Che Marco Mengoni sia stato l’unico artista maschile, dopo Tiziano Ferro in primis e Cesare Cremonini poi ( e parliamo di ben 15 anni fa ormai ), capace di smuovere il mercato discografico, di creare attesa attorno ai suoi dischi, alle scelte che farà, è inopinabile, ma sinceramente inizia ad esserlo anche il perché.
Si tratta di una combinazione di fattori che già singolarmente richiamano attenzione, figurarsi se concentrati tutti in un unico soggetto. Voce insindacabilmente bella, capacità di mettersi in discussione artistica continua, scelte stilistiche mai troppo scontate, presenza scenica e faccia che spaccano il video e, non da ultimo, la stima conquistata nell’ambiente, tra gli addetti ai lavori ed i colleghi che lo hanno definitivamente sdoganato dalla provenienza talent ( manco fosse una rara malattia incurabile ) per asserirlo alla voce artista.
Così può succedere di potersi persino permettere due dischi nel medesimo anno e non risentire per nulla di crisi generale ( dicono agli sgoccioli ), crisi del disco ( dopo il secondo anno consecutivo con segno più forse è davvero agli sgoccioli ), fasi di stanca mediatica ( come potrebbe con tutte le doti succitate? ), disaffezione del suo pubblico, che anzi, continua a crescere a dismisura regalandogli addirittura un doppio disco di platino in 15 giorni per il suo recente Le cose che non ho, di cui qui ora vi racconto.
Doveva essere una sorta di fase 2, facciata b del già fortunato Parole in circolo, che a giochi appena conclusi dovrebbe aver chiuso al 4° posto tra gli album più venduti di tutto il 2015, ed invece ascoltando per intero il disco, si ha più una sensazione di due progetti distinti e separati, che di tanto in tanto trovano punti di allaccio per poi slacciarsi e scorrere invece liberi. In comune, oltre l’anno stampato nel retro delle due copertine, i lavori di sicuro hanno il progetto grafico, il titolo, Parole in circolo, che del primo disco era il titolo mentre qui diventa il brano che spacca in due la tracklist, e forse persino quello di minore impatto, così arrangiato con flebile chitarra, subentro di fiati in corsa e cantato in maniera filastroccata. Ma se in Parole in circolo il tema principale sembrava essere la consapevolezza personale, fatta di attese e sentimenti propri da esplorare ed esporre, in Le cose che non ho sembra essere più il percorso, il viaggio, le andate ed i ritorni, la ricerca della propria meta, come nella già citata title track o come nel singolo di grandissimo successo Ti ho voluto bene veramente, che, seppur non originalissimo nell’arrangiamento ( sfido a non accorgersi che l’autore, Fortunato Zampaglione, sia lo stesso di Guerriero sempre per e con Marco e di L’amore esiste di Francesca Michielin), è riuscito nell’intento di catturare moltissime anime, imprigionate in questo viaggio emozionale, raccontato con personalità ed un dosaggio di voce sempre più proprio dell’artista, che ha smesso di sparare note per strabiliare, mirando al racconto.
Quante volte vi sarà capitato di leggere sui social Il senso del viaggio è la meta, è il richiamo? Questa è un’ulteriore misura della presa che un pezzo ha avuto sulla gente. Resti indifferente è il tappeto elettronico che non disturba, mentre La nostra estate, scritta con Faini ed Ermal Meta, in odore “jovanottiano” è la facile e riuscita idea uptempo, auspicabile come singolo per la bella stagione, ma Mengoni ci ha insegnato a non dare mai nulla per scontato, propendendo spesso verso scelte meno scontate. L’applauso speciale va però al Marco interprete, che riesce a cantare senza echi autorali Rock bottom, scritta per lui da Sia, da cui scostarsi è complicatissimo essendo stilisticamente così personale; ne sa qualcosa persino le capacità d’interpretazione di una star mondiale come Rihanna, che nella sua Diamond finiva solo con l’esser una Sia svociata. Tale capacità emerge ancor di più in Solo due satelliti, brano regalatogli da Giuliano Sangiorgi, che qui interviene anche per un cameo, ed i cui brani sembrano però non riuscire mai a perdere quel riconoscibile timbro, per cui resti imprigionato più nel come sarebbe stato cantato da lui che da chi poi effettivamente lo sta presentando; ecco, con Mengoni questo non si è verificato ed è indubbiamente un nuovo fattore che va ad impreziosire il suo senso artistico.
Le cose che non ho è, come cita il testo, una canzone che riempie l’aria della sera e lo fa con la delicatezza del tepore di Giugno, quando il caldo non ti soffoca ancora ma è irrefrenabile il desiderio di aprire comunque la finestra. Sono pochi i miracoli, canta Marco nella ballad Ad occhi chiusi, ma probabilmente non ha ancora la consapevolezza di esserlo in primis, almeno per la discografia italiana e per il mondo maschile delle sette note, in cui, Ferro e Cremonini a parte, appunto, iniziava a diventare imbarazzante, considerare ancora giovane gente con oltre 4/5 decenni sul groppone. Adesso almeno c’è anche Mengoni; benvenuto!
BRANO MIGLIORE: Resti indifferente/ Solo due satelliti/ Le cose che non ho
VOTO: 4/5
TRACKLIST:
1 Ricorderai l’amore
2 Ti ho voluto bene veramente
3 Ad occhi chiusi
4 Resti indifferente
5 Parole in circolo
6 La nostra estate
7 Solo due satelliti
8 Rock bottom
9 Le cose che non ho
10 Dove siamo
11 Nemmeno un grammo