che accadesse tutto quanto. Aggiungo un mio augurio, che è personale e al contempo di tutto lo Staff di All Music Italia: città come Taranto, Crotone, Caserta e le cosiddette Terre dei fuochi tutte, anche quelle non ancora accertate o delle quali i media non parlano, possano risollevarsi, in ogni senso e unitamente alle situazioni in cui vertono lavoro e la salvaguardia della salute in Italia: “lavoro” e “salute”, due parole che dovrebbero rappresentare non un problema, bensì diritti sacrosanti, secondo quella Costituzione che tante volte, proprio sul palco del Concerto di Taranto, è stata chiamata in causa. Passo e chiudo, alla prossima!