Come una favola, Raf è tornato nel cuore del sud con quasi tre ore di musica, tra emozioni e tante storie, alcune personali e altre collettive, che il cantautore pugliese ha condiviso e cantato ieri a Palermo, in occasione del Sono Io Tour 2015.
Come una favola è anche il titolo del brano portato all’ultimo Festival di Sanremo, un po’ bistrattato dagli improvvisi problemi di salute dell’artista, ma lodato e premiato da pubblico e radio, facendo di esso uno dei brani più programmati in radio subito dopo la fine della kermesse musicale. E come una favola l’Italia è tornata a godere (e a cantare) della raffinata arte musicale di Raffaele Riefoli, lontano dagli studi di registrazione per troppo tempo.
L’ultimo album in studio, Numeri, aveva visto la luce ben quattro anni prima, tra concerti, esperimenti elettropop e collaborazioni sparse, Raf non si è mai realmente fermato, ma per una firma come la sua che ha attraversato, segnato e inciso le ultime tre decadi della nostra cultura popolare, ogni nuovo album si trasforma in una grande attesa.
Un evento discografico a tutti gli effetti, che quest’anno lo ha portato a girare l’Italia con un Tour il cui titolo suona come una liberatoria consacrazione alla maturità.
Da quel Self Control che ci ha fatto conoscere il suo talento, ma anche la sua estrosa poliedricità, Raf ha camminato su sentieri multiforme, sporcandosi le scarpe (e le corde) in vicoli insidiosi a volte, anticonformisti altre, mettendo radici nel pop più melodico ma lasciando sempre pronta una valigia con tutto l’occorrente per partire verso viaggi (i suoi, quelli della musica e del cuore) in terre inesplorate. E dal 1984 a oggi, di terre inesplorate ne ha conquistate tantissime.
Il suo nuovo album, Sono Io, è la perfetta isola di approdo di un percorso di crescita (non solo musicale) che nell’Io del titolo porta a compimento (e completezza) quell’autocontrollo che segna il cammino del cantautore.
Nel Tour (partito da Milano il 19 Ottobre) Raf tutto ciò lo spiega benissimo senza mai dirlo: la scaletta è un tripudio di vecchie glorie mai andate in cantina e di pezzi nuovi che non sfigurano minimamente.
Si parte con un’immagine inedita del cantautore, quella più da strumentista grezzo, tra bongo e session viscerali, luci rosso fuoco e una lontana Africa evocata in un battito di mani… la genesi dello spettacolo è Battito Animale. Superbo quanto basta, suggestivo sempre, il pezzo trascina un pubblico misto e composto nel Raf-Pensiero che riesce a non saltare dal proprio posto nemmeno su pezzi come Sei la più bella del mondo, Cosa resterà di questi anni ‘80 e Siamo soli nell’immenso vuoto che c’è, ma si vede che tutti fremono e intanto cantano, cantano e cantano!
Lui parla tanto e interagisce con i suoi fans (in prima fila i fedeli con cuori al neon non potevano mancare), spiega e si spiega, introduce ogni brano come se presentasse il proprio figlio agli amici. L’aria che si respira non è proprio da tipico concerto, avverto la piacevole sensazione di stare ad ascoltarlo per capire lui prima di cantare ciò che (sempre lui) ha sensibilmente composto.
In scaletta un concept musicale diviso in due parti: quello acustico, tra chitarre delicate e un pianoforte che egli stesso suona mentre su un grande schermo si susseguono universi e stelle, megalopoli e caos, poi la calma e il creato che accarezza capolavori come Iperbole e Gente di Mare.
Spezza i due capitoli di questa favola il punto catartico e corale dell’evento: Raf estrae da un cesto tipico dell’artigianato locale, un nome dei presenti per cantare con lui; è la quintessenza dell’idolatria popolare che diventa normalità, karaoke, condivisione. Immagino che questa donna, con figlia a seguito, mentre scrivo sia ancora al telefono da ieri notte a chiamare le amica per raccontare tutto.
Che culo! Penso io… quasi nessuno lo fa. Felice per la donna e compiaciuto dell’affabile simpatia di Raf, mi concentro nuovamente sulle canzoni che ha scelto per questo Tour.
Nel vario e succulento ripescaggio dei classici accostati ai nuovi pezzi, la seconda parte del concerto è più elettronica e ritmata. Pezzi come Show me the way to heaven, mi fanno intuire due cose: che il concerto sta per volgere al termine, che allo scatto del bis ci sarà il delirio sotto il palco.
Duplice profezia che si avvera!
In primis Raf presenta la band e va via…. Poi rieccolo… sorridente e con smartphone a seguito come la liturgia teatral-musicale ormai consiglia e quasi obbliga. Partono quei pezzi a cui non puoi dir di no: Self Control (eccola finalmente), Ti Pretendo, Inevitabile Follia… e lasciatemelo dire, la follia dei fans è inevitabile. Tutti sotto il palco a saltare e urlare, come in quei lontani anni Ottanta in cui alcuni di questi brani hanno conosciuto la gloria.
Si chiude con l’emozione di Raf che abbraccia il suo pubblico stringendo mani e lasciandosi travolgere da qualche fan più vivace degli altri che riesce a invadere il palco…
L’Infinito cantato da Raf echeggia anche alla fine del grande show, che tutto cambia e tutto ritorna a essere un teatro vuoto e silenzioso, ma all’infinito si vede l’Io di Raffaele nei volti felici della grande folla che si allontana e se ne va.
Come la grande musica che diventa un classico moderno che si è ripete, come l’Io freudiano che dentro e fuori abbraccia e fa l’amore con le pulsioni e con il mondo, l’Io di questo tour, l’Io di Raf, si è compiuto nel migliore dei modi, come un classico.
E i classici non invecchiano mai, ma rimangono… all’infinito.
Foto e articolo: Giuseppe Mazzola per All Music Italia