Uscito vittorioso dalla sfida delle Nuove Proposte contro Irama ieri sera al Festival di Sanremo 2016, Ermal Meta arriva in conferenza stampa e parla subito dei suoi progetti futuri.
Si parte con il disco: “Tutto il disco l’ho scritto, arrangiato, prodotto e suonato. Per una volta volevo che quello che la gente sarebbe andata ad ascoltare fosse quello che io intendevo. Un prodotto di agricoltura bio, direttamente dal produttore al consumatore senza intermediario. Le tre parole che descrivono il mio cd, Umano, sono realismo, vita e lungo cammino. Questo è la musica per me, i musicisti sono degli maratoneti non degli sprinter e anche la vita è così. Io preferisco essere aderente a quello che vivo che fantasticare. I sogni magari ti fanno correre di più ma godere più lentamente quello che vivi, tutti i colori riesco a percepirli meglio“.
Due i pezzi che lo hanno più colpito fra i Big: “Non ho ascoltato tutti i brani, mi piace molto il testo di Ruggeri, lo trovo azzeccato, così come il testo di Noemi. Marco Masini è un grandissimo autore e credo che il testo de La borsa di una donna sia contemporaneamente orizzontale e verticale, ha colto nel segno. L’interpretazione di Noemi le rende giustizia“.
Che differenze ci sono tra il Sanremo di quest’anno e quel del 2010, quando partecipò sempre fra i Giovani con La Fame dei Camilla? “Credevo sarebbe stata più o meno la stessa cosa ma non ci si può abituare alle emozioni che ti impone, così come alla felicità. Quando sei in una band energia e tensione sono divisi in parti uguali, in questo caso il bene e il male va su di me. Responsabilità notevole per un’opportunità che mi è stata donata in primis da Carlo Conti“.
La differenza è nell’approccio musicale: “Ne La Fame dei Camilla c’era una guerra costante in me, una ricerca costante di qualcosa che nemmeno sapevo quale fosse. Sono ancora alla ricerca di qualcosa ma ho capito cosa non devo cercare. Questo mi porta ad eliminare a monte alcune distrazioni emotive“.
Un forte rapporto con le sue origini: “Mi sento italianissimo ma le mie radici sono lì, in Albania. Più della metà della mia vita l’ho vissuta qui, sono arrivato da piccolo, ma sento che le mie radici sono altrove. Potessi usare una metafora, direi che i miei alberi sono illuminati dal sole italiano ma le radici si nutrono del sale dell’Albania“.
Autore per grandi nomi del pop italiano, come nasce una sua canzone? “Scrivo generalmente prima la musica. Ogni musica porta dentro di sé già il testo. Canticchiandola con il canonico nanana o lalala, in modo da essere neutro, a un certo punto l’insieme alchemico della musica mi suggerisce una parola che diventa la chiave di volta del testo. Generalmente ci metto poco, ma non perché sono figo, ma perché cerco il momento giusto per scrivere e poi viene da sè, in un attimo. I più grandi capolavori della musica sono stati scritti in pochissimo tempo, come Sally di Vasco, scritta in soli 15 minuti. I miracoli avvengono anche in meno tempo ancora, anche in 3 secondi. La musica è un miracolo“.
Chi teme di più fra i suoi diretti concorrenti? “La persona che temo di più sono io, temo sempre me stesso perché è tutto nelle nostre mani. Poi il destino ha un altro corso, se va va, se non va non va. Se qualcosa non va bene mi guardo dentro. Quando sono uscito sul palco penso di aver avuto la faccia bianca, infatti mi hanno scritto che sembravo Edward Mani di Forbice, probabilmente l’effetto del cortisone. Qualcosa poi mi è balenato in mente, ho pensato fosse l’ennesimo concerto di tanti e mi sono lasciato andare. Una settimana carica di tensioni sotto tutti i punti di vista, i riflettori sono molto caldi e quel calore a volte brucia”.
Perché Ermal odia le favole? “Il titolo del mio brano è una metafora, esprime il mio totale interesse verso la vita vera. Tutto ciò che siamo si estende nel tempo, bisogna ridimensionare quello che oggi sembra tempesta e domani sembrerà un alito di vento“.